Ricorrono nel 2023 i quarant’anni dalla pubblicazione della fortunata raccolta di saggi, a cura di Gianni Vattimo e Pier Aldo Rovatti, intitolata Il pensiero debole (Feltrinelli, 1983). Al volume, destinato a rappresentare un punto di riferimento per il dibattito filosofico e culturale del nostro Paese, contribuirono autori di diversa provenienza teorica: oltre ai curatori, parteciparono Leonardo Amoroso, Gianni Carchia, Giampiero Comolli, Filippo Costa, Franco Crespi, Alessandro Dal Lago, Umberto Eco, Maurizio Ferraris e Diego Marconi. Nel “pensiero debole”, seppur restio a costituirsi come un indirizzo di ricerca omogeneo e tanto meno come una scuola filosofica, si incontravano diverse istanze teoriche riconducibili alla presa d’atto novecentesca di una crisi della ragione che non trovava altra via d’uscita se non nel definitivo abbandono della metafisica. Erede della “morte di Dio” proclamata da Nietzsche e della critica di Heideggeralla onto-teologia occidentale, il “pensiero debole” intendeva radicalizzare gli esiti dell’orientamento ermeneutico rinunciando a ogni riferimento “forte” alla verità per rivolgersi, con «sguardo amichevole» e «pietas» alla tradizione e alle forme simboliche della nostro panorama culturale, intese come «luogo di una possibile esperienza dell’essere» [1]. Un essere che, secondo la concezione heideggeriana di differenza ontologica, non poteva più essere concepito come un ente, né come oggetto né come soggetto, ma come evento, manifestato essenzialmente all’interno della dimensione linguistica.
Nel suo contributo, Gianni Vattimo esponeva le linee caratteristiche di questa «nuova ontologia» [2] caratterizzata dalla presa d’atto di un essere debole, caduco, costantemente aperto a interpretazioni plurali e a negoziazioni dialogiche. Indebolito l’essere, anche la verità veniva conseguentemente ridimensionata rispetto alle sue pretese di validità e stabilità: «il vero […] non ha natura metafisica o logica, ma retorica» [3] e, secondo quanto suggeriva Vattimo, si costruisce solamente nel processo interpretativo. Gli esiti nichilisti della radicalizzazione dell’ermeneutica – vale a dire la destituzione di ogni riferimento normativo e vincolante, una volta compiuta la rinuncia all’essere e al vero intesi in senso forte – non sfuggivano al filosofo, che già in quel saggio inaugurale si interrogava sulla possibilità che il pensiero debole avesse come risvolto etico-politico uno svilimento anche della capacità di critica e dunque una passiva «accettazione dell’esistente» [4]. In effetti se, come affermava Nietzsche, «non ci sono fatti, solo interpretazioni» [5], ogni stato di cose potrà essere reso accettabile attraverso una opportuna narrazione (il giusto story-telling, come si dice oggi) e ogni forma di rivendicazione potrà esser spenta a vantaggio del mantenimento dello status quo.
Di questo e di altri inconvenienti del “pensiero debole” si è dimostrato consapevole il “nuovo realismo”, orientamento filosofico inaugurato da Maurizio Ferraris e dettagliatamente presentato dal filosofo nel Manifesto [6] pubblicato nel 2012. Una vera e propria reazione, a tratti eccessivamente semplificante, a un periodo di notevole influenza del “pensiero debole” tanto nel dibattito filosofico quanto – cosa forse più interessante – nel clima culturale italiano, in cui forme di relativismo e prospettivismo, nutrite da una certa diffidenza nei confronti della nozione di verità e da un atteggiamento di sufficienza per filosofie d’istanza metafisica, hanno trovato negli anni notevole spazio.
A distanza di quarant’anni, dopo che il principale animatore del “pensiero debole” ha specificato la sua riflessione in molti interventi e ulteriori scritti, peraltro recentemente raccolti in un importante volume [7], è possibile proporre qualche osservazione, se non propriamente fare un bilancio, rispetto quello che è stato un orientamento filosofico discusso e influente.
Scelgo qui di riprendere alcuni spunti presenti nel saggio Credere di credere [8], in cui Vattimo mette in relazione il “pensiero debole” con una personale rilettura del messaggio cristiano.«Il pensiero filosofico dell’essere come evento è anche intrinsecamente orientato in senso religioso» [9] scriveVattimo, riconducendo la tesi dell’indebolimento dell’essere alla nozione teologica di kenosis, lo svuotarsi e l’abbassarsi di Dio nell’Incarnazione. In quest’ottica, la secolarizzazione altro non sarebbe che il compiuto dispiegamento di un processo iniziato proprio con il cristianesimo, inteso come religione della carità e come demitizzazione del sacro. In questo saggio, ancor meglio che in quello pubblicato nel volume Il pensiero debole, si coglie la motivazione etica (una «etica della non-violenza») dello sforzo teorico compiuto da Vattimo, ed è qui forse che il nucleo problematico della sua riflessione emerge con maggior chiarezza. Ancora una volta, il filosofo è il primo a rendersi conto siadel paradosso per cui «anche la tesi dell’indebolimento è una filosofia della storia, che pretende di dire la verità», siadella «circolarità tra ontologia dell’indebolimento ed eredità cristiana» [10].Vattimo tuttavia reputa questo paradosso del tutto accettabile e la circolarità perfettamente in linea con un pensiero che programmaticamente rinuncia alla compattezza e all’oggettività, viste come retaggi di una tradizione metafisica destinata al declino.
Ancora, la tensione tra l’ispirazione etico-religiosa del pensiero debole e la sua formulazione nei termini di una tesi filosofica è rintracciabile nel saggio Pensiero debole pensiero dei deboli [11], in cui Vattimo, richiamandosi ancora una volta a Heidegger, si interroga sulla dicibilità stessa del pensiero debole, vale a dire sulla possibilità o meno di esprimere nel linguaggio – e dunque in forma proposizionale – il contenuto del punto di vista di cui il pensiero debole si fa portatore: «Il problema che il pensiero debole cerca a suo modo di risolvere è anche quello di trovare un modo di ricordare l’Essere che non finisca nel misticismo» [12]. Il carattere intimamente problematico del “pensiero debole”, la sua paradossalità che sfiora l’impossibilità di essere formulato in quanto tesi filosofica, sta nel cortocircuito tra etica e metafisica cui l’affermazione dell’indebolimento dell’essere e della verità pare andare incontro.
Tutto ciò senza entrare affatto nel merito degli esiti che il “pensiero debole” avrebbe determinato: «ciò che hanno sognato i postmoderni l’hanno realizzato i populisti» [13] scriveva Ferraris, e alcuni anni fa papa Francesco esortava a non sposare «un pensiero debole, un pensiero uniforme, un pensiero secondo i nostri gusti» [14], impiegando dunque la dizione “pensiero debole” come sinonimo di relativismo e misconoscimento della verità. Bisogna notare d’altra parte un nuovo importante paradosso, ovvero come, nell’attuale dibattito pubblico, alla debolezza e al relativismo si siano gradualmente sostituiti nuovi “pensieri forti”, minacciosi e intransigenti, rivendicazioni identitarie –plurali e fluide, o viceversa monolitiche e sclerotizzate – che nulla hanno dello «sguardo amichevole» e della «pietas» che, nelle intenzioni di Vattimo, avrebbero contraddistinto il declino della metafisica. La storia degli ultimi anni ha poi mostrato come, in assenza di una verità condivisa, c’è il rischio che valga l’opinione del più forte.
Al relativismo del «non ci sono fatti, solo interpretazioni» si sostituisce oggi un arcipelago di assolutismi per cui «non ci sono interpretazioni ma solo una verità»: la mia, quella del mio gruppo di appartenenza, quello della mia “bolla” (impossibile trascurare il ruolo dei social network in questo genere di dinamiche).Passata la temperie culturale della fine del secolo scorso, e misurata l’impraticabilità filosofica di alcune tesi ontologiche nichiliste, bisogna fare però attenzione a non sostituire un pensiero “debole” con una pressoché totale assenza di pensiero.
[1] P.A. Rovatti, G. Vattimo, Premessa, in Il pensiero debole, a cura di G. Vattimo e P.A. Rovatti, Feltrinelli, Milano 1983, p. 9.
[2] G. Vattimo, Dialettica, differenza, pensiero debole, in Il pensiero debole, cit., p. 20.
[3] Ivi, p. 25.
[4] Ivi, p. 27.
[5] Cfr. G. Vattimo, Effetto Nietzsche, in Id., Della realtà, Garzanti, Milano 2012, p. 25.
[6] M. Ferraris, Manifesto del nuovo realismo, Laterza, Roma-Bari 2012.
[7] G. Vattimo, Scritti filosofici e politici, La nave di Teseo, Milano 2021.
[8] G. Vattimo, Credere di credere. È possibile essere cristiani nonostante la Chiesa?, Garzanti, Milano 1996.
[9] Ivi, p. 96.
[10] Ivi, p. 39.
[11] G. Vattimo, Pensiero debole pensiero dei deboli, in Id., Della realtà, Garzanti, Milano 2012, pp. 208-216.
[12] Ivi, p. 213.
[13] Ferraris, Manifesto del nuovo realismo, cit., p. 6.
[14] Francesco, Meditazione mattutina nella Cappella della Domus Sanctae Marthae, Pensiero libero, 29 novembre 2013