Sul finire dell’anno, mentre le giornate si ripiegano su se stesse, un pensiero silente alberga nell’animo degli uomini e, sotteso all’Avvento, si fa sempre più presente il mistero del Verbo eterno che si fa voce nel silenzio della culla. L’arcano che soggiace al tempo di Natale interpella e coinvolge gli uomini che, in questo suo giungere, sono accompagnati dagli eventi naturali che sembrano quasi piegarsi al racconto del mistero dell’incarnazione. Anche la liturgia con la sua simbologia e ritualità, parla di una cosmologia che a sua volta sembra farsi voce del racconto divino assumendo quasi il ruolo di ponte, di legame, tra il mondo spirituale e quello materiale.
Nei giorni dell’Avvento, ad esempio, sono diversi i riferimenti a quel «sole che sorge» (Lc 1,78) che, proprio in questo periodo, si fa carne tra le tenebre nel tempo. Sono questi infatti i giorni in cui la luce del giorno sembra soccombere al buio della notte nello stringersi di giornate sempre più corte e fredde e, proprio quando il giorno sembra destinato ad essere sempre più breve, cade il solstizio d’inverno e la luce ritorna a vincere sull’oscurità. L’alternanza tra giorno e notte, la lotta tra luce e tenebre, sono quindi lo sfondo naturale in cui si vive l’attesa della ripresentazione del mistero e la vittoria del sole sulla notte preannuncia ciò che sta per avvenire. Nel Vangelo di Giovanni troviamo un riferimento preciso che possiamo ricondurre in chiave simbolica alla successione tra luce e tenebre e che anticipa quanto si vive nel tempo di Natale. Nel racconto su San Giovanni Battista, il precursore del Verbo Incarnato riferendosi a Cristo dichiara: «Bisogna che egli cresca e che io diminuisca» (Gv 3,30). Come raccontano le scritture Giovanni viene al mondo sei mesi prima di Cristo, quindi Giovanni nasce quando i giorni cominciano ad accorciarsi, mentre Cristo nasce quando le giornate tornano ad allungarsi. In questo mirabile parallelismo tutto assume una valenza profonda e mistica: Giovanni, precursore di Cristo, si leva con il solstizio d’estate e, Cristo, nuovo Sole, che è la luce del mondo (Gv 8,12), sorge quando le tenebre sembrano vincere.
Anche la liturgia e il racconto della nascita di Cristo ci parlano di tutto questo, persino i canti che la liturgia propone in questo periodo rimandano ai segni naturali come cornice del cantico spirituale della nascita del Verbo. Nel Rorate Coeli è ben espresso il rapporto intrinseco nella liturgia quale celebrazione pubblica del culto e la sua dimensione cosmica: «Stillate, cieli, dall'alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia», dal cielo giunge la giustizia per incarnarsi nel seno della terra e far nascere la vita nuova. Anche nel polisalmo Laetentur Coeli et exultet terra (Gioiscano i cieli ed esulti la terra, tripudiate di gioia o monti. Prorompano in giocondità i monti e i colli in giustizia…) si narra la lode del creato al Creatore che si fa carne, natura esso stesso. Nell’Antifona Maggiore del Magnificat del 21 dicembre invece, torna un riferimento importante alla luce ed al sole «O Oriens, splendor lucis aeternae, et sol iustitiae…» (O astro che sorgi, splendore della luce eterna, e sole di giustizia: vieni ed illumina coloro che giacciono nelle tenebre e nell’ombra di morte). Quel divino Oriente che si celebra nella liturgia assume ulteriori significati che avvicinano la preghiera al mondo naturale. Simbolicamente gli altari delle chiese sono rivolti proprio ad Oriente e pregando ci rivolgiamo in direzione di quel Sole che sorge che «come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente» (Mt 24, 27). Dirigendosi verso Oriente la liturgia sembra accompagnare l’uomo nella via che porta verso il mistero che ci apprestiamo a celebrare, verso il Verbo, quel Logos incarnato nella storia e nel cosmo. Diretti verso quello che sempre più ci appare nella veste di Pantocratore possiamo provare a sollevare il velo del mistero dell’incarnazione e della creazione uniti proprio in quel Logos sceso tra noi e fattosi carne.
Di questo ci parla anche il prologo del Vangelo di Giovanni riferendosi al Verbo (Logos) come colui che «era in principio» (Gv 1,1) affermandone chiaramente il ruolo svolto nella creazione del mondo «Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste. […] il mondo fu fatto per mezzo di lui». (vv. 3 e10). Il Creatore del mondo viene a sua volta incontro a noi e si fa scoprire tramite il mistero dell’incarnazione: esiste, si fa conoscere, ci parla ed «è centro del cosmo e della storia» [Redemptor Hominis, 1]. Afferma anche Agostino di Ippona: "Esultiamo, o Fratelli perché questo giorno è sacro non già per il sole visibile, ma per la nascita dell'invisibile creatore del sole. Il Figlio di Dio ha scelto questo giorno per nascere, come si è scelta una Madre, lui che è il creatore del giorno e della Madre insieme. Questo giorno, infatti, nel quale la luce ricomincia ad aumentare, era adatto a significare l'opera di Cristo che, con la sua grazia, rinnova continuamente il nostro uomo interiore. Avendo l'eterno Creatore risolto di nascere nel tempo, bisognava che il giorno della sua nascita fosse in armonia con la creazione temporale» (Discorso in Natale Domini, iii).
Così è anche un astro del cielo, “la stella”, a far da guida nel racconto evangelico a coloro che indagano questo mistero. Un segno astronomico conduce i Magi alla stalla e la stella che brilla su Betlemme indica al mondo dove il Verbo sta per farsi voce terrena. Una luce nuova brilla nel mondo, un nuovo sole risplende accompagnato dal risorgere della luce nelle giornate, dalla stella di Betlemme e, volgendo lo sguardo al suolo verso la mangiatoia possiamo ricordarci che dalla terra è germinato il Salvatore.
Questo è dunque un momento dell’anno davvero privilegiato per poter riflettere con intelligenza sulla fede. Cielo e terra si uniscono nell'incarnazione così come ragione e fede insieme si innalzano nell’indagare i fatti naturali e nel ravvedere nel cosmo i segni che la fede rende espliciti nella storia. Infatti, come scriveva Giovanni Paolo II nella Fides et Ratio n° 13: «La conoscenza di fede non annulla il mistero; solo lo rende più evidente e lo manifesta come fatto essenziale per la vita dell’uomo».