Oltre le Colonne d'Ercole del nostro Sistema Solare. È il primato della sonda Pioneer 10, che fu lanciata esattamente cinquant'anni fa dal Kennedy Space Center, in Florida. Non è l'unica, Pioneer 10, emulata in seguito dalla sua gemella Pioneer 11, e poi dalla Voyager 1 e 2.
Il lancio avvenne il 3 marzo 1972. Quest’anno 2022, proprio in questa data, presso il Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA, a Pasadena, sono previste celebrazioni per questa storica missione. Saranno presenti i vertici del JPL e molti tra gli scienziati e ingegneri che lavorarono a quella doppia missione interplanetaria che bucò i confini del sistema solare per fare di questa sonda costruita dagli uomini il primo oggetto “interstellare” artificiale.
Superata l'orbita di Nettuno, la sonda prosegui il suo viaggio nel cosmo, e naturalmente non fu più possibile tenere i contatti da Terra. Ma nella sua esplorazione di Giove e degli asteroidi Pioneer 10 effettuò un lavoro egregio.
All'inizio degli anni settanta, le tecnologie dell'informatica e della robotica erano piuttosto spartane rispetto a quelle odierne. Ma era un periodo d'oro e di grande entusiasmo per l'esplorazione interplanetaria: le missioni automatiche verso i pianeti, con Marte in testa, iniziavano a diventare sempre più sicure, e il gran tour delle due Pioneer 10 e 11 era la conferma che era possibile esplorare il nostro sistema solare, ottenere immagini nitide e dati da analizzare a terra. Nonostante fosse già in atto una drastica riduzione dei finanziamenti al budget della NASA, dopo gli anni al top che portarono poi al primo sbarco lunare dell'Apollo 11, il programma lunare volgeva al termine, e il razzo Atlas-Centaur che lanciò la Pioneer 10 dalla piattaforma 36 di Cape Kennedy (nel 1972 era ancora chiamato così, per poi diventare dal 1974 il Kennedy Center di Cape Canaveral), lasciò il centro spaziale mentre sullo sfondo si ergeva il grande razzo Saturn V che ben presto avrebbe lanciato Apollo 16 verso la Luna con gli astronauti Young, Duke e Mattingly.
Pioneer 10 viaggiò spedita: a proposito di Luna, superò dopo sole 11 ore l'orbita lunare, contro le 88 in media di una missione Apollo. Pioneer 10 fu seguita il 6 aprile dalla Pioneer 11. Il suo era un viaggio verso Giove di un miliardo di chilometri, durato 21 mesi. Circa 180 giorni dopo il lancio la sonda entrò nella fascia degli asteroidi, tra Marte e Giove: una fase rischiosa e mai tentata, ma il passaggio riuscì perfettamente. Per risparmiare sui tempi e soprattutto sui costi, alla NASA pensarono ad un veicolo spaziale basato sulla struttura delle già realizzate sonde Mariner, ma ovviamente dotate di tutti quegli apparati utili a operare nello spazio assai lontano dalla Terra. Pioneer pesava 258 chilogrammi e a bordo ospitava 12 strumenti scientifici per lo stadio di Giove e di alcuni asteroidi. Dopo un lancio e un tragitto perfetti, raggiunge Giove il 3 dicembre 1973, quando volando lungo una traiettoria intorno all'equatore si avvicina ad un massimo di 130.000 chilometri dalla sommità della coltre nuvolosa del gigante gassoso del nostro sistema solare.
La parte più appariscente della Pioneer 10, così come della sua gemella Pioneer 11, è l'antenna parabolica di 2,74 m di diametro, tramite la quale avvenivano le comunicazioni con la Terra. Il corpo della navicella era un parallelepipedo a base esagonale, con lato di 71 centimetri, su cui erano attaccate frontalmente le antenne e, posteriormente, i generatori atomici di energia elettrica, nonché i motori per il controllo dell'assetto. La rotta venne mantenuta per mezzo di un sensore stellare che inseguì la stella Canopus, mentre due altri sensori rimasero costantemente puntati sul Sole: il computer di bordo conoscendo gli angoli relativi tra le direzioni suddette, poté calcolare la rotta istante per istante apportando eventuali variazioni.
Per mantenere un assetto costante, la sonda veniva fatta girare su se stessa da tre piccoli propulsori posti vicino al bordo dell'antenna parabolica, che permettevano anche le variazioni di direzione. La temperatura all’interno era mantenuta costantemente tra -23 °C e +38°C in modo che gli strumenti non dovessero risentire delle condizioni termiche spaziali. L'isolante termico usato nel compartimento degli strumenti era alluminio plastificato, mentre il riscaldamento veniva garantito da una “stufa” al plutonio-238. L'apparecchiatura scientifica del Pioneer consisteva di un magnetometro per lo studio dei campi magnetici planetari, di un rivelatore di radiazione cosmica e di una telecamera a scansione per le riprese fotografiche dei pianeti e dei loro satelliti. Inoltre i segnali radio emessi dalla navicella venivano sfruttati anche per lo studio dei campi gravitazionali e delle atmosfere, in base alle perturbazioni al segnale che si venivano a generare quando il satellite si avvicinava a un corpo celeste.
All’epoca, lo studio del Sistema Solare doveva essere principalmente affidato alle sonde automatiche che ci permisero, come avviene anche oggi, di acquisire una mole di dati fino a qualche anno fa impensabile. Non appena le sonde Pioneer 10 e 11 raggiunsero Giove e Saturno, la letteratura scientifica riguardante il pianeta con gli anelli divenne subito sorpassata: è indubbiamente eccitante lavorare in un campo della scienza in cui le conoscenze aumentano a dismisura di giorno in giorno, ma è anche frustrante pensare che molti lavori, ancor prima della loro pubblicazione, vadano considerati già superati.
Uno degli elementi di maggiore interesse delle sonde fu che a bordo di Pioneer 10 (così come per la 11), si trovava una targa progettata da un gruppo di scienziati capeggiati dall’astrofisico Carl Sagan. La targa, riprodotta in molte illustrazioni, è ormai conosciuta da tutti. Può essere a ragione considerata come il primo messaggio intenzionalmente realizzato dal genere umano per dare notizie di sé nello spazio interplanetario e poi interstellare… La targa riporta disegni che rappresentano la figura di un uomo e di una donna, con uno schema dei corpi del sistema solare, tra cui ben evidente la Terra, segnalata come punto di partenza della sonda. L’uomo ha la mano destra alzata, con il palmo aperto, ritenuto (almeno sulla terra), segno universale di pace e di amicizia. La sonda, sullo sfondo, offre le proporzioni reali dei due corpi umani. Delle linee radiali di distanze variabili indicano la distanza dalla Terra delle più intense radiosorgenti galattiche, indicazione indiretta della posizione del Sole nella Via Lattea. Vi sono poi altri simboli fondamentali della nostra conoscenza scientifica, fra cui un semplice schema dell’atomo neutro di idrogeno, con gli spin del protone e dell’elettrone. Secondo gli studiosi che hanno progettato la placca, queste semplici informazioni sarebbero state sufficienti perché dei destinatari extraterrestri potessero avere una prima idea della provenienza dell’oggetto e di coloro che lo avevano realizzato.
Quando, il 13 giugno 1983, Pioneer 10 oltrepassò i confini del Sistema Solare superando l'orbita di Nettuno, si trovava a 4,53 miliardi di chilometri dal Sole, e viaggiava alla velocità di 49.200 chilometri orari. I suoi strumenti, fino a quando era rimasta operativa, o comunque in comunicazione con la Terra, emettevano un segnale che impiegava 4 ore e 20 minuti a giungere sulla Terra.
Ma il grande passo in avanti fu il superamento del confine planetario: la sonda nel 1983 si immergeva nell'immenso oceano senza materia del cosmo per viaggiare verso altre stelle che raggiungerà tra migliaia di anni, lungo una traiettoria che la porterà verso Proxima Centauri, tra 26.098 anni; sulla sua strada si presenterà poi la stella Ross-24,8 alla quale si avvicinerà sino a 3,27 anni luce, mentre fra 32.575 anni arriverà a Lambda Serpentis, per raggiungere infine Altair fra 227.040 anni. Come potrà notarsi, non sono tempi adatti a film di fantascienza, che nello svolgersi degli eventi a bordo delle navi spaziali del futuro, devono rappresentare viaggi fra una stella e l’altra in men che non si dica… Gli astronomi hanno anche calcolato gli incontri per i prossimi 862.000 anni ma con alcune imprecisioni perché, spiegano, i tempi sono troppo lunghi...
Pioneer 10 è ormai immersa nei grandi misteri del cosmo: “Ci immergiamo con queste missioni nel grande mistero, quello con la M maiuscola” – spiega l'astrofisico italo-americano Massimo Robberto, del Team Scientifico della missione del James Webb Space Telescope, lanciato di recente, proprio nel giorno di Natale –. “La natura ci ha fatto, e ci farà sempre dei regali meravigliosi, e sta a noi riceverli e capirli. Io resto sempre incantato per tutto ciò che scopriamo, ma la domanda per me inevitabile è quella sul significato. È come se una donna che ricevesse un bel mazzo di fiori trovasse un bigliettino con scritto ‘da un suo misterioso ammiratore’. È bello ammirare i fiori, ma il problema è scoprire chi è quel misterioso ammiratore. Resta nascosto, ma le rose dicono che c'è. E poi, magari, può decidere di farsi riconoscere un bel giorno, come si incontra un amico”.