Letteratura italiana e domande ultime fra scienza e religione

Franco Camisasca
Domenico di Michelino, Ritratto di Dante, la città di Firenze e l'allegoria della "Divina Commedia", Cattedrale di Santa Maria del Fiore, Firenze (1465).
In pillole
  • Nella storia della letteratura italiana vi sono molti spunti per una riflessione a cavallo tra scienze umane e scienze naturali.
  • La cultura medievale, sotto l’influsso del cristianesimo, dedica alla natura uno sguardo pieno di stupore e ammirazione, come testimoniano Francesco D’Assisi e Dante.
  • Il Rinascimento segna la progressiva affermazione di una visione antropocentrica.
  • Nel clima della nascente scienza sperimentale, Galileo Galilei risalta come figura di scienziato umanista, per certi versi capace di armonizzare le due culture.
  • La riflessione esistenziale che parte dalla natura si traduce nella poesia di Giacomo Leopardi in interrogativi drammatici circa il senso della vita e della condizione umana.
  • La descrizione manzoniana della peste consente di porre domande importanti sul senso del male e sull’esperienza della fragilità e della malattia.
  • Gli eventi drammatici del Novecento rinnovano la sensibilità di una riflessione sulla tecnica in autori come Pirandello, Saba, Montale, Caproni, Gadda, Levi, Calvino.

La presente scheda segue un percorso diacronico dall’inizio della letteratura italiana, nel quale sottolineeremo in particolare le aperture verso l’osservazione della natura e le scienze. Precisamente in questi inizi incontriamo un poeta singolare che scrive una laude, troppo frettolosamente annoverata tra la letteratura religiosa e pertanto poco considerata. È un testo che celebra la natura, si occupa, diremmo oggi, di scienze della natura secondo la concezione medievale che vede in ogni creatura una impronta di Dio. Si tratta di Francesco di Assisi. Nel Cantico delle creature, egli si mostra buon osservatore dei fenomeni naturali: le stelle sono «clarite», l’acqua «casta», la terra è «feconda», il cielo «nubilo» e «sereno». Tutto quanto il cosmo descritto serve al «sustentamento» degli uomini. Un testo di evidente attualità, anzi modernità su cui è utile ritornare per capire il clima culturale del Medioevo, un inno alla natura in tutte le sue manifestazioni.

Il medesimo clima culturale si respira in Dante, una cultura che riconosce il primato del divino sull’umano, il primato della metafisica nella filosofia, dell’essere nell’esistere. La fede in Cristo è intesa come sostanza, oggetto e soggetto di conoscenza. Dante mostra tutto ciò nella Commedia. La Commedia non è soltanto un poema che mostra la fede come orizzonte e significato ultimo del camino umano, ma mostra come questo cammino sia possibile per ogni uomo. Percorsi tra le scienze si possono fare seguendo la cosmologia dantesca che accompagna il viaggio ultraterreno, tenendo presente che negli anni in cui Dante, scienziato, filosofo, teologo, scrive la sua opera è ramingo tra le città italiane, con pochi libri a disposizione e quindi può fare affidamento sulle conoscenze pregresse. Versi di autentica caratura scientifica sono quelli dedicati alle macchie lunari nel II canto del Paradiso, uno dei più significativi della cosmologia dantesca. Anche qui scienza e filosofia camminano all’unisono.

Scienziato in contesto del tutto speciale è Giovanni Boccaccio, quando nella Introduzione al suo Decameron descrive con particolare precisione la peste in Firenze; e scienziato lo è nel metodo in quanto non racconta per sentito dire ma perché i «suoi occhi presero così fatta esperienza». C’è in questa introduzione un motivo che resterà sotteso in tutte le novelle: l’umanità vive spesso tra vicende terribili e inconoscibili, una forza misteriosa flagella i popoli quando proprio sembrano vivere serenamente; per vincere questa forza di male c’è una altrettanto forza di bene che accompagna la vita.

Il Quattrocento è un secolo importante per l’evoluzione della letteratura italiana per molti e diversi motivi. Innanzitutto perché si trova a vedere la fine del cosiddetto Medioevo (il 1453 la caduta di Costantinopoli) mentre un’epoca nuova sta nascendo. Certamente la mentalità e la cultura del tempo stavano per mutarsi in un processo non più irreversibile; la consapevolezza di essere «concreatori» della realtà porta a quell’antropocentrismo che si contrapporrebbe al teocentrismo medievale.

Il Cinquecento vive ancora apparentemente senza traumi il rapporto tra cultura “scientifica” e “umanistica”: diversi scienziati scrivono le loro opere in versi, così alcuni letterati discutono le scoperte della tecnologia, come Ludovico Ariosto che nell’Orlando furioso dileggia le armi da fuoco, mente Torquato Tasso si cimenta in un poema cosmologico a confutazione delle tesi lucreziane. Tasso chiude il secolo del Rinascimento con domande esistenziali profonde; gli splendori delle arti figurative e dell’architettura celebrano la grandezza del genio umano, ma il desiderio di Dio sembra allontanarsi dal sentire degli intellettuali del tempo.

Paradossalmente il fondatore della scienza sperimentale è di fatto un grande uomo di lettere, profondo conoscitore di Dante, Petrarca e dei contemporanei Ariosto e Tasso. Ci riferiamo a Galileo, che in tutta la sua vita mostra la non contraddizione tra le due culture, anzi cultura è proprio l’unità del sapere. Galileo è infatti lo scienziato umanista, colui che scrive trattati di fisica in latino e in volgare, poesie di stampo petrarchesco e poi in latino le tante opere scientifiche. L’opera che gli ha procurato dolori e incomprensioni, è la più significativa per il nostro percorso. Il dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo ha come scopo, scrive lo stesso Galileo, quello di condurre sulla via della verità i lettori soprattutto quelli non votati alle cose scientifiche. La scelta della lingua italiana costituisce una scelta rivoluzionaria quasi più dello stesso contenuto del dialogo perché l’autore compie un gesto provocatorio con intento divulgativo e pedagogico: la scienza deve diventare patrimonio di tutti anche di quelli che non conoscono il latino e non appartengono alle accademie.

Non si creda che il secolo del Barocco non veda intellettuali che si occupano o scrivano di scienza, basterebbe ricordare Francesco Redi, ma soprattutto Giambattista Marino che dedica versi alla descrizione anatomica dell’occhio, facendo una operazione metaforica molto suggestiva e meravigliosa, come si addice alle poetiche del tempo.

Nel Settecento le scienze prendono sempre più la loro autonoma strada, la letteratura cerca strade nuove dopo l’ubriacatura del Barocco, risorge il teatro per tutti con Carlo Goldoni, nasce il melodramma, trova grande enfasi la trattatistica. Il secolo è anche caratterizzato dalle riforme, mentre in politica domina l’assolutismo cosiddetto illuminato.

Nel «borgo selvaggio» in cui cresce, Giacomo Leopardi trova nella biblioteca paterna molte possibilità per conoscere le scienze, come studi anche recenti hanno evidenziato. Ancora giovinetto il poeta più «antiscientifico» della nostra letteratura aveva scritto una Storia della astronomia e soprattutto il Saggio sopra gli errori degli antichi che evidenzia le sue conoscenze e il suo interesse per gli argomenti scientifici. Una trama di conoscenze scientifiche è presente in molti testi, nello Zibaldone, nelle Operette morali; accenno solo allo straziante dialogo tra l’Islandese e la Natura, l’uomo ancora non contaminato dalla civiltà e dalla tecnologia che cerca invano una risposta ai drammi dell’esistenza da colei che gli sarebbe più prossima. La natura è indagata e descritta in un orizzonte che si riflette sul destino del poeta e quindi dell’umanità: il grido alla Luna «che fai tu, luna, in ciel», o il desiderio di «noverar le stelle ad una ad una», o la tragica immagine «sterminator Vesevo» sono esemplificazioni di come la natura sia capace di suscitare interrogativi drammatici e speranze che potrebbero superare la finitezza e il limite della condizione umana.

Nel contesto del Risorgimento italiano e della nascita del Regno d’Italia, Alessandro Manzoni pensa al suo romanzo, I Promessi Sposi, che inizierà nel 1821. Di particolare interesse oggi le pagine dedicate alla peste, fenomeno legato alla malattia e alle conoscenze mediche del tempo. Le pagine dei capitoli XXX e XXXI sono molto utili per discutere con gli studenti sul tema del male e della malattia: quali sono le cause? Perché si soffre soprattutto in questo modo? Che cosa significa curare e avere cura? Domande implicite nelle pagine del romanzo che peraltro riportano alla contemporaneità del tempo in cui sono state scritte.

Il secolo nuovo si apre tra rimasugli romantici e novità assolute; il romanzo prende la forma del romanzo psicologico e la poesia si sviluppa per lo più su binari simbolisti. Sul rapporto tra scienza e fede l’esperienza in Italia più interessante tra Ottocento e Novecento è quella di Antonio Fogazzaro. Per la questione su come conciliare la fede cattolica e la cultura moderna si leggano le pagine di Piccolo mondo antico che seguono la morte di Ombretta; esse ci fanno conoscere la tragica realtà di una fede che non regge avvenimenti terribili come la morte di un figlio.

Giovanni Pascoli merita un cenno un po’ più articolato. Sinteticamente possiamo sostenere che nella sua produzione poetica sia presente una ricerca di un significato religioso della vita, significato nascosto e contraddetto dagli eventi familiari, dalle vicende politiche e sociali che accompagnano i sessant’anni della sua esistenza. In Pascoli è evidente il superamento, la «decadenza» del positivismo: la scienza non sa spiegare il significato profondo del reale, il «mistero» va indagato con altri mezzi. Si apre la domanda sulla fede di Pascoli: Giorgio Barberi Squarotti (Simboli e strutture del Pascoli, Firenze 1966) lo definisce ateo, la definizione è un po’ drastica, certamente si trova nel poeta un invito alla solidarietà, alla vicinanza tra gli uomini, senza un oggettivo riferimento alla religione. Resta comunque la presenza di un io in crisi, in ricerca, si vedano La mia Sera e La voce in Canti di Castelvecchio.

Le conquiste della scienza e della tecnologia sono la religione del Novecento, i totalitarismi causano milioni di morti; la modernità si avvia alla fine e il postmoderno si apre con l’era di Internet negli ultimi decenni del secolo. Molti scrittori attraversano i campi delle scienze (umane e non) con interrogativi esistenziali: ormai sappiamo «noverar le stelle ad una ad una», eppure le domande restano e sono ancora più pressanti.

Mentre la tecnologia si impadronisce sempre più dell’«anima» degli uomini – i futuristi idolatrano la macchina – Luigi Pirandello racconta di un operatore cinematografico sempre più alienato, ridotto a «una mano che gira una manovella». Un diario con il titolo di Quaderni di Serafino Gubbio operatore, uscito nel 1925 ma cominciato dieci anni prima, anticipa i temi di tanta letteratura del secolo.

È impossibile pensare a poeti o scrittori del Novecento che non abbiano a che fare con la rivoluzione culturale in ambito filosofico e scientifico. Tra i primi, in ordine cronologico, Italo Svevo, occupato in una fabbrica di vernici sottomarine e morto in un incidente automobilistico, Umberto Poli (sarà poi Saba), che aveva frequentato l’accademia di commercio e poi a Trieste è titolare di un negozio di articoli elettrici,ed Eugenio Montale. Anche per lui studi tecnici, diventa ragioniere, ma il conservatorio e la sorella maggiore, appassionata di filosofia, così come l’incontro con Sergio Solmi, lo conducono su altre strade. Nelle poesie degli anni Sessanta e Settanta, Montale, anche se non sembra, ritorna sui temi della inettitudine nel clima drammatico di quegli anni. Poesie talvolta in forma di diario tra ironia e interrogativi esistenziali: Per finire (ottobre 1972) in Diario del ’71 e del ’72 e Prima del viaggio (1968) in Satura II.

Quasi ligure, nato a Livorno ma cresciuto a Genova, è Giorgio Caproni; fa parte di quella linea cosiddetta «antinovecentista» (la definizione è di Pasolini) perché sembra rifiutare la lezione di alcuni maestri, per riferirsi alla tradizione. Geno Pampaloni scrive: «L’essere si rivela nel vuoto del suo non essere. La preghiera a Dio è: mio Dio / perché non esisti? Tutto il mondo poetico di Caproni […] si trasferisce presso i confini dell’assoluto» (Una nota, in G. Caproni, Poesie, Milano 1989).

Concludiamo con un cenno a tre scrittori fra i più famosi del, come diceva Calvino, ménage a trois (egli parlava di letteratura, scienza e filosofia, anche se oggi il ménage è a quattro: scienza, filosofia, letteratura e tecnica).

Carlo Emilio Gadda ingegnere «prestato alla letteratura», laureato al Politecnico di Milano, si iscrive anche a Filosofia senza arrivare alla laurea. Nei suoi racconti e romanzi tematizza il male oscuro che è la cifra del Novecento; già nei primi scritti sulla sua esperienza nella prima guerra mondiale denuncia la retorica vuota della guerra mentre chi è al fronte soffre una condizione al limite dell’umano.

Il chimico Primo Levi è scrittore e scienziato, per lui vale il criterio di leggere la tecnica con l’occhio del letterato e la letteratura con l’occhio del tecnico. Levi, sostengono i critici, è un ultimo illuminista che si affida alla ragione per decifrare la realtà; si accorge che per scrivere un racconto è necessaria la stessa precisione che serve per far avvenire una reazione chimica o per allestire un laboratorio. Ma non sempre i conti tornano, alla «perfezione» del chimico non sempre corrisponde un ordine nella scrittura.

Italo Calvino è uno scrittore in movimento: leggere i suoi libri è come seguire le tracce di qualcuno che cerca di capire il mondo senza mai essere soddisfatto delle risposte. Concludiamo con l’ultima pagina dell’opera più impegnativa di Calvino, Le città invisibili: «L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, dargli spazio».

Ripercorrere anche solo alcuni di questi autori, così rapidamente schizzati, sarà sufficiente a mostrare agli studenti come la letteratura diviene anche luogo di riflessione sulla natura, sulle scienze, sul modo in cui l’essere umano concepisce e costruisce il suo futuro.

   

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Tracce di lavoro: 

Laboratorio interdisciplinare: Gli insegnanti di differenti materie, sia umanistiche che scientifiche, organizzino una tavola rotonda per commentare le opere di Giacomo Leopardi. Ciascuno di essi illustri un aspetto di pertinenza della propria disciplina (letteratura, storia, scienze, religione). Si invitino poi gli studenti a partecipare al dibattito.

Discutiamone insieme: Le teorie scientifiche usano spesso immagini metaforiche per esporre in maniera chiara idee complesse; di contro, come mostrato in questo Percorso tematico, la letteratura fa frequentemente riferimento al mondo della scienza e della tecnica. Il docente guidi una discussione sulle relazioni che accomunano e distinguono linguaggio scientifico e linguaggio letterario.

Approfondisci e rifletti: Svolgi una ricerca sulla Divina Commedia e individua in quali terzine Dante Alighieri sviluppa descrizioni scientifiche della natura impiegando la scienza del suo tempo.

Per approfondire
Dal Dizionario Interdisciplinare: 
Maurizio Malaguti, Alighieri, Dante (1265 - 1321)
voci tratte da DISF e INTERS
Opere influenti: 
Dante Alighieri, Convivio (1304-1307), a cura di Filippo Forlani
Giordano Bruno, La cena de le Ceneri (1584), a cura di Valentina Zaffino
Indicazioni bibliografiche: 

Opere in rapporto con il Percorso:

C. Möller, Saggezza greca e paradosso cristiano (1948)

P. Levi, Il sistema periodico (1975)

R. Bod, Le scienze dimenticate. Come le discipline umanistiche hanno cambiato il mondo (2019)

G. Mussardo, G. Polizzi, L’infinita scienza di Leopardi (2020)