Parlare di Expo Milano 2015 vuol dire ormai avviarsi a delineare un bilancio dell’evento, che terminerà a fine ottobre: impresa difficile, tante sono le valenze di questi sei mesi ininterrotti della manifestazione internazionale. Ha primeggiato (ma forse avrebbe dovuto avere ancor più attenzione) il tema centrale, “nutrire il Pianeta”; ma c’è tutta una costellazione di temi connessi: salvaguardia dell’ambiente, questione energetica, equità nei commerci, geopolitica; e non sono da meno gli aspetti legati alla socialità e alle culture: accoglienza, multietnicità, incontro di tradizioni, bellezza.
Non è questa la sede, e non abbiamo neppure gli strumenti, per tracciare valutazioni complessive e tanto meno quantitative (anche se i numeri pare stiano dando ragione agli expottimisti); però ci sembra di intravvedere un elemento prezioso fare capolino tra la congerie di proposte, appuntamenti, convegni, ruotanti attorno ai padiglioni (spettacolari) del sito di Rho-Pero e nelle numerose iniziative del fuori-Expo. Un elemento che forse molti dei visitatori non hanno colto con chiarezza, troppo colpiti dalla imponenza dell’evento e attratti (o meglio, distratti) dalla pluralità e contemporaneità di richiami e suggestioni, che poco spazio lascia alla riflessione sui messaggi e alla assimilazione dei contenuti, da quelli più tecnici e descrittivi a quelli più profondi e meno espliciti.
Ecco a cosa ci riferiamo. Quello di nutrire il Pianeta è un problema serio e urgente, che è da sempre nelle agende dei vari programmi di sviluppo internazionali e non riesce a passare nel catalogo dei “problemi risolti”. Lo aveva evidenziato Papa Francesco in febbraio nel videomessaggio inviato in occasione dell’evento "Le Idee di Expo 2015", richiamando quello che già san Giovanni Paolo II indicava come "paradosso dell'abbondanza": «c'è cibo per tutti, ma non tutti possono mangiare, mentre lo spreco, lo scarto, il consumo eccessivo e l'uso di alimenti per altri fini sono davanti ai nostri occhi. Questo è il paradosso! Purtroppo questo paradosso continua a essere attuale».
Questa situazione, come in genere le diverse crisi ambientali - dalle varie forme di inquinamento, alla desertificazione, al dissesto idrogeologico - sono l’espressione macroscopica e drammatica di qualcosa che avviene o è avvenuto più in profondità; affondano le radici in qualcosa che non coinvolge soltanto i meccanismi e gli equilibri naturali ma tocca direttamente l’uomo. La radice sta in quello che, nella Centesimus Annus, il Papa polacco aveva definito “errore antropologico”: «L'uomo, che scopre la sua capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro, dimentica che questo si svolge sempre sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio. Egli pensa di poter disporre arbitrariamente della terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria forma ed una destinazione anteriore datale da Dio, che l'uomo può, sì, sviluppare, ma non deve tradire. Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell'opera della creazione, l'uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui».
È lo stesso giudizio che ha portato Papa Francesco a parlare, nella Laudato si, di “antropocentrismo deviato”, figlio del relativismo pratico e «ancora più pericoloso di quello dottrinale», generatore di «uno stile di vita deviato» e di una logica «usa e getta che produce tanti rifiuti solo per il desiderio disordinato di consumare più di quello di cui realmente si ha bisogno».
Quella che balza subito in primo piano di fronte al tema della fame allora è la domanda sull’uomo, sul suo modo di rispondere ai suoi bisogni, sul modo con cui imposta le sue relazioni: con la natura, con gli altri, con Dio. C’è un evidente legame tra cibo e idea di uomo e di umanità. Nella Carta di Milano – il documento programmatico sottoscritto dai partecipanti a Expo – si dichiara: “il cibo svolge un ruolo importante nella definizione dell’identità di ciascuna persona ed è una delle componenti culturali che connota e dà valore a un territorio e i suoi abitanti”. Se al centro c’è l’uomo, secondo un giusto antropocentrismo che rifugga gli estremi sia di una sottovalutazione della natura sia della sua esaltazione panteistica, allora i valori materiali e quelli simbolici possono andare insieme e i secondi non si ridurranno a un’appendice estetica o moralistica tutto sommato superflua.
Del resto, il titolo stesso della manifestazione milanese si presta a una lettura più ampia e integrale: quella che potrebbe sembrare una pura aggiunta - “energia per la vita” - sta a indicare che “nutrire il pianeta” non è solo una questione alimentare e che ciò di cui abbiamo bisogno è di tutto quello che può “nutrire la vita”. La difficoltà di molti protagonisti di Expo a declinare il tema in questo modo ampio, come pure la resistenza di molti visitatori a leggere così le diverse proposte è dipesa, oltre che da una mancanza di coraggio culturale, da una visione riduttiva del termine “vita”. Laddove ciò non è avvenuto, la vista a Expo è risultata maggiormente interessante e coinvolgente. A partire dal Padiglione Zero, che ha invitato a guardare il Pianeta dall’interno, sotto la crosta terrestre ripercorrendo, attraverso i simboli e le mitologie, le fasi dell’evoluzione del rapporto dell’uomo con la Natura fino alle forti contraddizioni dell’alimentazione contemporanea. Ma anche lo spazio della Santa Sede, “Non di solo pane”, ha offerto suggestioni di grande intensità, sottolineando come “Il cibo e l’azione del nutrire sono per l’uomo uno spazio di educazione senza paragone e senza precedenti, vista la forza e l’universalità delle loro dinamiche simboliche”; e raccontando, in un originale tavolo interattivo, le diverse connotazioni di un luogo che unisce tanti momenti della vita umana, un luogo che è mensa, altare, scrivania, banco di lavorazione.
In altri casi ci sono stati interessanti richiami alle culture e alle tradizioni locali, in vario modo connessi alla tematica alimentare. A volte questo può essere scaduto in azione turistica e promozionale; ma complessivamente il visitatore attento ha potuto, e può ancora in questo scampolo di esposizione, percepire il messaggio di un nesso fondamentale tra visione dell’uomo e problema alimentare, di una unitarietà tra coltura e cultura. Si può estendere alla questione alimentare quello che Benedetto XVI aveva detto riferendosi al problema dell’acqua nel messaggio per l’esposizione internazionale di Saragozza del 2008: “Il fatto che oggigiorno si consideri l'acqua come un bene preminentemente materiale, non deve far dimenticare i significati religiosi che l'umanità credente, e soprattutto il cristianesimo, ha sviluppato a partire da essa, dandole un grande valore come un prezioso bene immateriale, che arricchisce sempre la vita dell'uomo su questa terra. (…) Il pieno recupero di questa dimensione spirituale è garanzia e presupposto per un'adeguata impostazione dei problemi etici, politici ed economici che condizionano la complessa gestione dell'acqua da parte di tanti soggetti interessati, nell'ambito sia nazionale sia internazionale”.
In questa linea si situano gli elementi propositivi che ci pare di aver colto e che possono rappresentare una componente cospicua dell’eredità di Expo: non alternativa all’eredità di decisioni e iniziative sociali, economiche e politiche ma necessaria per dare “nutrimento” e solidità a tali iniziative. E comunque dovrà essere fattore centrale di quel lavoro educativo che è l’unica condizione perché il dopo-Expo non si riduca a una raccolta di ricordi o alla riproposizione di spettacolari reportage multimediali ma diventi possibilità di costruzione di soggetti maturi e consapevoli, trovando educatori – come auspica l’Enciclica Laudato si – “capaci di reimpostare gli itinerari pedagogici di un’etica ecologica, in modo che aiutino effettivamente a crescere nella solidarietà, nella responsabilità e nella cura basata sulla compassione”.