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Benedetto XVI: un dovere di gratitudine

Febbraio 2013
Giuseppe Tanzella-Nitti
ordinario di Teologia fondamentale, Pontificia Università della Santa Croce

La conclusione di un pontificato della Chiesa cattolica è un evento che fa sempre riflettere. Sia quando questo cessa con la morte, come avvenuto con Giovanni Paolo II e con la stragrande maggioranza dei vescovi di Roma, sia, come nel caso di Benedetto XVI, quando esso termina per una motivata rinuncia alla funzione che tale nomina implicava. La scomparsa di Giovanni Paolo II ci obbligò a prendere coscienza della ricchezza di un magistero consegnato lungo 27 anni, un magistero nel quale i temi del dialogo fra fede e cultura occupavano un ruolo senza dubbio centrale, della cui ricchezza e articolazione le pagine di questo Portale offrono una testimonianza illustrativa. Le stesse ragioni, ovvero la centralità che Benedetto XVI ha dedicato al rapporto fra fede e ragione, ci obbligano a riflettere anche oggi su una nuova eredità che ci viene donata, forse meno estesa in termini di tempo, ma non certo meno significativa.

Altri mezzi di informazione ed altri osservatori si occuperanno di proporre le letture che la rinuncia di un Pontefice può suggerire (e lo hanno già fatto abbondantemente), sottolineando la loro valenza per comprendere la situazione interna della Chiesa cattolica e le direzioni verso le quali essa continuerà il suo cammino. Altri ancora potranno fornire, con la prospettiva del tempo, un bilancio delle priorità di questo Pontificato, nel quale oltre ai temi propri della Teologia fondamentale —di cui il rapporto fra fede e ragione è parte integrante— si è inteso privilegiare anche la liturgia e la teologia morale, specie in merito ai rapporti di quest’ultima con il pensiero etico-filosofico. Noi qui desideriamo solo offrire alcuni spunti che toccano più da vicino gli argomenti avvistati dal nostro osservatorio, quello di un Portale di scienza e fede, dando in fondo voce a chiunque, riflettendo su quanto Benedetto XVI ha voluto insegnare in questi 8 anni, potrebbe anch’egli facilmente mettere in luce. Il 20 aprile 2005 saliva per la prima volta al soglio del Pontificato un docente universitario di Teologia fondamentale, che vantava al momento oltre 600 titoli pubblicati, e vi giungeva con la sua esperienza insieme ecclesiale ed intellettuale. Un docente — come ebbe modo di ricordare scherzosamente durante il ben noto incontro a Ratisbona del settembre del 2006 — abituato ad incontrare nei campus di Bonn e di Monaco dei colleghi universitari che restavano sorpresi di prendere il caffè insieme ad un docente di una Facoltà costruita “attorno ad un oggetto, Dio, che per molti di loro non esisteva…”. È in questo clima di confronto e di dibattito, di stimolo costante allo studio e all’approfondimento, che Joseph Ratzinger ha sviluppato lungo gli anni il suo pensiero, portandolo con sé su quella cattedra che fu dell’apostolo Pietro. Ed è in questo clima che matura uno dei temi portanti dei suoi interventi come Pontefice: l’amore alla verità, declinato nell’illustrazione del rapporto fra verità e pluralismo, nella coraggiosa critica a ciò che egli ha voluto definire “la dittatura del relativismo” e nell’esortazione costante a cercare la ragione profonda delle cose. Temi presenti soprattutto nei suoi interventi agli uomini di cultura e in quelli tenuti negli ambienti universitari, non ultimo il discorso preparato per la visita all’Università La Sapienza di Roma, che una malaugurata, quanto maldestra e peraltro assai limitata, opinione critica contraria, gli suggerì di non tenere. Proprio in quell’occasione, in un discorso che varrebbe davvero la pena di rileggere oggi, Benedetto XVI parlava dell’Università come luogo di ricerca della verità, fondamento e garanzia della sua autonomia e dei suoi legittimi privilegi. Una verità che certamente ci supera, non possediamo, ma al tempo stesso ci precede e ci possiede e, dunque, ci fonda. Nei suoi interventi, Benedetto XVI non ha mai opposto la verità al dialogo né alla legittima autonomia del pensiero: ha però ricordato che il pensiero non può non essere attratto dal vero, perché pensiero umano, e al vero vuole tendere. Ne risultano allora chiarite le differenze, sostanziali, fra pluralismo e relativismo, fra Assoluto e assolutismi. Il Pontefice ha avuto assai caro anche un altro tema, da lui riproposto più volte: riaffermare la capacità della ragione umana di riconoscere un Logos creatore, presente nella natura, quando questa viene studiata o contemplata (che è poi in definitiva, ne siamo convinti, la stessa cosa). Suggestivo al riguardo, forse più di altri, il testo dell’omelia tenuta durante la veglia pasquale del 23 aprile 2011. Nel fondamento di tutte le cose c’è una Ragione che è anche Amore, non l’irrazionalità o la cieca necessità. Lo testimonia una lunga tradizione di pensiero che giunge fino alle riflessioni filosofiche degli scienziati contemporanei, che Benedetto XVI conosce e cita volentieri. E sorprende la corrispondenza fra l’ordine — la struttura matematica volle precisare in qualche occasione — in cui il mondo si offre alla nostra conoscenza, e la mente dell’uomo, che quella struttura oggettiva è capace di leggere e decodificare. Troverà spazio nei suoi discorsi la metafora della natura come un libro aperto che, al pari della Scrittura, ci parla del suo Creatore. Il Papa che oggi lascia il suo pontificato ha conversato nel 2011 in diretta con gli astronauti in orbita sulla stazione spaziale internazionale ISS; ha voluto per primo, nel 2009, ricordare al mondo dal suo balcone di piazza san Pietro l’inizio dell’Anno Internazionale dell’Astronomia dedicato a Galileo; ed ha voluto lo scorso ottobre del 2012 consegnare ad una prestigiosa ricercatrice del CERN una copia del messaggio del Concilio Vaticano II agli intellettuali, legando così idealmente il Concilio del dialogo con il mondo moderno con il tempio contemporaneo della fisica delle particelle e delle alte energie. In collegamento con i precedenti vi è ancora un argomento verso il quale, a nostro avviso, Benedetto XVI ha voluto esprimere un’attenzione profonda, quasi programmatica: il riconoscimento di una legge morale naturale presente nel cuore di ogni essere umano. Da questo riconoscimento — egli ha spesso sottolineato — dipende la possibilità o meno di edificare una società propria dell’umano, fondando la sua tesi su basi sia teoretiche che fenomenologiche, mostrando cioè le conseguenze, sia umane che sociali, di una negazione di Dio quale fondamento della giustizia e della dignità della persona. L’appello ai cosiddetti “valori non negoziabili” non è frutto dell’imposizione autoritaria di una dottrina astratta, bensì condizione della coerenza logica del diritto e fondamento trascendente della sua esigibilità. Il cristianesimo, che interpreta una tradizione etica di pensiero ad esso precedente, portandola a compimento e svelandone il significato profondo, ha pertanto molto da dire alla società politica e civile, ricordando l’illusorietà di ogni etica utilitarista e convenzionalista che rinunci ad un legame costitutivo con la verità e con il bene. Lo sviluppo di quelle culture che hanno posto al centro della loro storia la persona e la sua libertà, fra le quali si trovano certamente quella Europea e Occidentale in genere, è dovuto senza dubbio alla linfa cristiana di cui esse si sono nutrite, la cui negazione sul piano culturale, ancor prima che spirituale, si tradurrebbe — e di fatto si sta traducendo — in regresso e pericolosa involuzione. Parole importanti riecheggiate il 22 settembre 2011 al Bundestag di Berlino, le cui premesse giacevano già nelle riflessioni di Joseph Ratzinger in dialogo con intellettuali come Jürgen Habermas o Marcello Pera. Il magistero di un Pontefice della Chiesa cattolica non è mai, solo, insegnamento rivolto ai propri fedeli e confinato alle istituzioni che da quella Chiesa dipendono. È anche ansia per l’umano e condivisione di un cammino che si propone di andare incontro ad ogni uomo. In questo senso, la continuità fra il magistero di Giovanni Paolo II e quello di Benedetto XVI è evidente a tutti. Ed è il riconoscimento di questo disinteressato e sincero servizio all’uomo che spinge credenti e non credenti ad esprimere a Benedetto XVI gratitudine, mentre osservano con profondo rispetto la figura di un Papa che decide di mettersi da parte per affidare il governo della Chiesa cattolica a forze fisiche nuove. Una gratitudine che continuerà a manifestarsi, ne siamo certi, nell’interesse con cui il pensiero di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI sarà ancora meditato e, lo speriamo vivamente, fatto fruttare. Un pensiero che viene oggi consegnato, una volta per tutte, alla storia.

28 febbraio 2013

Febbraio 2013
Alberto Laurenti
Amministratore GIAL s.r.l.

È un dato di fatto quotidianamente riscontrabile, come Il progredire della tecnica influenzi con sempre maggiore incidenza la convivenza sociale, mutando i rapporti tra le persone, ed offrendo all’umanità formidabili prospettive di emancipazione, insieme ad esperienze di disagio e difficoltà di adattamento. Spesso si ha l’impressione che se un’innovazione di processo o di un prodotto non fosse sviluppata in un dato laboratorio, sarebbe, prima o poi, inevitabilmente sviluppata in un altro: l’importante è prima di tutto che essa “funzioni” e sia vantaggiosa per qualcuno. Le dimensioni socio-economiche del fenomeno sono divenute talmente ampie che, di fronte alle “Tecnostruttura”, il contributo del “singolo” nell’indirizzare il “progresso tecnico” rischia di apparire così limitato e circoscritto da essere addirittura irrilevante. Al contrario, si vuole qui mettere in luce come l’azione dei “singoli”, ricercatori e tecnici, sia “culturalmente” rilevante. E non solo per il puntuale svolgimento delle attività di sviluppo, quanto per indicarne i requisiti operativi, le finalità in ordine al rispetto dei diritti fondamentali della persona, della sua integrità e quindi a vantaggio della “civile” convivenza e del bene comune.
Visto che spesso nella prassi il nesso tra l’“azione del singolo” ed il “perseguimento del progresso umano” non risulta immediatamente evidente, esso merita qualche puntuale considerazione di carattere metodologico.

I - In primo luogo va detto che l’introduzione di una innovazione, sia essa di carattere tecnico che scientifico, si presenta solitamente sotto forma di un progetto affidato ad un team, sotto la guida di un Project Manager. Nell’ambito dell’odierna economia dei servizi, il progetto, poi, non riguarda soltanto la produzione o la distribuzione di oggetti materiali, quanto la messa a disposizione di “saperi” ed “abilità” per la risoluzione di problemi specifici che risultano essere, per loro natura, complicati. Esempi tipici di tale situazione sono i grandi sistemi informativi utilizzati dalla Pubblica Amministrazione (e-government) o dai gruppi bancari ed assicurativi, i format televisivi, i progetti di ricerca scientifica e tecnologica, le reti per telecomunicazioni, le “one click companies”  e molti altri ancora. Sono tutti sistemi che cooperano o spesso competono tra di loro, altamente adattativi in quanto interagenti continuamente ed intensamente con gli utenti e con l’ambiente di cui seguono costantemente l’evoluzione.

II - In secondo luogo si deve rilevare come il ricorso ad un team sia normalmente dettato allo stesso tempo: a) dalla natura multidisciplinare del problema da affrontare e b) dalla molteplicità dei suoi aspetti, più o meno complessi, e tra loro fortemente  interagenti. Con diverse modalità e gradi di partecipazione/collaborazione, il team di progetto definisce il design del servizio per poi curarne la realizzazione e la conduzione, adattandolo agli stimoli e alle esigenze via via colti dalla società a cui esso si rivolge. Per l’intera vita del progetto, inoltre, gli aspetti giuridici si intrecciano con i vincoli di natura economica e finanziaria e con il grado di accoglimento del servizio proposto da parte dell’utenza.
In fondo, è la stessa “innovazione scientifica” a non sfuggire allo stesso paradigma, dovendo anch’essa rispondere dapprima ad esigenze di comunicazione sociale e di tutela e sfruttamento della proprietà, per poi procedere alla fase di sviluppo e di ingegnerizzazione e quindi alla definizione dei protocolli e degli standard da osservare, per una sua sicura applicazione e diffusione nella pratica.
Muovendo principalmente dalla cibernetica, gran parte degli sforzi per comprendere ed analizzare i tratti di una società siffatta confluiscono nella cosiddetta “teoria della complessità”, una branca oggi per molti versi ancora in elaborazione.
Tornando alla dimensione storica e personalistica del team di progetto, al giorno d’oggi una persona beautyful mind che, seguendo la propria vocazione, si dedicasse esclusivamente alla soluzione tecnica del problema particolare, anche se in modo qualificante e decisivo, rischierebbe l’emarginazione e priverebbe il team del suo contributo, forse altrettanto importante, per diffondere efficacemente quanto prodotto nella società. Dal canto suo, il Project Manager pone costante attenzione al raggiungimento degli obiettivi complessivi di progetto attingendo alle diverse e molteplici competenze del suo team che motiva e guida fino alla meta facendo personale affidamento sui suoi componenti.

III – Da un punto di vista storico possiamo aggiungere che due secoli improntati al “pragmatismo” e all’“utilitarismo” hanno profondamente stimolato ed orientato il progresso tecnico soprattutto verso la realizzazione di prodotti e servizi che “funzionino”. La storia della tecnica riporta innumerevoli esempi di team autori di importanti iniziative tecnologiche. Non sempre, però, esse si sono rivelate prive di controindicazioni e realmente finalizzate al vantaggio della intera collettività, risultando piuttosto a esclusivo vantaggio di alcuni soggetti o di comunità particolari.
In parte, le ragioni di tale fenomeno possono essere rinvenute proprio in una “modalità di sviluppo” della tecnica che rimuove la presenza dell’uomo come persona, trattandolo come semplice “operatore” o “utente” fruitore. Passando in rassegna, ad esempio, la documentazione generata durante lo sviluppo di sistemi informatici, si può notare come in essa manchi spesso un approccio che – al di là della considerazione dei componenti hardware e software di un sistema – metta in luce le relazioni che il sistema medesimo instaurerà o modificherà tra le “persone” che potranno essere coinvolte nella sua progettazione come nel suo utilizzo. Visto che di solito il nuovo sistema andrà ad innestarsi in una rete già funzionante, ci si limita a considerare le persone, di fatto, come pure “interfacce” software.
Simili rappresentazioni ridotte e parcellizzate consentono agli specialisti di lavorare correttamente senza però dare loro una visione di insieme degli “effetti” reali del funzionamento del sistema  stesso sulla società degli uomini. Pensiamo ad esempio, oggi, ad Internet, e in particolare ai social network.
Nella prospettiva di una cultura orientata ad un “umanesimo tecnico-scientifico”,  per correggere questo riduzionismo,  occorre rintracciare ed esplicitare sistematicamente i rapporti indotti da Persona a Persona (P2P) valutandoli da diversi punti di vista: giuridico, sociale, economico, ergonomico e di tutela dei diritti fondamentali. Meglio ancora sarebbe, poi, se tali rappresentazioni P2P diventassero informazioni di dominio pubblico (Open Data), accessibili e distribuibili mediante l’Internetwork, in modo da contribuire a rappresentarne una visione quantitativa d’insieme, che oggi di fatto è mancante.
In altri termini, si tratta di diffondere anche tra i tecnici dei “sistemi complessi” una cultura della “progettazione consapevole e responsabile”. Il “singolo” deve essere aiutato ad imparare ad innestare/accordare il proprio lavoro in un ambito culturale complesso e multidisciplinare, vedendolo valorizzato attraverso l’azione coordinata del team ed il rapporto “personale” e quotidiano con i colleghi.
È significativo registrare come, nel mondo globale dei nostri giorni, il rapporto tra l’individuo/persona e il team rappresenti un decisivo terreno di confronto tra le “filosofie gestion nsione realmente umana. Basti citare i nuovi interessanti approcci introdotti negli ultimi decenni nel campo della produzione di serie e del miglioramento della qualità.

IV – In quarto luogo vediamo, infine, come in termini propositivi,si possano identificare alcune indicazioni concrete utili a favorire la diffusione di un “umanesimo tecnico-scientifico”.
– Innanzitutto è necessaria ai tecnici anche una “preparazione umanistica di base”, oltre al know-how tecnologico, che permetta di cogliere la “persona” ed i suoi diritti e doveri fondamentali nel contesto della società tecnologica, di individuare e valutare criticamente le diverse opportunità pratiche come pure le contraddizioni in essa presenti.
– La disciplina del Project Management costituisce una base imprescindibile per poter operare per obiettivi nell’ambito di un team organizzato e per poter esplicitare sistematicamente finalità, attività e vincoli di progetto. Muovendosi nell’alveo di una pratica consolidata in Occidente, essa dovrebbe mettere a confronto l’approccio “pragmatico” con il sistema delle “virtù personali” (doti naturali, attitudini, esperienze acquisite, capacità di applicarsi, di rapportarsi correttamente agli altri, ecc.) così come, già nell’antichità, venivano descritte nell’Etica Nicomachea. Questo risulta essere, a lungo termine, insieme benefico per la persona e vantaggioso anche ai fini del risultato tecnologico e commerciale.
– La complessità dei moderni sistemi e servizi richiede un’ampia preparazione multidisciplinare, tale da favorire, nell’ambito del team, la collaborazione tra tecnici appartenenti ad aree specialistiche diverse. Le discipline afferenti alla cibernetica (come, ad esempio, le teorie dei sistemi, dell’informazione, dei giochi, ecc.) costituiscono utili strumenti per mettere in relazione modelli provenienti da ambiti specialistici diversi, ma che rappresentano facce diverse di una medesima realtà.
– Un’approfondita preparazione in uno o più specifici campi del sapere costituisce, infine, il presupposto per poter dare soluzioni concrete ed efficaci ai problemi pratici.

In conclusione, orientare lo sviluppo della tecnica facendo leva sulle “persone” che operano al suo interno è un obiettivo ormai inevitabile per la tenuta e la crescita della “civiltà”! Esso presuppone una forte sensibilità e passione civile  – e soprattutto una “cultura” dell’unità del sapere e dell’esperienza della persona umana – da parte dei ricercatori, insieme alla consapevolezza che, in tal modo, si può cooperare sapientemente, con lo studio ed il lavoro, ad un progresso umano sostanziale, comprendendo che la logica dell’agire per il bene comune è l’unica che ha una ricaduta positiva durevole ed effettiva a vantaggio sia della singola persona che della propria impresa.