Perché abbiamo bisogno di dottori: la lezione di J.H. Newman

Giuseppe Tanzella-Nitti
Giuseppe Tanzella-Nitti
Professore emerito di Teologia fondamentale e fondatore del Centro DISF

Oggi, 1 novembre 2025, verrà dichiarato da papa Leone XIV un nuovo “dottore della Chiesa”, John Henry Newman (1801-1890), pastore, studioso e teologo anglicano accolto nel 1845 nella Chiesa cattolica, già proclamato santo da papa Francesco a Roma il 13 ottobre del 2019. I beati e i santi proclamati dai papi durante due millenni di storia cristiana sono innumerevoli: i dottori della Chiesa, invece, non sono tanti. Newman sarà il 38° santo a ricevere questo titolo. Fra le ultime nominations figurano sant’Ireneo di Lione, proclamato nel 2022, al quale papa Francesco volle assegnare anche il titolo “Doctor unitatis”, san Gregorio di Narek, nominato nel 2015 sempre da papa Francesco, e san Giovanni d’Avila (1499-1569) e santa Ildegarda di Bingen (1098-1179), proclamati nel 2012 da papa Benedetto XVI. Dall’inizio del Novecento, quella odierna è la prima dichiarazione di un dottore della Chiesa conferita a un teologo e studioso universitario della “modernità” (intendendo con questa espressione un intervallo di tempo un po’ ampio di quanto comunemente indicato come epoca moderna). San Roberto Bellarmino (1542-1621), nominato Dottore da Pio XI nel 1931, è in fondo un autore ancora a cavallo far epoca rinascimentale ed epoca moderna.

Qualcuno potrebbe chiedersi: perché la Chiesa cattolica ha bisogno di Dottori? Non potrebbe bastare il riconoscimento di una santità che, in fondo, tutto ingloba? Inoltre,nel Nuovo Testamento i “sapienti” non sembrano godere, in genere, di buona fama, a differenza dei piccoli e di coloro che sanno farsi come bambini, delle persone semplici e forse meno istruite. L’espressione “dottori della Legge”, poi, riferita agli esperti della Torah, la Legge di Mosè, è quasi sempre impiegata in contesti polemici, e vista con certo distacco.

Eppure la Chiesa cattolica sembra aver bisogno dei suoi dottori. Così lo ricorda un testo di san Paolo, al parlare della diversità di ruoli e di carismi:

«Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all'uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,11-13)

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san John Henry Newman

La neovolgata latina traduce con “doctores” il greco didaskalous impiegato da Paolo, che la recente traduzione della CEI rende con “maestri”. Cambia poco. La Chiesa ha bisogno, oltre ai profeti, ai pastori e agli evangelisti, anche di maestri, di dottori. In fondo il cristianesimo, non va dimenticato, nasce come movimento religioso che si aggrega attorno alla predicazione di un rabbi itinerante, termine ebraico che vuol dire “maestro”. Gesù è chiamato con questo appellativo ben 56 volte nei 4 vangeli canonici. Coloro che lo seguono, come sappiamo, sono semplicemente indicati come“i suoi “discepoli. Il cristianesimo sembra proprio nascere come una scuola, la “scuola di Gesù”. Dopo la risurrezione, egli inviai suoi seguaci, testimoni della sua dottrina, a insegnare a tutte le genti (cf. Mt 20,28).

La Chiesa cattolica, in sostanza, è inviata a insegnare. Ed è quello che ha fatto lungo i secoli. Chi veniva accolto nella comunità mediante il battesimo doveva professare un “simbolo della fede”, contenuto in un Credoche veniva insegnato e spiegato. I cristiani di ogni epoca, quando giungevano in un nuovo territorio per annunciare il messaggio di salvezza ricevuto da Gesù di Nazaret, costruivano sempre tre cose: una chiesa, un ospedale e una scuola. A partire dal XII secolo cominceranno a costruire anche Università. Non ritengo sia possibile pensare a ciò che il cristianesimo è, e a ciò che è chiamato ad essere, se si prescindesse da questa caratteristica. Una Chiesa che non insegna, una Chiesa che rinuncia ai suoi maestri e a suoi dottori, non è la Chiesa di Gesù Cristo.

Fatta questa precisazione, di interesse per credenti e non credenti in quanto serve per accostarsi in modo idoneo al fenomeno cristiano, ci chiediamo: cosa dice al mondo contemporaneo l’insegnamento di John Henry Newman, ultimo dottore della Chiesa in ordine cronologico? Cosa dice alla modernità (o a ciò che di essa oggi resta) un santo che l’ha abitata e in buona parte anche incarnata? Per esaminare il contributo di Newman all’epoca moderna vi sono molti e più qualificati luoghi di approfondimento; queste righe ci offrono tuttavia l’occasione almeno di citare cosa gli si può ascrivere in modo originale, richiamando anche solo qualcuna delle sue opere.

Newman è l’autore cattolico che per primo ha rivalutato l’importanza del soggetto e della sua libertà di coscienza mantenendosi ben lontano da ogni forma di soggettivismo, individualismo o relativismo (Lettera al Duca di Norfolk, 1875). A lui dobbiamo una rivalutazione del ruolo positivo giocato dalla storia nello sviluppo e nella comprensione della dottrina cristiana, secondo un dinamismo che non si oppone alla verità ma, piuttosto, è capace di farla venire alla luce (Lo sviluppo della dottrina cristiana, 1845). Ancora, a lui si deve l’aver mostrato che l’assenso in materia di religione e di fede non è frutto di una logica formale o di dimostrazioni sillogistiche, bensì risultato di una logica reale, fattadi vissuto, di esperienza, che opera mediante una convergenza per indizi (La grammatica dell’assenso, 1870). È ancora Newman a consegnarci il primo progetto di come un’Università di ispirazione cristiana può essere sostenuta e rispettata in un contesto pluralista e non confessionale (L’idea di università, 1852). Soggetto, libertà, storia, cultura, educazione liberale, ragione... : sulla penna di Newman cessano di essere concetti impiegati dalla modernità contro la fede cristiana, per diventare invece luoghi di comprensione della fede stessa e del suo abitare il mondo.

Non va però dimenticato che questo riscatto vede il contributo di diversi autori. La modernità indica infatti un periodo filosofico-culturale ricco e variegato, dove la nuova visione dell’essere umano, dei suoi rapporti con il mondo e con Dio, non è per sua natura anti-teista, ma attraversa anche molti ambiti della cultura di ispirazione cristiana. Lo mostrano, ad esempio i numerosi santi e beati dell’epoca moderna che furono anche intellettuali, da Antonio Rosmini ad Edith Stein, da Francesco Faà di Bruno a Giuseppe Moscati, da Federico Ozanam a Contardo Ferrini. Lo mostrano anche quegli autori cristiani, assai più numerosi, che furono anch’essi interpreti-chiave della modernità, anche se non compaiono nelle liste dei santi della Chiesa cattolica. Basti solo pensare a Blaise pascal o a Søren Kierkegaard.

Ma c’è ancora qualcosa. Newman ha insegnato con la vita, non solo con la parola o con gli scritti. Il suo è un pensiero biografico. La ricerca della verità, la paziente costruzione di un’unità del sapere, la difesa del ruolo della teologia negli insegnamenti universitari, sono impegni vitali che hanno lasciato una traccia profonda nella sua esistenza. Sono costati lacrime, incomprensioni, sofferenza, sangue. La sua difesa del giudizio ultimo della coscienza personale o il ruolo dei laici in una visione sinodale della Chiesa furono considerati atteggiamenti troppo progressisti in diversi ambienti della Curia romana. L’idea che una Università cattolica dovesse prima di tutto formare dei gentlemen, degli studenti versati nelle arti liberali e nelle virtù umane, e solo successivamente insegnare la dottrina cristiana, fu vista con sospetto dai Vescovi irlandesi che lo vollero primo Rettore dell’Università cattolica a Dublino. Se riprendiamo la ben nota espressione di san Paolo VI, quando nella Evangelii nuntiandi (1975) affermava che «L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (n. 41), dovremmo dire a ragione che questa definizione rappresenta in modo perfetto il neo-dottore della Chiesa. In san John Henry Newman noi ascoltiamo volentieri un maestro perché sappiamo che egli ha creduto in ciò che ha insegnato, e ha pagato di persona ciò che questo insegnamento implicava. L’insegnamento più importante che il teologo di Oxford ci consegna è in fondo proprio questo.