Molti ricordano James Clerk Maxwell come il grande teorico che formulò le leggi dell’elettromagnetismo, ma forse pochi conoscono davvero Heinrich Hertz, lo scienziato che rese tali leggi una realtà sperimentale. Se Maxwell predisse l’esistenza delle onde elettromagnetiche, fu Hertz a dimostrarle in laboratorio, trasformandole in fenomeno osservabile. Senza i suoi esperimenti, oggi non avremmo la radio, le telecomunicazioni, il radar e gran parte delle tecnologie moderne. In questo senso, Hertz non fu soltanto l’erede di Maxwell, ma il ponte decisivo tra la teoria pura e il mondo in cui viviamo oggi.
Heinrich Hertz crebbe in una famiglia luterana benestante e colta. In un ambiente così stimolante, la curiosità intellettuale era fortemente incoraggiata. Si distinse presto in ogni ambito, eccellendo sia scolasticamente sia da autodidatta. Dopo aver completato l’istruzione secondaria, decise di diventare ingegnere strutturale. Trascorse un anno come apprendista in uno studio di ingegneria civile a Francoforte. Gli impegni lievi gli consentirono ben presto di impiegare il proprio tempo tra gallerie d’arte, biblioteche cittadine, assimilando concetti riguardanti gli argomenti più disparati, dall’economia alla fisiologia, dalla fisica alla telegrafia. Fonti del tempo riportano che cercando di migliorare un telegrafo, scoprì un’ampia letteratura tecnica sull’argomento che lo indusse a iscriversi al Politecnico di Dresda, dove si tenevano le prime lezioni sul tema. Tuttavia, ritenne il livello d’insegnamento troppo basso e dopo un semestre lasciò per iniziare l’anno obbligatorio di servizio militare. Sebbene a primo impatto fosse logico assegnarlo al servizio segnali, fu invece inviato ad addestrarsi con un reggimento ferroviario e destinato, infine, alla fanteria come riservista.
Deluso da Dresda e, successivamente, dall’iscrizione al Politecnico di Monaco, Hertz trovò la sua vocazione presso la Friedrich-Wilhelms-Universität di Berlino, dove conobbe il fisico Hermann von Helmholtz, di cui divenne assistente. Nel suo laboratorio, egli cominciò a studiare le leggi invisibili che governano il mondo elettrico e magnetico. All’epoca, un altro scienziato — James Clerk Maxwell — aveva formulato una teoria rivoluzionaria: la luce era un’onda elettromagnetica, e nello spazio potevano esistere altre onde simili, ma invisibili. Il problema? Nessuno le aveva mai viste. Per questo, von Helmholtz suggerì a Hertz di lavorare sul tema. Questo richiedeva prove sperimentali a favore o contro i presupposti alla base della teoria di Maxwell. La proposta sembrava interessante, ma Hertz desiderava progredire rapidamente nell'area prescelta. Inoltre, sentiva di non poter intraprendere un progetto che avrebbe richiesto almeno tre anni. Rifiutò di seguire la proposta di von Helmholtz e scrisse invece un'opera teorica, Über die Induction inrotirenden Kugeln, ossia sulla natura dell’induzione in conduttori in rotazione, presentandola come lavoro di dottorato nel gennaio del 1880.
All’epoca si sapeva che un campo magnetico variabile potesse generare una corrente elettrica in un conduttore, secondo il principio dell’induzione elettromagnetica (scoperto da Faraday). Non era chiaro se (e come) questo effetto variasse sulla base del moto del conduttore stesso. Hertz decise allora di usare una sfera metallica, capace di ruotare su un asse, e la sottopose a un campo magnetico variabile. L’obiettivo era osservare se, all’interno della sfera potessero essere indotte delle correnti elettriche, e se queste cambiassero a seconda della velocità di rotazione. Egli osservò la generazione di correnti elettriche anche con la sfera in rotazione. Tuttavia, la rotazione non generava correnti da sola: serviva sempre uncampo magnetico variabile. In più, la rotazione influenzava la distribuzione interna delle correnti, suggerendo che il movimento della materia conduttrice modifica il modo in cui l’induzione elettromagnetica si manifesta. Fu uno studio pionieristico che, pur con strumenti limitati, anticipò i problemi della fisica moderna.
Hertz restò a Berlino come assistente di von Helmholtz per tre anni. Alcuni dei suoi successivi lavori riguardarono la meccanica del contatto e la misurazione della durezza dei materiali. Tali articoli sono, ancora oggi, di fondamentale importanza nel campo della meccanica classica. Successivamente, si aprì un posto all’Università di Kiel come “Privatdozent”, normalmente non retribuito (salvo una piccola indennità, poi incrementata). Hertz accettò con riluttanza, presto giustificata: mancanza di attrezzature, ambiente provinciale, e una crisi personale che lo rese apatico e depresso. Dei tre articoli scritti a Kiel, solo uno è rilevante: “Sulle relazioni tra le equazioni fondamentali dell’elettromagnetismo di Maxwell e quelle dell’elettromagnetismo contrapposto” (1884).
Quando a Karlsruhe si rese disponibile una cattedra a tempo pieno, Hertz accettò l’incarico. A Kiel cercarono di trattenerlo, ma invano. La sua vita cambiò radicalmente: padrone del proprio laboratorio, si riprese anche psicologicamente. Sposò Elisabeth Doll (1864-1941), figlia di un collega. Lavorò sulle scariche elettriche nei gas, dimostrando che le onde elettromagnetiche esistono e si comportano secondo la teoria di Maxwell. Fu tale prova sperimentale a dare ufficialmente inizio all'era delle telecomunicazioni. Eppure, quando gli chiesero a cosa servissero quelle onde, lui rispose:“Io non vedo alcuna utilità pratica per le mie scoperte.” E ancora: "Non serve a nulla... Questo è solo un esperimento che dimostra che il Maestro Maxwell aveva ragione — abbiamo solo queste misteriose onde elettromagnetiche che non possiamo vedere a occhio nudo. Ma ci sono." Senza le sue scoperte, oggi non esisterebbero né radio, né TV, né smartphone. In questo processo scoprì anche la fotoelettricità, sebbene lasciò ad altri, come Wilhelm Hallwachs, il compito di svilupparne la teoria.
Rifiutò Berlino per non abbandonare la fisica sperimentale e scelse Bonn, succedendo a Rudolf Clausius. Nel 1890 fu a Londra per ricevere la medaglia Rumford della Royal Society, incontrando scienziati come Thomson (Lord Kelvin). Fu eletto membro di varie accademie scientifiche e vide le sue scoperte ampliate in tutto il mondo.
Non si interessò quasi mai alle applicazioni pratiche, salvo un’eccezione. Nel 1889, Hertz ricevette una richiesta da un ingegnere tedesco, Heinrich Huber, allora impiegato presso la nuova centrale elettrica dell’Aia: “Non si potevano forse usare le onde per trasmettere energia elettrica e segnali?” La lettera di Huber includeva uno schizzo di due specchi parabolici contrapposti, uno con la sommità di un elettromagnete nel suo fuoco e l’altro con una bobina a nucleo d’aria. Hertz rispose che la lunghezza d’onda corrispondente a una frequenza audio tipica sarebbe stata di parecchie centinaia di chilometri, per cui lo schema proposto avrebbe potuto funzionare solo con specchi “grandi quanto un continente”. La risposta negativa di Hertz era corretta, molto tecnica, ma si riferiva alla trasmissione di suoni e non di segnali elettromagnetici.
Hertz intraprese un’ultima serie di esperimenti a Bonn, lavorando con il suo assistente Philipp Lenard (1862–1947), che si era unito all’università nella primavera del 1891. Insieme, nel 1892, riuscirono a far passare i raggi catodici attraverso una sottile lamina di alluminio a tenuta stagna, oggi nota come “finestra di Lenard”. Il rapporto di Hertz su questo lavoro, “Sul passaggio dei raggi catodici attraverso strati metallici sottili”, fu il suo ultimo articolo. Inoltre, dedicò buona parte del suo a sviluppare l’impresa di esplorare le implicazioni dell’elettrodinamica di Maxwell. La forza non sarebbe più stata un concetto fondamentale; sarebbero rimaste solo massa, spazio e tempo, ed ogni azione a distanza sarebbe stata completamente esclusa. La teoria non incontrò molto favore tra i fisici, per quanto fosse coerente, poiché era piuttosto ingombrante nella pratica. Tuttavia, il libro che Hertz trasse da questo lavoro, I principi della meccanica, presentati in una nuova forma (1894), è considerato un classico nella filosofia della scienza. Hertz proveniva da una famiglia ebraica convertita al luteranesimo (come molte famiglie borghesi tedesche dell'epoca).
Tuttavia, non ci sono prove che egli praticasse esplicitamente la religione cristiana o ebraica. Viene tramandato principalmente il suo lavoro, il quale riflette un approccio scientifico e razionale in tutti gli aspetti della sua vita. Alcune fonti suggeriscono che fosse più vicino a una visione positivista della scienza, comune tra molti scienziati dell’epoca. In una delle sue affermazioni più filosofiche, Hertz scrisse: "È impossibile che la teoria di Maxwell non contenga una parte di verità, ma non posso vedere in che cosa essa consiste." Seppur tale frase non sia una chiara manifestazione di religiosità, essa esprime comunque un senso di accettazione del limite nella comprensione umana. Pur essendo formulata in un contesto scientifico, può essere letta in chiave spirituale: ammettere l’esistenza di una verità reale ma non interamente accessibile equivale a riconoscere un ordine oltre il controllo razionale. E ancora: “Non si può sfuggire alla sensazione che queste formule matematiche abbiano un'esistenza indipendente e un'intelligenza propria, che siano più sagge di noi, più sagge perfino dei loro scopritori...” Queste frasi, abbastanza enigmatiche, sono spesso citate in relazione alla sua modestia scientifica e al suo atteggiamento più empirico che dogmatico. Il suo lavoro fu silenzioso, quasi timido, ma estremamente dirompente.
Heinrich Hertz morì a Bonn il giorno di Capodanno del 1894, poche settimane prima del suo 37° compleanno. Da alcuni anni soffriva di un’infezione alla mandibola, probabilmente dovuta a un ascesso dentale, che si rivelò intrattabile nonostante le migliori cure mediche disponibili. La malattia lo debilitò a tal punto che dovette rinunciare completamente all’insegnamento. Oltre alla giovane vedova, lasciò due piccole figlie: Johanna Hertz (1887– 1966), che divenne medico, e Mathilde Hertz (1891–1975), futura zoologa ed etologa. Nel 1927, Johanna pubblicò una selezione delle lettere e dei diari del padre, che resta l’unico resoconto biografico di ampio respiro su Heinrich Hertz. Nel 1935, la vedova e le figlie di Hertz lasciarono la Germania nazista e si stabilirono in Inghilterra. Poco prima della sua morte, Mathilde collaborò con Charles Susskind per il libro Heinrich Hertz – Memoirs, Letters, Diaries, pubblicato nel 1977 in edizione bilingue dalla San Francisco Press.