La lettera indirizzata a Cristina di Lorena granduchessa di Toscana fu iniziata da Galilei nel febbraio del 1615 e completata nell’estate dello stesso anno. I mesi occorsi alla composizione si spiegano per la cospicua mole dello scritto, che più che una lettera di chiarimento può essere definito un breve trattato teorico.
Era un momento cruciale per l’attività scientifica di Galilei: da quando nel 1610 il suo Sidereus Nuncius aveva fatto il giro dell’Europa il copernicanesimo non era più una semplice ipotesi o un mezzo utile a semplificare i calcoli astronomici, ma una tesi che le osservazioni lasciano prevedere si potesse giungere presto a dimostrare, scalzando così l’antichissimo dominio del geocentrismo. Abbattere la veneranda cosmologia aristotelico-tolemaica significava sconvolgere l’immagine antropocentrica dell’universo che si era venuta consolidando attraverso i secoli medievali. Così il problema della veridicità della teoria copernicana slittò presto da un terreno di sola filosofia al campo religioso e teologico, slittamento facilitato anche dal clima culturale post-tridentino che attraverso strumenti come l’indice dei libri proibiti favoriva la supervisione ecclesiastica sulla produzione intellettuale.
Galilei era ben conscio del rischio che correvano le sue teorie e la sua stessa incolumità nel caso in cui fosse stato dichiarato eretico, ma allo stesso tempo dopo anni di ricerche era anche assolutamente convinto della verità dell’eliocentrismo. La sfida che gli si parò davanti tra il 1611 e 1615 fu dunque quella di pensare come potessero conciliarsi copernicanesimo e fede cristiana. Un temibile ostacolo era l’ostilità di alcuni versetti della Sacra Scrittura, come Gs 10,12-13, dove Giosuè alla battaglia di Gabaon comanda al sole di fermarsi. In un contesto in cui la filosofia naturale tendeva ad essere assorbita in una metafisica del sensibile ispirata cristianamente o in cui il naturale veniva letto come simbolo del soprannaturale era quasi spontaneo l’utilizzo del testo sacro nelle dispute scientifiche. Galilei fu così costretto dagli eventi a riflettere sui criteri di interpretazione della Bibbia per comprendere se veramente gli fosse tanto nemica.
Grazie forse ad un padre Barnabita, che gli fornì un dossier di testi antichi e moderni contenenti riflessioni sui rapporti tra ricerca scientifica ed esegesi biblica, Galilei poté verificare ed appoggiare sulla tradizione stessa della Chiesa le sue considerazioni, scoprendo proprio in Sant’Agostino un formidabile alleato. Infatti, già più di mille anni prima, i Padri della Chiesa incontrarono difficoltà molto simili nel tentativo di conciliare il portato ebraico-cristiano con la raffinata speculazione greca e romana. Come a Sant’Agostino si parò la sfida storica dell’inculturazione del linguaggio biblico all’interno dell’elegante riflessione classica simboleggiata dall’Ortensio ciceroniano, così per Galilei si poneva la difficoltà di rappacificare all’interno di un contesto già cristiano una verità di ragione con il pensiero religioso apparentemente contrario. La rivoluzione metodologica che si stava compiendo nel campo della filosofia naturale portava come inevitabile conseguenza una chiarificazione dei rapporti che questa forma di sapere intratteneva con la Sacra Scrittura.
La lettera a Madama Cristina di Lorena rappresenta il tentativo teorico più maturo di Galilei in questo sforzo di chiarificazione e ristrutturazione del rapporto tra saperi, tentativo che mirava alla de-responsabilizzazione della Bibbia dal suo utilizzo come fonte d’autorità nella ricerca scientifica. Nella lettera Galilei si servì di quattro principi teorici fondamentali: il principio di inerranza (la Bibbia non può in alcun modo contenere affermazioni erronee), il principio dell’unica fonte delle verità (Scrittura e natura discendono entrambe da Dio, la prima come sua parola, la seconda come sua opera), il principio di limitazione (intenzione primaria della Bibbia è la salvezza degli uomini), il principio di prudenza (occorre essere molto attenti nell’interpretazione delle Scritture per evitare di impegnare il testo biblico nel sostegno di tesi errate). Galilei utilizzò questi quattro principi teorici per fondare il concetto chiave che doveva garantire l’autonomia di ricerca della filosofia naturale dall’autorità del testo sacro: non è mai metodologicamente corretto utilizzare versetti biblici come prove sperimentali. Questo criterio era già ravvisabile nel De Genesi ad Litteram agostiniano e non è un caso che Galilei lo citi abbondantemente.
Per Galilei la Bibbia doveva essere scientificamente de-responsabilizzata perché tra natura e Scrittura, pur provenendo entrambe dal medesimo Verbo divino, vi è un’irriducibile disomogeneità sia di linguaggio (polifonico e plurale nelle Scritture, lineare e monocorde nella natura) che di scopi (per la Bibbia dare conoscenza di verità altrimenti irraggiungibili, per la natura seguire le leggi immutabili e necessarie volute da Dio). Il libro della natura è univoco, per chi possiede il sapere matematico-geometrico esso parla limpidamente senza metafore o allusioni. Le Sacre Scritture invece sono un testo complesso, pluristratificato e bisognoso di un attento lavoro di interpretazione: dietro il linguaggio spesso aspro usato per adattarsi all’intendimento dell’uomo comune la Bibbia nasconde per i dotti tesori di sapienza.
Affermata l’innovativa pretesa galileiana di dare un’assoluta autonomia di ricerca alle scienze naturali, occorre però sottolineare come permanga in Galilei la concezione, che condivideva con i suoi avversari, del testo biblico come enciclopedia di tutto il sapere umano. Questo è evidente nel finale della lettera a Madama Cristina di Lorena dove Galilei passa dal piano dell’enunciazione dei principi teorici a quello esegetico applicativo: una lettura copernicana della Bibbia non solo è possibile, ma addirittura porta ad un’interpretazione più semplice dei versetti biblici che non adottando il sistema tolemaico. Galilei non affermerà mai una radicale a-scientificità della Bibbia, certamente le Scritture hanno come scopo primario la salvezza spirituale del fedele, ma al contempo contengono in sé ogni verità del sapere. Per Galilei era possibile operare una lettura scientificamente edotta dei passi biblici: partendo dalle verità già dimostrate della ricerca sperimentale si può passare a interpretare le Scritture, scoprendo come le verità scientifiche ci aprano ad una comprensione più profonda dei versetti biblici. Questa concezione della Bibbia come testo misterico, come esoterico contenitore di tutto lo scibile umano, era tipica della cultura rinascimentale: mancava a Galilei e ai biblisti del suo tempo una chiara consapevolezza della formulazione storico-letteraria del testo biblico. Questa mancata consapevolezza fu uno dei motivi fondamentali della condanna del copernicanesimo nel 1616.
Dunque la lettera a Madama Cristina di Lorena, con le sue straordinarie intuizioni e limiti, rappresenta il tentativo di rideclinare la posizione epistemologica e autoritativa delle Sacre Scritture rispetto alla nuova metodologia di ricerca tipica delle scienze moderne; tentativo che si inquadra all’interno di una più vasta riconsiderazione dei rapporti tra ragione e fede in tutti gli ambiti della civiltà europea, laddove eventi come la scoperta delle Americhe, la Riforma e la rivoluzione copernicana avevano resa obsoleta l’antica armonia medievale. Pochi decenni dopo la lettera a Madama Cristina di Lorena figure di grandi pensatori come Thomas Hobbes e Baruch Spinoza avrebbero gettato le basi per una lettura illuministica del testo Sacro, abbandonando l’ormai frustrato spirito conciliativo galileiano e sferrando un attacco diretto alla rivelazione, in favore dell’approccio razionalista e ultimamente deista. Ora era la scienza stessa che si impadroniva della Bibbia, abbattendo la sua autonomia di fede e rileggendola in senso razionalistico come mero documento storico. Proprio da una visione così aliena sarebbe nato un grande dono per gli uomini di fede: infatti il metodo storico-critico, lungi dal desacralizzare le Scritture come taluni pensarono, consentì di approfondirne la dimensione storica e letteraria. Allo stesso tempo la scienza si è progressivamente liberata dalle letture materialistiche e positivistiche che ne hanno traghettato l’auto-comprensione nei secoli moderni, aprendo nuove proficue strade al dialogo tra scienza e fede.