Nella rivista "Il Regno", [LIX, n. 1177, 15 novembre 2014, pp. 710-713)] e nell' “Annuario filosofico”, [(ISSN 0394-1809), n. 29 (2013), novembre 2014, pp. 242-275, ISBN: 9788842554851] è stato pubblicato un contributo di Paolo Becchi (Università di Genova) e Roberto Franzini Tibaldeo (Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa) che propone un confronto tra le riflessioni in tema di creazione di Hans Jonas e Joseph Ratzinger. Ne riportiamo come editoriale una sintesi curata dal professor Franzini Tibaldeo.
Altrimenti noto come «dibattito sulle origini», la disputa tra creazionismo ed evoluzionismo ruota intorno alle ipotesi contrastanti circa le origini dell’universo, della Terra, della vita e della stessa umanità. Dinanzi alla regolarità e all’ordine esistenti nel cosmo, così come dinanzi all’innegabile dinamica che contrassegna determinate entità, quali le forme viventi, viene infatti spontaneo interrogarsi sulla consistenza della materia del mondo e domandarsi in base a quale principio si possa spiegare l’evoluzione del cosmo e in particolare del sistema terrestre, nel quale sono via via apparse forme organiche tra le più sofisticate. Negli ultimi decenni lo spazio del contendere si è polarizzato intorno alle posizioni vicendevolmente antitetiche dei creazionisti (si veda l’esempio paradigmatico delle teorie nordamericane promotrici dell’«Intelligent Design», tra i cui ispiratori si annoverano Michael J. Behe, Philipp E. Johnson, William A. Dembski e Stephen C. Meyer) e degli evoluzionisti (si pensi, per esempio, a Daniel C. Dennett e Richard Dawkins), accomunati dalla volontà di mantenere un monopolio mediatico e una primazia culturale sulle questioni dibattute.
Come spesso però accade, laddove il dibattito viene cannibalizzato da estremi così polarizzati, lì si finisce per smarrire quel ventaglio di posizioni e contributi intermedi che hanno invece il merito di richiamare in modo equilibrato l’attenzione su aspetti scientifici, filosofici e culturali di interesse generale. Quel che tenteremo di fare è accostare due di tali contributi intermedi, quello del filosofo Hans Jonas e quello del teologo Joseph Ratzinger. La tesi che argomenteremo è che il confronto reciproco permette di comprendere più a fondo e criticamente il pensiero di entrambi, specie sotto il profilo del rapporto con la modernità e con le sfide conoscitive ed etiche che con essa si aprono. Con una precisazione, però: accostare e mettere a confronto le loro riflessioni non significa sottacerne le divergenze.
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Come accennato, la radicalizzazione del dibattito sulle origini tra «-ismi» contrapposti (creazionismo ed evoluzionismo) non è esaustiva né delle posizioni in campo, né della complessità delle questioni affrontate. E tuttavia proprio da qui può essere utile partire per chiarire a livello preliminare i termini del problema. Com’è noto, negli ultimi anni la querelle è tornata alla ribalta complici – tra gli altri – due avvenimenti di portata internazionale: la pubblicazione, in data 7 luglio 2005, sul «New York Times» di un articolo del cardinale Christoph Schönborn intitolato Finding Design in Nature, che sembrava rilanciare le posizioni creazionistiche, e le celebrazioni, nel 2009, dell’anno darwiniano (200 anni dalla nascita e 150 dalla pubblicazione de L’origine delle specie), che hanno ridato attualità alle tesi evoluzionistiche.
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Non tutti i sostenitori del fatto che l’origine del mondo sia da riferirsi a un intervento creatore divino si riconoscono nelle forme più ostentate di creazionismo e nel contestuale rigetto senza mezzi termini dell’evoluzionismo. Tra le posizioni a questo riguardo più interessanti, si segnalano proprio quelle di Hans Jonas e Joseph Ratzinger. Per entrambi il problema di fondo è come rendere ragione dell’esistenza effettiva dello spirito umano, senza con ciò ricadere in una delle due soluzioni estreme. Jonas e Ratzinger condividono l’assunto di fondo secondo cui l’esistenza dello spirito umano richiederebbe al contempo due condizioni: a) che la materia sia dotata della possibilità della realizzazione dello spirito e b) che vi sia all’origine delle cose uno spirito trascendente e sovratemporale come sua causa prima.
La prima delle condizioni menzionate poggia a sua volta su due assunti, condivisi da entrambi gli autori. Il primo di questi assunti è che il mondo è dotato di razionalità e ordine: la sua esistenza si deve a ben più che al solo caso o – per dirla con Monod – alla sola combinazione di caso e necessità. Per entrambi, dunque, il darwinismo sarebbe sostanzialmente problematico: per il teologo l’evoluzionismo sarebbe infatti responsabile di minare la razionalità della natura, mentre per Jonas esso si avvilupperebbe in una serie di paradossi, tra cui quello di spiegare l’evoluzione più nei termini di una deviazione patologica, che in quelli di uno sviluppo sensato. Per Ratzinger, l’ordine del mondo è ricondotto direttamente all’esistenza e all’azione divine: «la fede della Chiesa si è sempre attenuta alla convinzione che tra Dio e noi, tra il suo eterno Spirito creatore e la nostra ragione creata esista una vera analogia, in cui certo le dissomiglianze sono infinitamente più grandi delle somiglianze, non tuttavia fino al punto da abolire l’analogia e il suo linguaggio» (Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni, Regensburg, 12 settembre 2006). È questo il fondamento su cui poggiano dunque i dati di fatto della «struttura razionale della materia» e della «corrispondenza tra il nostro spirito e le strutture razionali operanti nella natura». Jonas, da filosofo, si limita a rilevare la naturale ed evidente percezione di una regolarità e un ordine presenti nel cosmo (le leggi e forze fisiche, l’organizzazione della materia in strutture ordinate, ecc.), a cui si aggiunge poi un ordine di più elevata complessità, rappresentato dalla vita che «si presenta come una successione ascendente di gradi che va dal “primitivo” all’“evoluto”», fino a comprendere lo spirito umano in quanto «prefigurato sin dall’inizio nell’organico» (Organismo e libertà, 1966, 1973). L’interrogativo che però a questo punto si pone (e rimane provvisoriamente aperto) è: in base a quale principio evolutivo si può spiegare lo sviluppo della materia del mondo, e ciò tanto più alla luce dell’enigma costituito dalla «direzione anti-entropica intrapresa – improbabile per la fisica – dal disordine all’ordine» (Materia, spirito e creazione, 1988).
Il secondo assunto che accomuna Jonas e Ratzinger è la critica della pretesa moderna di voler espungere dal reale qualsivoglia differenza qualitativa (tra cui quella tra materia e spirito). Questo è infatti il risultato che si consegue mediante l’applicazione del metodo scientifico moderno in generale, un metodo d’indagine che fa dell’ipotesi materialistica la propria necessaria premessa metodologica. Il problema – puntualizzano Jonas e Ratzinger – nasce nel momento in cui il materialismo cessa di essere metodologico e aspira a diventare qualche cosa di diverso, vale a dire una dottrina ontologica che offre una spiegazione compiuta della realtà. Il che certamente non può essere, poiché le sue premesse (parziali e selettive per definizione) sono ben altre e non possono ambire a questo.
Veniamo così alla seconda condizione, vale a dire le prerogative di quella porzione di essere generalmente definita come «spirito». Lo spirito esprimerebbe la differenza specifica dell’essere umano rispetto a ciò che lo circonda. Lo scarto tra spirito e realtà naturale sarebbe di natura qualitativa e in nessun modo riconducibile a una mera differenza quantitativa. È evidente che a questo punto occorre, per un verso, mostrare come il «primato e la superiorità dello spirito» si concilino con il fatto che – per dirla con Ratzinger – «la direzione dell’evoluzione e il suo carattere di progresso sono, in fin dei conti, indiscutibili» e, per altro verso, confutare l’adeguatezza della lettura darwinista, secondo cui l’uomo nella sua interezza sarebbe un prodotto dell’evoluzione. Se infatti su questo punto si fallisse – prosegue Ratzinger – ci si troverebbe dinanzi a una conseguenza assai problematica: vale a dire, la «rigorosa contrapposizione: o - o, la quale non permette nessuna mediazione. Ma questo significherebbe, in base allo stato attuale della nostra scienza, la fine della fede nella creazione» (Fede nella creazione e teoria evoluzionista, 1969).
Sia per Ratzinger sia per Jonas la delicata questione di che cosa sia lo spirito si lega dunque per un verso al rapporto di quest’ultimo con la materia del mondo e per altro verso alla corretta interpretazione del rapporto che lega l’essere umano alla trascendenza divina. Nel caso in cui la vicenda cosmica – all’interno di cui si iscrive l’esistenza umana – altro non fosse che mero frutto del caso e mera avventura materiale (come è per l’evoluzionismo di tipo riduzionistico) o, viceversa, la lineare e preordinata realizzazione di un piano divino (come è per l’«Intelligent Design»), verrebbe meno il significato autentico della trascendenza divina, del suo ruolo nella creazione del mondo e della sua rilevanza per lo spirito umano.
Quale via percorrere dunque per sviluppare una corretta comprensione di tali questioni?
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La proposta jonasiana, contenuta per lo più nel saggio Materia, spirito e creazione (ma si vedano anche Immortalità ed esistenza odierna, 1962, e Il concetto di Dio dopo Auschwitz, 1987), cerca di conciliare le due istanze precedentemente enunciate (che la materia sia dotata della possibilità della realizzazione dello spirito e che vi sia all’origine delle cose uno spirito trascendente e sovratemporale come sua causa prima) riconducendo l’origine del mondo alla scelta primordiale e imperscrutabile della divinità di «contrarsi» o «auto-negarsi», vale a dire di rinunciare alla propria onnipotenza per lasciare spazio all’autonomia cosmica e alle sue chance. Questo garantirebbe alla divinità una certa rilevanza cosmica, facendo al tempo stesso del suo ruolo e della sua azione nel mondo qualche cosa di completamente diverso rispetto a qualsivoglia «disegno intelligente». Jonas elabora le sue riflessioni in forma ipotetica e narrativa, attingendo in maniera innovativa alla tradizione qabbalistica ebraica: «perché il mondo sia e sia per se stesso, Dio rinunciò al proprio essere; si spogliò della sua divinità per riceverla indietro dalla sua odissea del tempo, carica del raccolto casuale dell’imprevedibile esperienza temporale, trasfigurata o forse anche sfigurata da essa» (Immortalità ed esistenza odierna). Il racconto mitico ha il pregio di restituire uno sguardo radicale sull’umano non disgiunto da una certa sobrietà dell’indagine intorno al divino. Questo risultato viene conseguito a partire da un’analisi di ciò che si manifesta nel cosmo e con l’obiettivo di consolidare ulteriormente le ragioni della responsabilità umana: l’evoluzione cosmica arriva infatti «a noi, gli unici detentori a noi noti dello spirito, ossia […] di un agire che alla luce del conoscere diviene sempre più potente […] Non v’è alcun dubbio che nelle nostre mani si trova la possibilità di deludere l’intenzione della creazione […]. Per quale motivo non ci è però permesso di procedere in questa direzione? […] Il dovere, che esiste da sempre, diviene acuto e concreto con l’incremento del potere umano attraverso la tecnica, la quale si rivela pericolosa per tutto l’abitare della vita qui sulla Terra […]. Esso ci dice che ora dobbiamo difendere da noi stessi la causa divina nel mondo che abbiamo messo in pericolo con il nostro agire. Ci dice che dobbiamo soccorrere contro noi stessi la divinità per se stessa impotente» (Materia, spirito e creazione).
Anche Ratzinger ritiene che occorra effettuare una decisa scelta di campo in favore dell’atto creativo divino: «Per svilupparsi ed evolversi – afferma il teologo – il mondo deve prima essere, e quindi essere passato dal nulla all’essere. Deve essere creato, in altre parole, dal primo Essere che è tale per essenza» (Discorso all’Assemblea plenaria della Pontificia Accademia delle scienze, 31 ottobre 2008). Benché il pensiero ratzingeriano si connoti in maniera diversa rispetto alla creazione per sottrazione del Dio jonasiano, ciò che però lo avvicina al filosofo è il rilievo conferito alla creazione divina in vista della retta comprensione della specificità dello spirito e del senso dell’evoluzione. Ratzinger, infatti, afferma che «l’alternativa materialismo o visione spirituale del mondo, caso o mente direttiva, ci si presenta oggi sotto la forma della questione di considerare lo spirito e la vita, nelle loro forme salienti, soltanto come una muffa casuale sulla superficie del materiale (cioè dell’esistente che non comprende se stesso) oppure di vederli come il traguardo del divenire e di considerare, invece, la materia come preistoria dello spirito. Se si sceglie la seconda risposta è evidente che lo spirito non è un prodotto casuale di sviluppi materiali, ma piuttosto che la materia è un momento nella storia dello spirito. Questo è un diverso modo di esprimersi per affermare che lo spirito è creato e non è un puro prodotto dell’evoluzione, anche se si manifesta nella forma dell’evoluzione» (Fede nella creazione e teoria evoluzionista).
Tuttavia, sia per Ratzinger sia per Jonas la questione delicata è come rendere ragione dell’evidenza trascendente dello spirito nel mondo e del suo intreccio non occasionale con l’evoluzione materiale senza ricadere in posizioni teoricamente problematiche e scientificamente insostenibili, quali appunto l’«Intelligent Design», che a questo riguardo ha la pretesa di annullare la distinzione tra il piano naturale-biologico e quello teologico.
Rifacendosi a un’omelia di Avvento di Bernardo di Chiaravalle sul tema dell’annunciazione, Benedetto XVI infatti scrive: «Dopo il fallimento dei progenitori, tutto il mondo è oscurato, sotto il dominio della morte. Ora Dio cerca un nuovo ingresso nel mondo. Bussa alla porta di Maria. Ha bisogno della libertà umana. Non può redimere l’uomo, creato libero, senza un libero “sì” alla sua volontà. Creando la libertà, Dio, in un certo modo, si è reso dipendente dall’uomo. Il suo potere è legato al “sì” non forzato di una persona umana. Così […], nel momento della domanda a Maria, il cielo e la terra, per così dire, trattengono il respiro» (L’infanzia di Gesù, 2012).
Quanto a Jonas, benché il «Dio Signore e creatore di tutte le cose» non trovi riscontro nella sua riflessione, non si può che registrare una consonanza con la tonalità emotiva del brano ratzingeriano appena citato. Certo, alla divinità creatrice jonasiana non ci si può rivolgere con il pronome «tu» e la libertà di cui gode l’essere umano dinanzi a essa non assume i tratti della libertà del figlio, di cui parla Ratzinger. D’altronde, lo spazio che grazie alla propria auto-rinuncia la divinità jonasiana riesce ad assicurare al mondo e agli esseri umani non è solcato da un progetto specifico o da «un movimento che fa da battistrada» e che «arriva al traguardo a lui assegnato» (così Ratzinger in Fede nella creazione e teoria evoluzionista). Al contrario, si tratta di uno spazio contingente, autonomo, aperto e davvero non-ancora-deciso in cui l’agire umano è comunque chiamato a esercitare la propria libertà, facendosi carico della propria responsabilità per gli altri e per il mondo. Non è dunque uno spazio di indifferenza o privo di tessitura normativa. Né come tale è considerato dalla divinità, che segue con apprensione, speranza e partecipazione l’evolversi del mondo con le sue vicende. Piuttosto, rispetto al Dio cristiano, che parimenti si spoglia della propria divinità e si consegna al mondo, il Dio jonasiano sembra maggiormente disposto a esporsi, fin dalla notte dei tempi, al folle rischio del fallimento.
Pur non negando le molte e significative somiglianze, possiamo dunque affermare che la dottrina ratzingeriana della creazione differisca notevolmente dalla proposta jonasiana. Lo stesso può dirsi anche per altri aspetti del pensiero di Jonas e Ratzinger, che vorremmo qui sinteticamente richiamare. Innanzitutto, il tema della modernità, che è all’origine di un certo modo di intendere l’evoluzione. Certo, per un verso, Ratzinger si mostra grato allo spirito moderno «per le grandiose possibilità che esso ha aperto all’uomo e per i progressi nel campo umano che ci sono stati donati»; eppure, per altro verso, egli si affretta a mettere l’«ethos della scientificità» moderna sotto la tutela di quell’autorità più grande che è l’«obbedienza alla verità», la quale si svela nella fede, e a ricondurlo entro i binari di un «atteggiamento che fa parte della decisione di fondo dello spirito cristiano» (Fede, ragione e università). Se a questo riguardo è certamente vero che anche per Jonas il metodo scientifico moderno sia inadatto ad affrontare le questioni di senso, egli non si sente però in dovere di trovare un accordo a ogni costo con la ragione e il metodo scientifico moderni. La differenza di vedute può persistere e, anzi, di fatto così accade. Tuttavia, al tempo stesso, proprio il fatto di non dover per forza ricomporre le differenze in una qualche superiore unità o visione d’insieme consente a Jonas di cogliere – più di quanto sembri fare la prospettiva del «grande Logos» di cui parla Ratzinger (Fede, ragione e università) – alcune ragioni e istanze di legittimità della modernità altrimenti non ravvisabili. In altre parole, Jonas non incorre nell’ambivalenza ratzingeriana di voler interloquire filosoficamente con la modernità (e la teoria dell’evoluzione), ma tenendosene discosto in nome di un’istanza veritativa fondata teologicamente. Pure accomunate da una critica a determinati aspetti della modernità, le riflessioni di Jonas e quelle di Ratzinger differiscono dunque notevolmente: la prima cerca di comprendere – per così dire – la modernità dall’interno e predispone una proposta filosofica che cerca di oltrepassarne i limiti, mentre l’altra muove dall’esterno e le rimane sostanzialmente estranea, salvo però avere la pretesa di ricondurla a una verità superiore.