Quanti, fin da quando erano studenti, sono stati attratti dal mondo delle scienze, dall’impresa della ricerca e dai risultati delle sue applicazioni, hanno un’istintiva ammirazione per il “genio”... Le figure dei grandi uomini di scienza portano con sé qualcosa si particolarmente attraente per le loro grandi e semplici intuizioni. La “genialità” delle intuizioni che si collocano all’origine di certe idee porta con sé qualcosa che lascia sbalorditi, per il potere che ha di corrispondere alla realtà delle cose in una maniera che è insieme “straordinaria” e “naturale”, tanto che ci si stupisce che nessuno ci avesse pensato prima. Le grandi idee sono qualcosa che lascia senza parola come le grandi osservazioni ed esperienze. Noi percepiamo come “geniale” qualcosa che rispetta interamente la “struttura” e la “dinamica” della realtà, senza imporle delle forzature che la costringano a rientrare in uno schema mentale precostituito, o peggio ancora, ideologico, ma, al contrario, sembrano svelarne il segreto che dà ad essa forma e consistenza. Di conseguenza si può riconoscere la “genialità” anche in altri campi del sapere e dell’agire umano, come l’arte nelle sue diverse forme, che con la ricerca scientifica ha in comune la stessa capacità di penetrare la realtà facendone risaltare con evidenza la verità e la bellezza.
A questo punto mi viene spontaneo fare un accostamento – forse un po’ ardito ma a pensarci bene del tutto fondato – che è suggerito, in questo caso, dal calendario. Il mese di dicembre, che stiamo iniziando a percorrere, è il mese in cui cade la festa cristiana del Natale del Signore. È una ricorrenza a cui anche chi non crede può essere in certa misura affezionato, magari anche solo per nostalgia. Perché? Quale è il segreto profondo, metafisico, che sottostà ad essa? Il Natale è la grande festa dell’“incarnazione”. L’incarnazione è un evento che alla sua origine ha un’idea che solo la “genialità” di Dio poteva concepire e immaginare. Alla base di tutto, infatti, c’è il rispetto più totale della “natura” umana, del modo normale con il quale la nostra mente viene a conoscenza di qualcosa. Il modo ordinario di conoscere passa attraverso l’esperienza sensibile che si colloca sulla nostra scala dimensionale: osservare, ascoltare, toccare, fiutare, assaporare; o indirettamente mediante degli strumenti che servono ad ampliare la medesima scala sperimentale, ma che sono sempre oggetti “materiali”. A partire dall’esperienza sensibile su scala umana la nostra mente è in grado di “astrarre” le nozioni fino a quelle più universali e di elaborare i giudizi e i ragionamenti più sofisticati. Lo avevano compreso già Aristotele, Alberto Magno e Tommaso d’Aquino. Questo valeva allora come vale oggi e varrà in futuro. Se un extraterrestre volesse comunicare con noi dovrebbe farlo in modo di inviarci le sue informazioni in maniera tale che esse fossero registrabili a livello sensibile direttamente dai nostri sensi o dagli strumenti che noi siamo in grado di utilizzare, o almeno da agire sul nostro corpo e sul cervello per arrivare a raggiungere, attraverso questi, la nostra intelligenza fino alla nostra interiorità. Può sorprendere, in prima battuta, ma secondo la prospettiva cristiana questo metodo è esattamente quello seguito da Dio con la “logica dell’incarnazione”. Per metterci in contatto con la Sua divinità trascendente, assolutamente immateriale, ha adottato la strada del rendersi “sperimentale” su scala umana, così da esserlo al massimo grado, assumendo una natura umana reale, a tutti gli effetti. Ha parlato il nostro linguaggio ed ha espresso con i nostri “simboli”, oltre alle conoscenze che noi già abbiamo, anche quelle conoscenze la cui verità era per noi “indecidibile” o del tutto sconosciuta. Ed è per questo che il linguaggio cristiano parla di compimento della “rivelazione” attraverso l’“incarnazione”. A questo proposito Tommaso d’Aquino scriveva che una legge della natura dell’uomo consiste nel fatto che egli «deve essere condotto per mano alle realtà spirituali […] attraverso le cose corporee e sensibili» (Somma teologica III, q. 61, a. 1). Ed è così che possiamo constatare come l’idea dell’incarnazione è in sé “straordinaria e naturale”: “straordinaria” perché connette esplicitamente il sistema uomo-mondo con il suo “fondamento” irriducibile ad esso (trascendente) che chiamiamo normalmente “Dio”; e “naturale” perché rispetta interamente la “struttura” e la “dinamica” dello stesso sistema uomo-mondo, in cui la conoscenza si forma a partire dall’esperienza sensibile; vedere, ascoltare, toccare, fiutare (misurare). Dietro e dentro il Natale c’è questo impianto metodologico (o se vogliamo logico-metafisico) che è espressione di quella che potremmo azzardarci a chiamare “ la genialità” di Dio.
Questa “genialità dell’incarnazione”, poi, si è tradotta, storicamente, in una sorta di estensione dello stesso metodo a quegli atti che la tradizione cristiana cattolica chiama “i sacramenti”. Infatti alla base dell’idea dei “sacramenti” sta la stessa logica del condurre per mano, a partire dalle realtà sensibili, verso quelle che non lo sono: l’acqua per il Battesimo, il pane e il vino per l’Eucaristia, ecc., costituiscono l’elemento materiale sperimentabile con i sensi, nei quali e mediante i quali l’azione di Dio opera in modo efficace sul soggetto che li riceve attraverso l’azione del ministro.
La “genialità” di questo modo di procedere consiste nell’introdurre la “straordinarietà” dell’intervento divino che con la “Grazia” rende gratuitamente partecipe della Sua vita il soggetto che riceve i sacramenti nella “naturalezza” delle cose materiali quotidiane. La “naturalezza” consiste nel rispetto che la modalità dell’incarnazione dimostra nel servirsi di una “materia” che il soggetto può sperimentare direttamente con i propri sensi, come avviene con le cose con cui ha a che fare tutti i giorni nella vita ordinaria, così che l’essere umano viene effettivamente condotto «per mano alle realtà spirituali […] attraverso le cose corporee e sensibili». È questo il “genio del cristianesimo”.