La lettura del breve saggio di Francesco Agnoli Lo splendore che ci trascende (Gonsolin, Verona 2017) mi ha suggerito l’idea di far conoscere ai visitatori del nostro Portale una figura poco nota e per certi versi davvero originale. Stiamo parlando del matematico francese di origine tedesca Alexander Grothendieck, scomparso nel 2014, al quale si devono importanti scoperte nel settore della geometria algebrica. Grothendieck ha trascorso ritirato e in solitudine gli ultimi 20 anni della sua vita e per tutto l’arco della sua esistenza manifestò un costante interesse per l’ignoto e una inquieta ricerca di senso.
Nato a Berlino il 28 marzo 1928, Grothendieck è figlio dell'anarchico ebreo di origine russa Sasha Shapiro e della rivoluzionaria socialista Hanka. Ha solo cinque anni quando Adolf Hitler salì al potere nel 1933 e i genitori decisero di allontanarsi dalla Germania alla volta della Francia lasciando Alexander ad Amburgo in affidamento presso la famiglia del pastore luterano e insegnante Wilhelm Heydorn. Nel 1936 il padre partecipò al fianco dei repubblicani spagnoli nella guerra civile contro Francisco Franco e soltanto nella primavera del 1939, alla conclusione del conflitto iberico, Alexander riuscì a riunirsi con i genitori a Nimes. Nell'ottobre dello stesso anno il padre fu arrestato e, in seguito alla promulgazione delle leggi razziali da parte del governo di Vichy nel 1940, deportato ad Auschwitz, dove morì nell'agosto 1942. La madre Hanka e Alexander furono internati presso il campo di Rieucros ma scamparono all'eccidio. La madre morì successivamente a causa di una tubercolosi contratta in prigionia.
Durante la guerra, Grothendieck riuscì a frequentare il liceo Collège Cévenol in Chambon-sur-Lignon, unica scuola secondaria presente, fondata nel 1938 da una comunità locale di protestanti pacifisti. All’epoca alloggiava, lontano dalla madre, nella casa Secours Suisse per bambini rifugiati, dove era tuttavia costretto a fuggire e nascondersi nei boschi ad ogni rastrellamento della Gestapo. Conseguita la licenza liceale nel 1945, a guerra finita, si iscrisse all'Università di Montpellier, ma ebbe poca soddisfazione dai corsi e programmi di insegnamento e non fu uno studente particolarmente brillante. La sua curiosità lo spinse però a sviluppare autonomamente una linea di ricerca sulla teoria della misura e dell'integrazione. Ammesso all’École Normale Supérieure, i suoi primi interessi scientifici si rivolsero all'analisi funzionale e sotto il consiglio di Henri Cartan si trasferì all'Università di Nancy dove completò il dottorato nel 1953.
A partire dagli anni Cinquanta Grothendieck divenne uno dei più grandi esperti di teoria degli spazi vettoriali topologici e di geometria algebrica. Proseguì le sue ricerche all’Università di San Paolo in Brasile, dove rimase per due anni. Nel 1956 si stabilì definitivamente in Francia, dove si sposò e chiese la cittadinanza francese (era apolide dal 1940). Nel 1959 fu nominato professore all’IHES (Insitut des Hautes Études Scientifique). Le ricerche condotte in quegli anni da Grothendieck e dai suoi collaboratori divennero retroterra indispensabile nel campo della geometria algebrica. «L’eccellenza di Grothendieck, il suo genio matematico, è ben riconoscibile nella sua propensione naturale a palesare dei temi visibilmente cruciali che nessuno aveva evidenziato o riconosciuto. La sua fecondità ha radici profonde e si esprime attraverso linguaggi sempre nuovi, emerge come un torrente di nuove nozioni-astrazioni ed enunciati-formulazioni» (Barbieri Viale, 2007, p. 240).
La caratteristica fondamentale di Grothendieck fu la capacità di trovare l'astrazione “giusta". Non era interessato a risolvere problemi, ma a scoprire dei “mondi matematici”. I problemi lo interessavano solo quando questi parevano indicare l'esistenza di strutture profonde e nascoste. «Per Grothendieck, le teorie matematiche sono anche opportunità per la riflessione in senso lato e un esercizio meditativo, una forma di contemplazione che accompagna la nostra avventura interiore. La matematica è quindi uno yoga che si diversifica e prolifera teorie differenti ma che ha fondamenta ben solidamente unitarie» (Barbieri Viale, 2007, p. 241). Secondo Deligne, suo allievo, egli mirava a scoprire e creare l'ambiente che costituiva l'habitat naturale del problema. Questo lo interessava più che il risolverlo.
Nel 1966, durante il Congresso Internazionale dei matematici a Mosca gli fu attribuita la medaglia Fields (massima onorificenza mondiale per i matematici sotto i 40 anni di età), ma Grothendieck mostrò in quest’occasione il suo spirito anticonformista, non ritirando il premio per protesta contro la politica di riarmo sovietica. Durante la seconda parte degli anni Sessanta il matematico maturava e manifestava apertamente i suoi ideali antimilitaristi e pacifisti, oltre alla sua lotta per superare le diseguaglianze sociali, ponendosi in aperto contrasto con la struttura accademica francese. A questo proposito fondò nel 1970, insieme ai matematici Chevalley e Pierre Samuel, il gruppo pacifista ed ecologista Survivre, una società internazionale ed interdisciplinare assai critica sugli sviluppi e sulle applicazioni incontrollate della scienza e della tecnologia. Fra le varie proteste messe in atto contro la guerra del Vietnam, Grothendieck tenne delle lezioni durante i bombardamenti di Hanoi.
Fedele alla sua visione radicale, sempre nel 1970, all'età di 42 anni, abbandonò la scena ufficiale, dimettendosi dall'IHES. La motivazione ufficiale risultò essere la scoperta che l'Institut riceveva da alcuni anni finanziamenti da parte del Ministero della Difesa francese. Molto si è dibattuto sulle molteplici ragioni che portarono il matematico a quella che lui stesso definirà come “la grande svolta”(le grand tournant) della sua vita, avvenuta nel 1972. Sappiamo che a tale svolta seguì non solo l’abbandono della matematica, ma anche un completo stravolgimento della vita dell’autore nella sua interezza. Si separò dalla moglie con la quale aveva avuto tre figli e per un periodo visse in una comune, creando nuovi legami affettivi e avendo un altro figlio. Si trasferì poi a Villecun dove, per lungo tempo, si dedicò a scrivere delle meditazioni di tenore esistenziale, avendo ormai completamente abbandonato l’attività di ricerca.
Dopo la Medaglia Fields Grothendieck rifiutò anche un’altra importante onorificenza, il Crafoord Prize conferitogli dall'Accademia Reale Svedese delle Scienze nel 1988. Anche in questo caso egli motivò la sua scelta su basi etiche, illustrate in una lettera aperta ai giornali in cui criticava la comunità scientifica e in particolare alcuni circoli matematici per il loro scarso impegno ideale. Ritiratosi a vita privata in campagna presso Mormoiron, si dedicò alla corrispondenza e alla redazione di Récoltes et Semailles, una lunga riflessione-testimonianza della sua vicenda umana e del suo passato di matematico. Nella “Raccolta” egli descrive il suo approccio alla geometria e lo qualifica come uno degli approcci possibili, utilizzando l’immagine metaforica della noce dura da aprire. Un approccio per aprire la noce è con martello e scalpello: si colpisce, in punti diversi, finché il guscio non si spacca. Un altro è quello di immergerla in liquido ammorbidente, sfregando ogni tanto perché il liquido penetri meglio. Dopo qualche settimana, o mese, quando l'ora è arrivata, basta stringere con la mano, e la noce si apre come un avocado perfettamente maturo. In quest’opera egli riflette inoltre sulla dimensione scientifica e filosofica della matematica: «Ogni scienza – egli afferma– quando la intendiamo non come uno strumento di potere e dominio, ma come un'avventura nella conoscenza perseguita dalla nostra specie attraverso i tempi, altro non è che armonia, più o meno vasta e più o meno ricca da un'epoca all'altra, che si svolge nel corso delle generazioni e dei secoli, per il delicato contrappunto di tutti i temi che appaiono di volta in volta, come evocati dal vuoto».
Nel 1974 Grothendieck si era convertito al buddismo, ma la sua adesione non durò a lungo. Intorno al 1980 si interessò della mistica cristiana conquistato dalla figura della mistica cattolica Marthe Robin. Scrive Agnoli: «Con il tempo, Alexander accede al Dio personale. La via non è solo quella logica, ma anche un’altra, quella mistica: anche lui come il matematico Cartesio, sogna; anche lui, come il matematico Pascal, si sente toccato vivamente, intimamente, dall’incontro personale con Dio». (p. 27) Secondo Grothendieck, ciascuno di noi ha un ruolo, una “missione” in questa esistenza. Parte importante del viaggio di ciascuno, talvolta doloroso e inquieto, sta nel cercare di conoscere e riconoscere quale essa sia.
La spiritualità è un concetto chiave delle sue riflessioni, come testimonia il suo dattiloscritto inedito La Clef des Songes (1987), che egli descrive come “testimonianza di una lunga meditazione che non ha scopo, in cui il pensiero è lasciato in gran parte a se stesso”. Inizia quest’opera affermando, forse ricorrendo ad una metafora, che vi è un essere esterno, il "sognatore", che conosce le persone e suscita in loro dei sogni, aventi un'importanza particolare e contenenti dei messaggi. A causa del torpore e della paura del cambiamento, molte persone non comprendono tali messaggi. I sogni non sono quindi il risultato di processi mentali di persone, ma sono messaggi provenienti dall'esterno. Il "Dreamer", colui che ci parla attraverso i sogni, sarebbe Dio. In queste e in molte altre riflessioni dell’Autore emergono argomentazioni eterodosse (ne è esempio il testo su “Les Mutants”, in cui parla di persone che differiscono dai mortali e che costituirebbero personalità chiave della storia umana). Non mancano tuttavia riflessioni profonde e toccanti: «Dio è per me il nome che noi diamo all’anima dell’Universo, al soffio creatore che sonda, conosce e anima tutte le cose e che crea e ricrea il mondo in ogni istante. È quello che è infinitamente e indicibilmente vicino a ciascuno di noi in particolare, come è al medesimo tempo, ciò che è il meno “personale”, il più “universale”. Perché egli è in te nella minima cellula del tuo corpo e nelle ultime pieghe della tua anima, così è in ogni essere e in ogni cosa nell’Universo, oggi come domani come ieri, dalla notte dei tempi e dall’origine delle cose».
Il cammino spirituale di Grothendieck seguito alla “grande svolta” del 1972 coincise con un periodo spesso faticoso e tormentato. Attraversò momenti di crisi ed episodi di stranezza per i quali ebbe talvolta bisogno di interventi medici e psichiatrici di supporto. A partire dal 1991, fece perdere alla comunità matematica il proprio contatto, conducendo da allora una vita solitaria nel sud della Francia o ad Andorra.
Nel lungo periodò che arriverà fino alla sua morte, sopraggiunta all’età di 86 anni, Grothendieck bruciò circa 25.000 pagine di manoscritti: matematica, politica, lettere personali, riflessioni filosofiche. I pochi contatti che mantenne con suoi ex allievi negli anni ’90 ce lo descrivono come un uomo isolato nelle sue ossessioni, che si occupa di fisica e religione, che lascia intravedere atteggiamenti paranoici. Un gruppo di ex allievi iniziò a trascrivere in maniera pubblicabile i manoscritti matematici degli anni ’80. D’improvviso nel 2010, con una lettera al suo ex allievo Illusie, Grothendieck intimò di sospendere ogni attività di divulgazione dei suoi scritti, che vengono quindi giudiziosamente tolti da Internet. Giovedì 13 Novembre del 2014, dal piccolo ospedale di Saint Girons, al confine con la Spagna, giunse la notizia della sua morte.
Il vissuto di Grothendieck e i suoi scritti testimoniano la vicenda di un uomo che non ha mai smesso di sentirsi in movimento, in cammino, in viaggio verso nuovi orizzonti di conoscenza. Fu senza dubbio un matematico geniale, creativo e brillante, un convinto sostenitore del movimento ecologista impegnato nel promuovere un impiego eticamente illuminato della tecnica e della tecnologia; fu un uomo aperto alla riflessione, alla meditazione e alla trascendenza, che sperimentò nella propria vita numerose esperienze: un’infanzia complicata, la passione per la matematica e la ricerca, la celebrità, l’insegnamento e la collaborazione, ma anche la solitudine, il disagio emotivo, il disordine mentale. La sua vita sembra rispecchiare l’andamento di un secolo controverso, segnato da guerre e progressi, cambiamenti e rivoluzioni, contraddizioni e innovazioni. Da lui possiamo imparare l’esperienza che la ricerca della verità non è cosa facile e trae con sé travaglio. Possiamo anche apprendere che in tale ricerca è rischioso restare soli, rifiutando il mondo. Una vita spirituale sana fiorisce quando vi sono equilibrio e umanità. La sua vita ci dice che l’uomo di scienza, come intellettuale, deve sempre restare aperto ai grandi ideali di pace, di rispetto degli altri, di coerenza. Anche questa è una lezione che ci ha lasciato.