«Davvero il Signore è risorto!» (Lc 24,34). Questa esclamazione di stupore gioioso affiora sulle labbra dei discepoli nel riconoscere ciò che con gli occhi vedevano e con le mani toccavano: la persona del Maestro, Gesù, nuovamente vivo in mezzo a loro. La tradizione della Chiesa ha conservato in queste parole brevi e vive del Vangelo di Luca una delle più antiche espressioni della fede pasquale dei cristiani. Per gli apostoli e i discepoli della primitiva comunità cristiana la risurrezione di Gesù è stata un fatto sconvolgente. Ma sconvolgente era stata, poco prima, la morte dello stesso Gesù, che essi avevano ormai identificato con il Messia atteso. Il Messia che muore!... Il Maestro che, solo, aveva parole di vita eterna, che si era dimostrato talmente “signore” da poter con facilità comandare non solamente ai demoni, ma persino alle forze impersonali della natura, era stato catturato, oltraggiato e crocifisso. Per i suoi, la morte di Gesù era stata incomprensibile e per questo ancor più tragica; aveva segnato la fine di tutto, una delusione senza fondo, da cui non si sarebbero più ripresi. Invece, al terzo giorno... la risurrezione! Un nuovo, del tutto insperato sconvolgimento, questa volta di segno positivo, che li costringe a ri-comprendere daccapo tutto, fino a riconoscere nella figura di Gesù l’identità più profonda, quella del Figlio di Dio e del Signore del mondo, nel cui nome è aperta la salvezza a tutti gli uomini.
Ma cosa ha convinto i testimoni della realtà della risurrezione di Gesù? Le teorie che cercano di spiegare l’origine di tale convinzione ricorrendo a fattori psicologici o a cause naturali (allucinazione dovuta a uno stato mentale di entusiasmo religioso dei discepoli, fenomeni di illusione, ipotesi della morte apparente di Gesù, e così via) non soddisfano, perché non riescono a spiegare adeguatamente né il sorgere della fede pasquale né, soprattutto, le molteplici testimonianze neotestamentarie sulla risurrezione di Cristo.
Dall’esame di queste testimonianze emerge in effetti, come dato difficilmente contestabile, il carattere oggettivo delle apparizioni del Risorto e l’autenticità della sua umanità del Risorto. Tale autenticità è stata colta dai testimoni, nelle apparizioni, grazie all’esperienza della corporeità di Gesù. È stata la percezione del corpo di Cristo vivo a convincerli che egli era una persona umana, non un fantasma o uno scherzo dell’immaginazione, e che pertanto era davvero “risorto dai morti”. Per questo motivo gli apostoli impiegarono il termine “risurrezione”, con il suo essenziale ed intrinseco riferimento alla corporeità, per designare ciò di cui erano testimoni, scartando altre possibilità (quella di affermare ad esempio che Gesù si trovava presso Dio con la sua anima, analogamente a quanto si pensava riguardo a tanti giusti e in particolare ai profeti; neppure sostengono di avere ricevuto la visita o la visione di un fantasma del loro maestro: per un evento del genere il vocabolario della risurrezione sarebbe stato del tutto inadeguato rispetto alle categorie di spirito, anima, o angelo). Nelle manifestazioni del Risorto ai discepoli la sua corporeità si mostra reale, autentica e, in quanto tale, anche caratterizzata dalla materialità, sebbene trasfigurata e non più soggetta alle leggi fisiche ma pienamente docile allo spirito umano di Gesù. Un’interpretazione puramente spirituale delle apparizioni del Risorto forzerebbe notevolmente il senso delle testimonianze neotestamentarie, nelle quali il corpo di Gesù è accessibile ai discepoli in un contatto diretto, visibile e sensibile.
Il carattere corporeo della risurrezione di Cristo apre uno spazio enorme, affascinante, alla riflessione sul destino ultimo dell’uomo e del cosmo nella prospettiva cristiana: come ha affermato l’allora Cardinale Ratzinger «la fede nella risurrezione di Gesù è una confessione dell’esistenza reale di Dio, della sua creazione, del sì incondizionato con cui egli guarda alla creazione, alla materia. La parola di Dio arriva veramente fino all’interno del corpo, il suo potere non termina al margine della materia: abbraccia tutto, e perciò il sostegno di questa parola raggiunge con ogni certezza anche la materia, l’intimità del corpo, e lì si constata la sua efficacia». Potremmo dire che l’azione di Dio che riprende (trasfigurandolo) il corpo di Gesù nell’unità della sua umanità rivela l’intenzione divina di riprendere, trasfigurandola, la materia stessa che costituisce il cosmo. Nel corpo glorioso di Gesù appare “in anteprima” l’umanità compiuta, ma al tempo stesso vi intravvediamo anche la creazione riconciliata con Dio e liberata da ogni limite e caducità.
D’altra parte la corporeità dell’uomo, proprio per la sua indole materiale, fa necessariamente riferimento alla natura materiale del cosmo, è difficilmente comprensibile al di fuori di tale contesto: la corporeità è infatti mezzo e luogo di inserimento della persona nel mondo, strumento di autoespressione e di comunicazione; parlare di corpo significa pertanto parlare di relazione con il mondo e con gli altri. Ciò permette di comprendere il perché della permanente presenza della materia nel disegno divino sull’uomo e sul mondo, che la risurrezione di Gesù conferma e porta a compimento: Dio ha creato l’uomo come essere corporeo-materiale (e al tempo stesso spirituale, ovviamente) immerso in un mondo materiale, pertanto anche la vita futura dell’uomo nel cosmo rinnovato alla fine della storia possiederà un’autentica dimensione materiale, spazio-temporale, sebbene profondamente rinnovata, trasfigurata, a somiglianza del corpo del Risorto.
Non possiamo certamente pretendere di sapere come saranno i nostri corpi e il mondo rinnovato della risurrezione. Come scrive Guardini, la redenzione dei nostri corpi «è grazia, e proviene dall’assoluta libertà di Dio. Perciò non può essere misurata con criteri terreni, né possiamo dedurne le condizioni a partire dalle condizioni di questo mondo». Qualche tentativo però possiamo farlo (ed è appassionante farlo) basandoci su quell’unico, ma assai significativo “esemplare” che abbiamo: il corpo risorto di Gesù, apparso ai suoi testimoni meravigliosamente umano e familiare e, al tempo stesso, sovranamente libero da impedimenti spazio-temporali, capace di entrare a piacimento nel mondo per stare con i suoi e di uscirne per vivere nella dimensione propria di Dio. L’apostolo Paolo lo definisce un corpo spirituale (cfr. 1Cor 15,44) perchè non governato semplicemente dal principio psichico, dall’anima, come è il corpo umano attuale, ma perfettamente vivificato e diretto dallo spirito, e perciò incorruttibile, glorioso, pieno di forza, dotato della stessa “libertà” dello spirito nei confronti delle leggi naturali.
Ciò permette di immaginare che la trasformazione della materia operata da Dio alla fine della storia e già anticipata nel corpo di Cristo, comporterà una sorta di apertura della materia nei confronti dello spirito, il cui effetto fondamentale sarà quello di porre la materia stessa - nel corpo umano - a disposizione dello spirito in un modo assolutamente nuovo. È a livello della realtà profonda, intima, della materia e della sua insondabile potenzialità e capacità ricettiva, che andrebbe pensata una simile apertura all’influenza dello spirito. Tale trasformazione dovrebbe comportare anche un cambio più o meno pronunciato delle leggi che regolano la materia attualmente, ma non per forza si dovrebbe pensare ad un completo stravolgimento della figura di questo universo.
Ipotizzare una simile trasformazione non implicherebbe alcun conflitto con la conoscenza scientifica del mondo e delle sue leggi, poiché si tratterebbe di un intervento operato direttamente dalla potenza di Dio, un atto di vera e propria ri-creazione che, senza eliminare il cosmo nel quale viviamo, lo trasformerebbe dal di dentro, imprimendo un carattere nuovo alla materia. Piuttosto, una simile trasformazione, oltre che spiegare, come abbiamo visto, la radicale novità della condizione del corpo risorto di Gesù, potrebbe anche contenere la risposta al problema del destino dell’universo che, sulla base delle conoscenze attuali, sembra avviato verso una progressiva morte termica. Lo stesso atto con cui Dio ha trasfigurato e reso gloriosa la corporeità di Cristo e con cui opererà analogamente la nostra risurrezione corporea, giungendo con il suo potere fino al cuore della materia, è l’atto che trasfigurerà un giorno il cosmo intero, imprimendo una nuova direzione alla sua evoluzione.
In questa luce, come osserva un noto esegeta e teologo, N.T. Wright, la risurrezione di Cristo appare in tutta la sua portata, una portata cosmica. Essa non è semplicemente un evento eccezionale, sebbene sia anche questo: «essa è l’evento definitorio, centrale, prototipico della nuova creazione, del mondo che sta per nascere con Gesù».