La cattedra di Francesco: le lezioni di un pontificato

Giuseppe Tanzella-Nitti
Giuseppe Tanzella-Nitti
Direttore del Centro DISF

21 aprile 2025

«Questa mattina, 21 aprile, alle 7:35, il Vescovo di Roma Francesco, è tornato alla casa del Padre». Con queste parole lo ha annunciato il card. Kevin Farrell. Dopo un mese di degenza all'ospedale Gemelli per curare una polmonite e poi un graduale rientro in Vaticano, le conseguenze della malattia hanno prevalso. L'avevamo visto ieri, domenica di Pasqua, in un ultimo gesto di generosità e di donazione al popolo di Dio voler essere presente in piazza san Pietro, quasi presentendo un congedo imminente. Ha voluto salutare e benedire la folla dei presenti, spingendosi in auto fino all'inizio di via della Conciliazione. Un ultimo atto di generosità che sigilla una vita spesa pensando agli altri, agli ultimi, ai più bisognosi.

Francesco ha impartito, dal suo magistero, le lezioni che lo Spirito Santo desiderava farci giungere nell’epoca presente. A prima vista, la sua cattedra ci è sembrata diversa da quella dei suoi due più diretti predecessori. Prima di salire sul soglio pontificio Karol Wojtyla aveva insegnato a lungo etica all’Università Lublino e Joseph Ratzinger, prima di divenire Benedetto XVI, aveva insegnato teologia fondamentale e dogmatica nelle maggiori Università tedesche: Bonn, Münster, Tübingen. La cattedra di Francesco, invece, ha origini diverse. Jorge Maria Bergoglio non aveva ricoperto docenze universitarie, ma sviluppa la sua visione del mondo e della Chiesa a contatto con le popolazioni della terra Argentina e con i poveri di Buenos Aires. Diversa la sua biografia, diverso il suo ministero. Storie differenti, ma stesso amore all’unica Chiesa di Gesù Cristo. Diverse sensibilità, ma unica dedizione a Cristo mettendo a frutto i doni ricevuti. Anche nel magistero dei pontefici sembra compiersi, alla lettera, la dottrina paolina sul Corpo mistico di Gesù Cristo: «Il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra. Se il piede dicesse: “Poiché non sono mano, non appartengo al corpo”, non per questo non farebbe parte del corpo. E se l'orecchio dicesse: “Poiché non sono occhio, non appartengo al corpo”, non per questo non farebbe parte del corpo. Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l'udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l'odorato?» (1Cor 12,14-17). Gli accenti, le tematiche e i programmi che gli ultimi tre pontificati ci hanno consegnato sono parte di uno stesso progetto, quello di riprodurre i passi di Gesù Cristo nella storia. Gesù maestro, ma anche Gesù medico, Gesù misericordioso, Gesù lavoratore… Le priorità e le urgenze che li hanno caratterizzati sono tutte espressioni dell’amore di Cristo per la sua Chiesa, del suo amore per tutti gli uomini e per il mondo. Forse avevamo bisogno del sereno compimento della vita di Francesco per accorgercene. Grazie alle luci e alla visione di insieme che ogni conclusione di pontificato reca con sé, possiamo oggi ripensare, con equilibrio e serietà, alle lezioni ricevute, all’eredità trasmessa, e riconoscerla espressione del modo con cui Gesù di Nazaret ci è venuto incontro, nella storia.

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Francesco

Dalla sua cattedra, Francesco ci ha fatto il dono di un magistero coraggioso, non di rado inusuale, controcorrente, determinato. Ci ha ricordato cose che stavamo correndo il rischio di dimenticare. Ci ha ricordato che Gesù Cristo era anche un personaggio scomodo. Ci ha messo di fronte le necessità degli ultimi, di quelli che il mondo trascura e scarta, indipendentemente dalla loro etnia, credo religioso, origine e appartenenza. Ha messo in campo, portandolo fino alle sue ultime conseguenze, quanto Giovanni Paolo II aveva scritto nella sua prima enciclica, Redemptor hominis (1979): «Gesù Cristo… è la via a ciascun uomo. Su questa via che conduce da Cristo all'uomo, su questa via sulla quale Cristo si unisce ad ogni uomo, la Chiesa non può esser fermata da nessuno» (n. 13). La Chiesa di Francesco non si è fermata di fronte a incomprensioni, critiche, valutazioni di ogni genere. Come ogni innovatore ha dovuto talvolta precisare, rettificare, chiarire. Ha preferito accettare di doverlo fare, quando necessario, all’alternativa di non correre nessun rischio, lasciando però inascoltate le richieste di tante categorie di uomini e di donne del suo tempo. Francesco ha voluto immergerci nella misericordia di Dio, anche in questo caso mettendo in pratica quanto, proprio sulla misericordia, Giovanni Paolo II ci aveva indicato sul piano teologico e mistico. Francesco l’ha calato nella carne, nei volti, nella fisicità dei contatti.

Qualcosa del genere è successo anche nei confronti del magistero di Benedetto XVI che lo ha preceduto. Il tema della speranza e quello del compimento in Cristo di ogni vera umanità, cari a Benedetto, hanno trovato in Francesco un’applicazione esistenziale. Le risposte che papa Ratzinger indicava sul piano teoretico, come soluzioni alle quali la contemporaneità doveva aprirsi, pena il suo fallimento, papa Bergoglio le ha proposte nella concretezza degli incontri, dei gesti, delle relazioni che andava instaurando. Da lui ci sono giunte lezioni molteplici, impartite con un linguaggio inedito, non temendo, come è avvenuto, di consumare un fisico che già al momento della sua elezione non appariva certo florido, né del tutto adeguato per il peso che si accingeva a portare. Da Benedetto, Francesco ha raccolto il testimone dell’impegno per una riforma morale della Chiesa, che egli ha cercato di continuare fra molte difficoltà con i mezzi a sua disposizione, una riforma che altri continueranno dopo di lui.

Lascio a chi ne ha l’autorità e ai professionisti della comunicazione il compito di formulare bilanci e commenti di questo pontificato. Ci aiuteranno ad approfondire gli insegnamenti di Francesco, specie quelli di carattere pastorale e di dottrina sociale, ambiti nei quali il pontefice scomparso ci ha lasciato il maggior numero di documenti e di interventi. Due titoli come Evangelii gaudium (2013) e Amoris Laetitia (2016), solo per fare due esempi, basterebbero quasi da soli a mostrare le preoccupazioni del suo pontificato e lo zelo pastorale con cui ha voluto affrontarle. Qui mi permetterò di riprendere solo alcuni spunti che si collegano con maggiore facilità ai temi e ai contenuti che occupano le pagine di questo Portale web e la missione del Centro di ricerca che lo promuove.

Anche Francesco ha parlato di scienza e di tecnologia, di teologia e di unità del sapere. Apparentemente in modo più sobrio rispetto ai suoi predecessori, ma non per questo meno importante. Su questi diversi fronti il suo messaggio è stato chiaro e unitario: il sapere è servizio. A nulla servirebbero la scienza e la teologia, la conoscenza umana in generale, se non per rivelare all’essere umano la sua dignità e promuovere il suo presente e il suo futuro. Il sapere trova il suo significato e il suo fine nell’impegno per una società più umana. Basterebbe la lettura del Proemio della costituzione Veritatis gaudium (2018) o del motu proprio Ad theologiam promovendam (2023) per convincersene. La teologia deve entrare in dialogo con le altre discipline, deve cambiare la vita degli uomini, quella di chi la insegna e di chi la sente insegnare, deve contribuire a fornire soluzioni alle domande dell’uomo: non solo quelle teoretiche, appunto, ma anche quelle che lo accompagnano nel quotidiano. Ma anche la scienza, deve fare altrettanto. A guidare la conoscenza non può essere il profitto, né la scienza deve creare fratture nella società fra coloro che possono accedervi e ne usufruiscono e coloro, invece, che restano indietro. Il progresso scientifico, in sostanza, deve avere come fine la promozione umana, promozione che passa, necessariamente, dai due grandi snodi del magistero di Bergoglio, la fratellanza di tutti gli esseri umani e la cura e della casa comune. Senza frutti reali in questi due ambiti, ogni preoccupazione di servizio non sarebbe sincera, sarebbe vanificata. Si tratta di una prospettiva che, dopo il pontificato di Francesco, è diventata ormai nel Magistero della Chiesa, un punto di non ritorno.

Tutti siamo stati colpiti dai contenuti innovativi di Laudato si’ (2015). Al di là delle specifiche analisi sulle risorse disponibili e il loro utilizzo, sulle quali le diverse scuole, pur sempre confortate dai dati, hanno diritto di dibattere a loro piacimento, il messaggio di papa Francesco è stato univoco: difendere la vita umana e custodire saggiamente il pianeta ove questa è sorta e si è sviluppata sono la stessa cosa. L’ecologia alla quale dobbiamo prestare attenzione è un’ecologia integrale, e dobbiamo farlo con responsabilità, senza esitazioni e ritardi. Un impegno, quello verso l’ambiente, che consentirà ai credenti di additare a tutti la bellezza del Vangelo della creazione, preparando così la strada al riconoscimento di un Dio Creatore. Su questo impegno di custodia sapiente della casa comune possono incontrarsi le religioni della terra, la tecnica e la politica, umanisti e scienziati, e non è cosa da poco. Laudato si’ ci ha ricordato che Dio non parla solo nella coscienza e nella storia, ma anche nella creazione, con una parola diretta a tutti e che tutti possono ascoltare. In un mondo che ama, e forse talvolta venera, la natura, siamo tutti invitati a riconoscerla come creato.

Un secondo tema nel quale papa Bergoglio ha voluto inaspettatamente entrare, sorprendendo un po’ tutti, è stato quello dell’Intelligenza artificiale. Con brillante tempismo già da alcuni anni lo aveva messo in agenda affrontandolo non solo in numerosi messaggi e interventi, ma anche spingendo affinché i competenti Dicasteri della Santa Sede mettessero a punto un documento programmatico, Antiqua et Nova, equilibrato e pertinente, pubblicato poche settimane fa ed accolto favorevolmente anche negli ambienti scientifici. I numerosi interventi che anche solo nel 2024 Francesco ha dedicato questo tema – il messaggio per la Giornata della Pace del 2024, quello per la Giornata delle comunicazioni, il discorso a Borgo Egnazia in Puglia alla riunione del G7 – avevano presentato l’IA come uno straordinario mezzo che aumenta le nostre capacità conoscitive e operative, ma pur sempre un mezzo: esso è frutto dell’ingegno dell’essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio. Gli sforzi per progettare e saggiamente impiegare i sistemi di IA, egli ricordava, fanno parte del compito di migliorare le condizioni di vita del genere umano. Gli uomini hanno ricevuto da Dio il mandato di cooperare al piano divino sul creato per condurre la creazione verso il suo compimento mediante il lavoro umano: a questo compito partecipa a pieno titolo anche il progresso scientifico e tecnologico. Tale progresso, puntualizzava però spesso papa Bergoglio, riguarda tutti: l’IA, come ogni altra opera dell’uomo, deve concorrere allo sviluppo solidale e fraterno dei popoli, non generare divisioni o discriminazioni, non lasciare nessuno indietro, favorire tutti, specialmente i più bisognosi.

L’interesse per l’unità del sapere, ben presente in Veritatis gaudium, torna alla ribalta nelle esortazioni con cui Francesco incoraggia a curare una cultura umanistica che sappia oggi integrare la più diffusa importanza tributata alla cultura scientifica. Nascono così la bella lettera Candor lucis aeternae (2021), dedicata a Dante Alighieri, e la Lettera sul ruolo della letteratura nella formazione (2024) dedicata all’educazione umanistica dei credenti, non solo del clero, ma di tutti i fedeli, perché il loro parlare di Dio risulti attraente, profondo, legato alla vita. Se nel magistero di papa Ratzinger comparivano più spesso i filosofi, in quello di papa Bergoglio sono comparsi soprattutto gli autori che parlano al cuore. Come Blaise Pascal al quale dedica il suggestivo documento Grandezza e miseria dell’uomo (2023) nel IV centenario della sua nascita, Georges Bernanos, Antoine de Saint-Exupéry, Franz Kafka o Leone Tolstoj. Cultura integrata vuol dire anche riscoperta del cuore, del suo valore antropologico ma anche gnoseologico, perché il cuore, come insegna Francesco nelle pagine di Dilexit nos (2024), ci aiuta a vedere e a capire, ci ricorda chi siamo e cosa dobbiamo essere.

Lo scorso 9 dicembre ebbi occasione, per l’ultima volta, di dirigere qualche parola a papa Francesco in occasione del Convegno “Eredità e immaginazione” organizzato dal Dicastero per la Cultura e l’Educazione sul futuro della teologia. Un breve scambio di sguardi e di battute durante il quale ebbi modo di dirgli “Grazie, Santità, per tutto quello che ha fatto e sta facendo per noi”. Era una semplice ma sincera manifestazione di gratitudine che non immaginavo, a distanza di solo qualche mese, potesse arricchirsi di uno sguardo retrospettivo che abbracciasse tutto il suo pontificato. Oggi ha acquisito questo valore e torno ad esprimerla a nome di tutti: “Grazie, papa Francesco”.