Un’enciclica estesa ed esigente come quella che papa Francesco ha firmato con il titolo Laudato si’ in data 24 maggio 2015, non si presta a facili commenti. Innumerevoli i temi che saranno oggetto di analisi, rilanci, osservazioni e, probabilmente, anche di qualche critica. Troppo importanti e delicati gli argomenti trattati per non attendersi un dibattito vivace: dall’opzione per le energie alternative e rinnovabili al valore quasi sacrale di ogni specie biologica; dall’intrinseco legame fra inquinamento e sfruttamento dei poveri alla visione totalmente relazionale, quasi olistica, del rapporto fra uomo e natura; dalla critica alla visione strumentale della tecnica al relativismo come causa della cultura “usa e getta”. È facile che il dibattito che oggi prende ufficialmente avvio (al netto delle anticipazioni di qualche giorno fa), possa condurre a schieramenti e prese di posizione, condizionando la trasmissione di quanto il documento intende, a nostro avviso, comunicare. Una ragione in più per offrirne qui un breve commento. Leggendola si ha l’impressione di non poter restare semplici spettatori, ci si ritrova investiti di una responsabilità che, interpellando il nostro rapporto con gli altri e con la natura, termina interpellando il nostro rapporto con Dio. Siamo invitati a prendere coscienza di avere, tutti, una casa comune; abbiamo un habitat non solo da custodire, ma anche da sviluppare armonicamente e, perché no, da contemplare, da valorizzare, di cui gioire con sobrietà e umiltà. È come se papa Bergoglio ci facesse salire su un vettore spaziale e, come accadde decenni or sono agli astronauti della missione Apollo 8, ci mostrasse per la prima volta il nostro pianeta azzurro con una nuova profondità di campo. Al vederlo con questa nuova prospettiva, simile a quella che ebbero gli astronauti nel Natale del 1968 dall'orbita lunare, ne cogliamo la fragilità e la sua condizione di casa comune, lo riconosciamo come origine solidale del genere umano che lo abita. Una percezione che —proprio come chi, dallo spazio, riflette sulla posizione della terra e dell’uomo nel cosmo— dovrebbe spingere anche ciascuno di noi a cercare nella comune dipendenza da un Creatore, un fondamento che motivi il nostro agire responsabile, una base su cui edificare un futuro più ottimista, una volta convertiti a comportamenti che pongono al centro il rispetto degli altri, il servizio, la condivisione.
Qual è, dunque, il messaggio centrale dell’enciclica? Un documento, questo, di intelaiatura certamente cristologica, come ben dimostra la sezione biblica, nella quale troviamo una coraggiosa ma certamente opportuna citazione di Teilhard de Chardin (cf. n. 83), un testo per la cui stesura il Papa ha scelto come fonti spirituali privilegiate san Francesco e san Bonaventura e come falsariga per gli aspetti filosofici il noto saggio di Romano Guardini La fine dell’epoca moderna (1950). Riteniamo che il cuore del messaggio sia chiarire, in modo articolato e motivato, il valore morale e relazionale di ogni nostra azione, per piccola che possa sembrare. Dalle grandi multinazionali alla madre di famiglia, dai politici agli imprenditori, da chi muove le leve dell’industria a chi decide le strategie economiche dei Paesi, uomini potenti e uomini comuni, tutti siamo invitati a riflettere sulle conseguenze dei nostri comportamenti, perché essi non sono mai privati, neutri: su un pianeta come il nostro ogni gesto entra in relazione con gli altri, edifica o distrugge, conserva o spreca, valorizza o umilia, custodisce o trascura. La valenza morale del nostro essere parte di un’umanità che abita la terra, però, non riguarda solo il fatto di dover evitare comportamenti dannosi e irresponsabili: la vita morale alla quale siamo consapevolmente invitati riguarda anche la gratitudine per esserci, la contemplazione del creato che ci circonda, la gioia di riconoscersi al centro di una trama di relazioni che ci precede e ci accompagna e che ha la sua origine più radicale nella volontà amorosa di un Creatore. Il testo di papa Bergoglio, in sostanza, si dirige in modo chiaro ed energico contro l’individualismo, ma non si esaurisce per questo in una condanna: è l’invito a rispettare quanto abbiamo ricevuto e a costruire insieme una creazione ancora in status viae. «Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo —ci esorta papa Francesco— i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati» (n. 11). L’uomo, ci viene ricordato, non è solo libertà, ma anche natura e lo spreco è proprio di chi non riconosce nessuno sopra di sé (cf. n. 6). In definitiva, ambiente umano e ambiente naturale, valore della vita umana e valore che diamo alla natura, crescono o degradano insieme (cf. n. 48).
I canoni del rapporto fra uomo e natura richiedono una necessaria relazione con il Creatore: non possiamo difendere la terra in una logica in cui l’essere umano debba scomparire per fare posto alla natura; non custodiamo la natura per onorare la natura, ma perché la natura è creatura di Dio, insieme all’uomo ed in certa misura a lui ordinata. Sufficientemente chiare paiono, in tal senso, le seguenti parole: «Invece di risolvere i problemi dei poveri e pensare a un mondo diverso, alcuni si limitano a proporre una riduzione della natalità. Non mancano pressioni internazionali sui Paesi in via di sviluppo che condizionano gli aiuti economici a determinate politiche di “salute riproduttiva”. Però, “se è vero che l’ineguale distribuzione della popolazione e delle risorse disponibili crea ostacoli allo sviluppo e ad un uso sostenibile dell’ambiente, va riconosciuto che la crescita demografica è pienamente compatibile con uno sviluppo integrale e solidale” [Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 483]. Incolpare l’incremento demografico e non il consumismo estremo e selettivo di alcuni, è un modo per non affrontare i problemi» (n. 50). La Chiesa ricorda non solo il dovere di prendersi cura della natura, ma anche, e soprattutto, quello di proteggere l’uomo contro la distruzione di sé stesso (cf. n. 79).
La proposta che soggiace il documento è quella di porre le basi perché si possa parlare di una ecologia integrale. L’espressione non si riferisce tanto al fatto di estendere l’oggetto materiale delle nostre cure per includervi sempre nuovi elementi o comportamenti, quanto all’idea di generare una cultura —ed una corrispondente leadership— capace di accrescere in noi la consapevolezza del valore delle relazioni che ci legano agli altri, alla natura, a Dio, l’importanza di ciascuna di esse per il bene del tutto. In tal senso, si può parlare di una vera e propria “ecologia culturale”: «Bisogna integrare la storia, la cultura e l’architettura di un determinato luogo, salvaguardandone l’identità originale. Perciò l’ecologia richiede anche la cura delle ricchezze culturali dell’umanità nel loro significato più ampio. In modo più diretto, chiede di prestare attenzione alle culture locali nel momento in cui si analizzano questioni legate all’ambiente, facendo dialogare il linguaggio tecnico-scientifico con il linguaggio popolare» (n. 143). Ne viene così rivista la nozione di “qualità della vita”: essa non è più solo legata ai beni materiali e di consumo di cui si dispone, ma alle relazioni di cui si è protagonisti; relazioni storiche, familiari, culturali, ambientali che ci arricchiscono e ci fanno essere noi stessi (cf. n. 145). Si trova qui un’importante ermeneutica di tutto il documento: quando parliamo di “ambiente”, afferma papa Francesco, facciamo riferimento alla relazione tra la natura e la società che la abita (cf. n. 139). Aspetto fondamentale di questa ecologia integrale è riflettere sulla nozione di “ecologia umana” che, in continuità con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, anche Francesco non teme di collegare all’idea di natura umana e di legge naturale. L’ecologia umana, si afferma, implica la necessaria relazione della vita dell’essere umano con la legge morale inscritta nella propria natura, indispensabile per creare un ambiente dignitoso e vivibile, nel quale l’essere umano si trovi a proprio agio. Ed esiste una “ecologia dell’uomo” perché anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere (cf. n. 155; Benedetto XVI, Discorso al Deutscher Bundestag, Berlino, 22.9.2011). Non mancano qui delle applicazioni al problema del gender: «Imparare ad accogliere il proprio corpo, ad averne cura e a rispettare i suoi significati è essenziale per una vera ecologia umana. Anche apprezzare il proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità è necessario per poter riconoscere sé stessi nell’incontro con l’altro diverso da sé. In tal modo è possibile accettare con gioia il dono specifico dell’altro o dell’altra, opera di Dio creatore, e arricchirsi reciprocamente. Pertanto, non è sano un atteggiamento che pretenda di cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa» (n. 155).
Nella situazione odierna, la nozione di bene comune non può essere impiegata senza far riferimento anche ad un “principio di solidarietà” (cf. nn. 155-158). Parlare di ambiente si traduce dunque, necessariamente, in un discorso sull’attenzione ai più poveri, che dei comportamenti contrari ad una retta ecologia sono i primi a pagarne le conseguenze. Siamo dunque di fronte ad un documento di dottrina sociale della Chiesa, nel quale il tema della giustizia, dell’equa distribuzione dei beni e della difesa dei più deboli costituisce la maggiore preoccupazione di fondo che ne motiva le riflessioni. Sarebbe però riduttivo inquadrarla come una semplice enciclica sociale, così come sarebbe riduttivo, per quanto prima visto, interpretare la nozione di ecologia come semplice cura dell’ambiente naturale. La trama di relazioni da curare e da sanare è assai più profonda e complessa di quella messa in luce da una semplice riflessione sulla natura e sui suoi dinamismi conseguenti le azioni dell’uomo. L’enciclica ci pone di fronte anche ad una visione della scienza e della tecnica, ai loro rapporti e, soprattutto, al ruolo dell’uomo come soggetto dell’impresa tecnico-scientifica.
Scienza e religione, pur fornendo approcci diversi alla realtà, possono entrare in un dialogo intenso e produttivo (cf. n. 62); anzi, per costruire un’ecologia che permetta di riparare ciò che abbiamo distrutto, nessun ramo delle scienze e nessuna forma di saggezza può essere trascurata (cf. n. 63). Una scienza che pretenda di offrire soluzioni alle grandi questioni, deve tener conto di tutto ciò che la conoscenza ha prodotto nelle altre aree del sapere, comprese la filosofia e l’etica sociale (cf. n. 110). Papa Francesco, come già prima di lui Giovanni Paolo II, prende le distanze da una visione della neutralità della scienza o della tecnica. Esse sono azioni dell’uomo e, dunque, legate ad una specifica valutazione morale. «Occorre riconoscere che i prodotti della tecnica non sono neutri, perché creano una trama che finisce per condizionare gli stili di vita e orientano le possibilità sociali nella direzione degli interessi di determinati gruppi di potere. Certe scelte che sembrano puramente strumentali, in realtà sono scelte attinenti al tipo di vita sociale che si intende sviluppare» (n. 107) La tecnologia comporta certamente dei rischi, ma non va demonizzata, perché ad essa dobbiamo il miglioramento delle nostre condizioni di vita (cf. nn. 103-104). Affinché la scienza e la tecnica cooperino al bene e al progresso umano sono necessarie due cose: lo studio e la trasformazione della realtà devono rispettare la verità e il significato presenti nelle cose, ultimamente poggiato su una relazione di creazione (cf. n. 117); inoltre, l’operatore scientifico deve crescere in umanità e saggezza. Ritroviamo quanto Guardini stesso aveva indicato sia ne La fine dell’epoca moderna, più volte citata da papa Francesco, sia nel saggio Lettere dal Lago di Como (1925) a proposito delle necessità di una valorizzazione umanistica della tecnica. «L’uomo moderno non è stato educato al retto uso della potenza, perché l’immensa crescita tecnologica non è stata accompagnata da uno sviluppo dell’essere umano per quanto riguarda la responsabilità, i valori e la coscienza» (n. 105). Il potere va orientato al servizio, la singolarità dell’uomo nella natura va ordinata alla capitalità di Cristo sulla creazione. «Non è possibile frenare la creatività umana. Se non si può proibire a un artista di esprimere la sua capacità creativa, neppure si possono ostacolare coloro che possiedono doni speciali per lo sviluppo scientifico e tecnologico, le cui capacità sono state donate da Dio per il servizio degli altri. Nello stesso tempo, non si può fare a meno di riconsiderare gli obiettivi, gli effetti, il contesto e i limiti etici di tale attività umana che è una forma di potere con grandi rischi» (n. 131).
Sempre in merito al rapporto con le scienze, alcuni spiriti critici potranno forse distanziarsi da alcune affermazioni del testo le quali, se prese letteralmente, potrebbero risultare non sempre precise. Ad esempio, l’idea che si debba lamentare l’estinzione di una specie come fosse una mutilazione (cf. 89), se presa in senso letterale, sembrerebbe ignorare che, in un quadro evolutivo, la maggior parte delle specie biologiche si estinguono necessariamente per dare origine a morfologie maggiormente in sintonia con l’ambiente, e che la comparsa della specie umana si è necessariamente giovata proprio di tali estinzioni. In realtà, così ci sembra, l’enciclica vuole sottolineare che ogni vivente —passato, presente o futuro— partecipa della sacralità della vita, che ha in Dio la sua fonte; pertanto, ogni specie biologica merita rispetto e tributa lode al Creatore. L’idea che il comportamento umano sia all’origine di vere e proprie catastrofi naturali (cf. 161) potrebbe sorprendere qualcuno, ma il Pontefice, così ci sembra, pare riferirsi ad una tipologia piuttosto ampia di danni, che non andrebbe sempre identificata con sconvolgimenti geologici di grande scala. Il fatto, poi, che esista un consenso della maggior parte degli scienziati circa la realtà del riscaldamento globale (nn. 23, 51), potrebbe risultare a qualcuno non condivisibile, ma è un dato oggettivo che tale capitolo sia stato, e continui ad essere, all’ordine del giorno di Conferenze internazionali dove gli uomini di scienza sono ascoltati e possono confrontarsi fra loro. L’opzione espressa, infine, in favore delle energie alternative e rinnovabili da preferire ai combustibili fossili (n. 165) potrebbe forse non tener conto che, allo stadio attuale, tali energie non sempre implicano dei cicli meno inquinanti, ma resta pur sempre vero che la direzione verso la quale muoversi non potrà essere che quella.
«In questa Enciclica, afferma papa Francesco, mi propongo specialmente di entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune» (n. 3). La custodia del pianeta, ma anche la cura e lo sviluppo del tessuto di relazioni antropologiche, storiche e culturali associate alla nozione di “ecologia integrale”, è vista dal Pontefice come un fecondo terreno di incontro per diversi popoli e culture, una preziosa occasione di dialogo per le religioni che si riconoscono interpreti di un principio di creazione, il tema-guida di un ecumenismo su larga scala che aiuti l’uomo a riprendere coscienza del suo ruolo e del suo destino. L’educazione alla sobrietà, all’umiltà e alla pace coinvolge davvero tutti e a tutti interessa. In un mondo frammentato, ove l’individualismo e il materialismo rischiano di appiattire ciò che l’essere umano è, per natura, nel panorama della creazione, il comune dialogo sull’ambiente, ambiente naturale ed ambiente umano, diviene cruciale. Può essere un nuovo punto di partenza —così ce lo auguriamo— per tornare a guardare il nostro pianeta azzurro con la prospettiva giusta: non solo il luogo di risorse che devono essere ottimizzate e di spazi da condividere, ma anche come il luogo che custodisce la memoria di un dono del Creatore, quella della vita di ciascun essere umano, di ogni vivente che ci ha preceduto e che verrà.
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