Da molti anni il dialogo sempre più serrato tra ricerca scientifica e ricerca teologica, stimolato dal documento conciliare Gaudium et Spes e dall’enciclica Fides et Ratio del Beato Giovanni Paolo II, ha rimosso definitivamente la visione storica, ormai sorpassata, di una scienza incompatibile con la fede cristiana e di una Chiesa oscurantista che si oppone al progresso della razionalità. Oggi Scienza e Fede, pur mantenendo le loro rispettive autonomie, possono finalmente dialogare e collaborare serenamente. Un risultato senz'altro positivo, che ristabilisce l'evidenza logica – già magistralmente dimostrata da Tommaso d'Aquino – che le conoscenze acquisite attraverso l'uso della ragione non potranno mai essere in contraddizione con le verità rivelate.
Da un po' di tempo però, sembra che il dialogo abbia raggiunto una fase di stagnazione, quasi si sentisse appagato del traguardo raggiunto e non trovasse stimoli sufficienti per procedere oltre.
Scriveva poco più di un anno fa l'articolista inglese Mark Vernon su The Guardian (28/4/12), dopo aver assistito ad uno di questi dialoghi: “Tutti – atei, credenti, agnostici – si sentivano ben protetti nei loro rispettivi angoli. Sembrava molto improbabile che qualcuno volesse seriamente provocare l'altro. Gli abili ed eloquenti difensori del Teismo riuscivano ad assorbire egregiamente le sfide della scienza materialistica. Gli abili ed eloquenti atei sembravano accettare i limiti della visione scientifica della realtà e non si sentivano minimamente toccati dalle riflessioni teologiche. Forse è giunta l'ora di mostrare un po' più coraggio...”.
E allora ecco che la scossa viene da Papa Francesco: “Se volete sapere chi era Maria, chiedete ad un teologo e ve lo spiegherà bene; ma se volete amare Maria, chiedetelo al popolo...”. La provocazione arriva diretta e chiara a teologi e scienziati e ci costringe a chiederci onestamente, soprattutto verso la conclusione di quest'anno della Fede: l’attività intellettuale è veramente utile per annunciare il messaggio cristiano? può aiutare a rievangelizzare oggi l’Occidente?
A prima vista sembrerebbe di no (Tommaso direbbe: Et videtur quod non).
Infatti – come ci ricorda Papa Francesco – la Buona Novella è un invito alla conversione rivolto a tutti, non mediato; non richiede complicati ragionamenti né formule matematiche per essere recepito. Sembrerebbe quindi superfluo, per quanto attiene l’atto di Fede, invocare conoscenze scientifiche e teologiche, entrambe ormai specialistiche e molte volte accessibili solo ad una ristretta cerchia di esperti. Ancor più sapendo che la scienza non può provare (né negare) la Fede, quasi si trattasse di un teorema di geometria.
Tuttavia (Sed contra, evocando ancora Tommaso...), l’annuncio evangelico non è un evento solo storico, pronunciato duemila anni fa e congelato in un libro: è un messaggio vivo, che deve risuonare sempre nuovo ogni giorno. Ed oggi si diffonde, almeno nel mondo occidentale, in una società inevitabilmente e fortemente condizionata dallo sviluppo della scienza e soprattutto dalle applicazioni tecnologiche che da questa discendono. Quest’ultime, con il loro continuo e inarrestabile progresso, modificano costantemente abitudini, tendenze e stili di vita e, poiché in genere migliorano l’efficienza e le capacità del nostro agire quotidiano, possono dare l’impressione di essere in grado di risolvere qualsiasi problema, dalla cura di tutte le malattie alla previsione dei terremoti.
Troppo spesso ci lasciamo travolgere dal mito di onnipotenza della scienza-tecnologia, che promette all’Uomo, con ritmi sempre più incalzanti, di risolvere ogni sua necessità… e quando quest’ultimo si accorge che l’idolo della tecnologia l’ha trasformato in un numero, in una macchina, è troppo tardi: la sua vita – quella vera, indissolubilmente anima e corpo – è letteralmente appesa al filo di un responso strumentale, di un referto elaborato da un computer o di uno tsunami economico generato da forze ignote e ormai incontrollabili anche dai poteri politici.
Il rischio che si presenta è quello di perdere la nostra “umanità”, la nostra capacità di discernere: in definitiva, la nostra libertà. È un problema globale che riguarda tutti gli uomini, indipendentemente dalla loro fede e che deve preoccupare sia chi vuole annunciare la Buona Novella, sia noi scienziati che mai vorremmo che la nostra sete di conoscenza fosse utilizzata per intaccare alla radice l’essenza dell’uomo.
Possiamo allora cercare di rispondere alla domanda che ci eravamo posti all’inizio: in che modo l’attività intellettuale, in particolare la scienza, o meglio ancora gli uomini di scienza, possono essere utili alla nuova evangelizzazione? Soprattutto come possiamo evitare, teologi e scienziati, di diventare "cristiani da salotto", continuando a dialogare amabilmente senza mai scendere in campo?
Esiste in effetti un obiettivo comune sul quale Scienza e Fede potrebbero efficacemente collaborare e lottare per raggiungerlo: educare gli uomini d’oggi, soprattutto i giovani, alla passione per la ricerca della “verità”. È una ricerca impegnativa, non un divertente passatempo come spesso ci viene presentata dai giornali, dalla televisione e a volte perfino dalla Scuola. Richiede fatica, discernimento per separare il grano dal loglio, per saper distinguere la fede dalla superstizione, la scienza vera dalla pseudo-scienza e dalla ciarlataneria. I danni che tali confusioni possono generare, amplificate come sono dai moderni mezzi di comunicazione, sono purtroppo sotto gli occhi di tutti. Scienza e Fede potrebbero unirsi per denunciare assieme con forza, senza timore, ogni tentativo immorale ed eretico di trasformare la vera Scienza in “misteri occulti” e la vera Fede in “superstizioni visionarie”.
È un obiettivo che si può perseguire estraendo dal dialogo tra Scienza e Fede le caratteristiche che le uniscono, tralasciando i dettagli che le differenziano. Sia lo scienziato che l’uomo in cammino verso la Fede sono innamorati della «verità» e la perseguono con impegno – anche se su piani diversi. Entrambi hanno la capacità di stupirsi di fronte alla bellezza dell’universo che li circonda e al quale si sentono intimamente connessi. Entrambi non hanno paura di imbattersi in novità inattese, che apparentemente sconvolgono ogni precedente certezza, sicuri come sono di poterle comprendere razionalmente l’uno e di trasformarle in sapienza l’altro.
Sarebbe bello allora che come eredità di quest’anno della Fede, Fede e Scienza si dessero la mano franca per camminare insieme verso mete ancora ignote, con la gioia di compartire le proprie esperienze e la certezza di progredire insieme.