Il testo, tratto da alcune conferenze tenute a Siena nella Basilica di san Francesco all’inizio degli anni Settanta, testimonia lo spirito con cui Enrico Medi si rivolgeva in particolare ai giovani, cercando di trasmettere loro l’amore alla vita e la speranza progettuale connessa alla gioventù stessa. Medi mette in luce la capacità dell’uomo di conoscere anche quelle cose che non cadono sotto i sensi, coniugando la razionalità e l’intuizione con la passione spirituale. Medi afferma che le conquiste della scienza sono dovute a ricercatori i quali, prima di provare e dimostrare la loro intuizione, sono stati capaci di coglierla e di “vederla”. L’autore sottolinea come l’apertura al mistero sia per l’essere umano qualcosa di naturale, senza la quale si perderebbe il valore della coscienza, anche di quella scientifica.
Il Mistero dell’Amore trascende le formule della ragione. L’intelletto nostro, per sua natura, procede per gradi: sale per la scala della logica passo per passo, gradino per gradino, deducendo dalle verità più immediatamente evidenti quelle più nascoste, per via di successivi collegamenti.
Una delle qualità dell’intelligenza, maggiormente esaltate nei tempi moderni, è quella di poter dimostrare. Così, una affermazione viene ritenuta valida solo quando è possibile darne la prova per via di dimostrazione razionale.
È questo un primo punto sul quale è bene riflettere per poter capire il valore intrinseco della dimostrazione. Essa si manifesta necessaria quando ciò che si vuol comprendere non è evidente di per sé. Dimostrare significa, infatti, mettere in luce, cioè mostrare quello che non è direttamente visibile e, per illuminare, è necessaria una sorgente di luce diretta, avanti alla quale scoprire ciò che si trova allo scuro.
Nel regno del pensiero, questa luce è data dai principi stessi del ragionare, talmente immediati per loro natura, che non ha senso dimostrarli. Se così non fosse, si dovrebbe applicare ad essi lo stesso procedimento razionale e andare alla ricerca di nuove sorgenti prime.
La capacità dimostrativa è un grande dono della ragione umana, ma è anche un indice della sua limitatezza. Più è elevato il grado della intelligenza degli esseri, tanto minore è per essi la necessità di provare. Chi vede direttamente non ha bisogno di prove; la prova è necessaria per chi vede parzialmente e con incertezza.
Quindi, concludendo questa prima riflessione, la via della certezza non è solo quella del dimostrare, ma quella del mostrare. Il raggiungimento della verità è perfetto quando si ha la diretta visione di essa; solo quando questa manca si percorre la lunga e umile via della prova o delle prove. Queste, a loro volta, debbono sempre basarsi su verità evidenti per sé, altrimenti si compiono giri viziosi senza fondamento.
La metodicità della ricerca secondo gli schemi di una certa logica parziale, è preziosa per avanzare su una certa strada di indagine, ma raramente ha la potenza creatrice delle strade nuove, delle visioni che hanno fatto compiere al pensiero umano balzi prodigiosi in avanti.
Le conquiste della scienza sono dovute, molte volte, ai genii che, prima di dimostrare, hanno veduto. Essi hanno ricevuto il dono di vedere quello che gli altri non vedono e non li preoccupa di sapere il perché vedono, ma piuttosto di esaminare e intendere chiaramente quello che vedono. Dopo, se si preoccupano di applicare alla loro visione i nessi della logica e la strada della dimostrazione, lo fanno esclusivamente per gli altri, o per tranquillizzare del tutto la propria coscienza di ricercatori, non perché ne abbiano veramente bisogno. Chi vede bene con gli occhi non ha bisogno di calcoli o di carte geografiche o di binocoli che gli confermino l’esito di ciò che vede.
Queste due brevi riflessioni hanno lo scopo di aiutare la nostra mente a liberarsi da certi fantasmi pseudorazionali che si sono venuti ingigantendo nel secolo scorso e nella prima metà di questo.
È nato un fanatismo per la razionalità dimostrante, a tutto danno della libertà e della chiarezza della visione intellettuale. Sembra una specie di materialismo del pensiero, un meccanicismo distruttore dello spirito e della libertà. Il modo di procedere dei miopi e di coloro che vivono nelle nebbie, è quello di camminare assicurandosi prima con le mani e con i piedi di ciò che li attende al nuovo passo. Vogliono provare, sentire, constatare, logicizzare, dimostrare perché sono incapaci di vedere.
Questa mentalità pesante del razionalismo ha condotto, nei nostri tempi, a reazioni violente, spesso incontrollate, di rinuncia ai valori del pensiero, di rinnegamento della stessa ragione: dall’altare su cui, come dea, l’aveva posta la rivoluzione francese, alla cantina dove si buttano gli oggetti ingombranti della casa.
L’orgoglio della ragione è diventato cenere calda e sporca della passione. Oggi, in tanti di noi, è nata la frenesia delle affermazioni assolute, imprecise, sentimentali, che non vengono mai dimostrate, ma solo imposte. Una fase della storia dominata dal volontarismo al posto del razionalismo. Si prendono decisioni senza ragioni; se si discute, lo si fa per giustificare ciò che si vuole o quel che si pensa, senza preoccuparci di chiarirlo almeno a se stessi. I motivi sono quelli del desiderio e dell’interesse, non quelli dell’amore alla verità. La cosiddetta discussione o colloquio non è un incontro di intelligenze che cercano insieme quello che è vero, giusto, buono, ma uno scontro di volontà che recitano teatralmente un insieme di frasi aventi solo un valore scenico, già registrate sul nastro magnetico della propria bandiera, corrente o partito. Lo scopo è solo di ottenere la resa dell’avversario e le conclusioni che tornano al proprio interesse. Con ironia tragica chiamano prove di forza e gruppi di potere quelle che sono invece totale debilitazione del pensiero e violazione della giustizia.
Questi sbandamenti del pensiero umano, spesso aventi direzioni ed esagerazioni opposte, sono molto frequenti nella storia, ma da quando il Cristianesimo ha segnato l’inizio dell’éra nuova per l’umanità, essi sono facilmente valutabili alla luce che da Esso promana. Direttamente o indirettamente, questi modi esasperati di cultura hanno come punto finale di attacco il messaggio di Cristo, il magistero della sua Chiesa.
Nella passionalità della lotta delle tenebre contro la luce, i nemici di Dio si servono di ogni mezzo, anche del suicidio della propria ragione e della distruzione delle proprie speranze, pur di travolgere nella rovina la Sposa di Cristo, pur di portare confusione fra i suoi figli e tardare l’avvento del Regno.
La conoscenza di queste deviazioni fa emergere con maggiore nettezza la posizione del magistero di verità. Esso riconosce alla ragione umana la capacità di avere la chiarezza di verità indubitabili e direttamente percepibili, di possedere lo strumento della logica con la certezza dei procedimenti e delle loro conseguenze per conoscere ciò che direttamente non appare, di essere cosciente dei propri limiti e delle proprie debolezze.
È condannata la superba vanità che attribuisce alla ragione umana un potere illimitato, infallibile, arbitro del conoscere; è condannato lo scetticismo, figlio della paura e dell’egoismo, che preferisce la fantasia dei sentimenti alla luce del pensiero.
Umiltà e speranza sono le ali per il volo verso la luce. Amore e sacrificio sono i motori che distaccano l’uomo dalla terra delle tenebre. Su queste strade ha camminato, per esempio, la ricerca scientifica, provando e riprovando, con la fiducia nella realtà delle cose sensibili, con la serenità cosciente che il pensiero è fatto per la verità e che, sia pure parzialmente, la può raggiungere con chiarezza.
Su queste vie poggia la Fede: la consapevolezza della Sorgente infallibile delle verità rivelate e l’abbandono senza timori, perché si è certi di non essere mai ingannati.
Scienza e Fede: due luci emananti dalla medesima Fonte, mai in contraddizione fra loro, distinte ma non opposte, che per vie diverse raggiungono la creatura umana, completandosi e armonizzandosi.
È difficile comprendere come per certe persone sia stato e sia ancora possibile vedere fra scienza e Fede contrasti insanabili. Ciò forse è dovuto a conoscenze parziali, a cattiva disposizione di cuori distolti da una malcelata passionalità, alla paura che hanno occhi malati di ricevere troppa luce.
Due parole gettano lo sgomento in questi spiriti, e, di conseguenza, in una certa cultura: il mistero e il miracolo.
L’altezza di una montagna non dipende dal metodo con il quale è stata misurata: se con vari metodi, diversi sperimentatori hanno operato nel modo dovuto, i risultati devono essere gli stessi. Così, anche nelle verità morali o puramente speculative. Non importa per quale mezzo si sia giunti ad una data conoscenza della realtà: essendo essa una, non vi possono essere due soluzioni entrambe vere e contraddittorie.
La conoscenza umana dà la certezza, ma non sempre la totale soluzione di un problema, la sua visione nella completa profondità, la sintesi di ogni suo aspetto. Esistono, anche nei rami del sapere puramente umano e scientifico, limiti nella conoscenza di fronte ai quali talvolta bisogna arrestarsi, per poi procedere ulteriormente, mentre altre volte essi si presentano come invalicabili. Non possiamo sapere tutto, non possiamo intendere tutto, non possiamo penetrare in tutti gli abissi.
La creatura più affascinante per le nostre ricerche, la più radiosa, è quella che ancora non sappiamo dire che cosa è. Questa creatura si chiama luce. Si conoscono le leggi che ne regolano il cammino, se ne misura la lunghezza d’onda e la velocità, si sa che ha una natura corpuscolare e insieme ondulatoria, ma nessuno oggi può ancora dire: ecco, questa è la luce!
Se poi volessimo addentrarci in altri esempi, potremmo egualmente chiederci che cosa sia l’elettricità, il campo gravitazionale, che cosa sia intimamente la materia nel suo generare lo spazio e col suo segnare il tempo, l’intima essenza delle forze... E chi sa rispondere alla domanda: che cos’è veramente la vita?
Più la ricerca e il sapere scientifico procedono e più vedono aprirsi gli abissi del mistero. Solo chi studia in modo superficiale, scolastico, crede di poter rispondere e può dire di conoscere la verità; coloro che realmente portano avanti la fiaccola del sapere, sanno bene, e lo dicono, quanto essa sia debole e quanto difficile sia il cammino che conduce a lei.
Se tutto ciò si può immediatamente constatare nel campo del mondo sensibile, oggetto della scienza, immaginiamoci che cosa avviene nel mondo spirituale!
Il mistero, se mi si permette di dirlo, è una realtà assolutamente naturale. Se non ci fosse, ci sarebbe veramente da dubitare di tutto il valore della conoscenza umana. Il mistero si deve considerare sotto un duplice aspetto. In primo luogo, come una verità alla quale la mente umana, con il sussidio di tutti i suoi mezzi sperimentali e intellettivi, non può giungere da sola. Secondariamente, come una verità che, anche conosciuta nel suo contenuto, non è comprensibile e spiegabile nella sua profondità e nella sua essenza.
Dovremmo qui dilungarci nell’esaminare questa frase: che cosa vuol dire conoscere? Non è questo il momento di farlo, ma è bene dare una precisazione di un’altra parola magica: la definizione.
Ci sembra di aver ottenuto il massimo risultato quando possiamo dare la definizione di qualche cosa. Vorremmo definire tutto!
Quando si definisce un oggetto o una idea, se ne stabiliscono i confini, in un certo senso la si rende finita entro limiti di altri oggetti o altre idee che supponiamo ben note. Se definissimo tutto, dovremmo definire i definenti e non avremmo mai raggiunto un confine di stabilità, un fondamento sul quale costruire una qualsiasi conoscenza.
Come per il dimostrare, il definire può diventare una specie di mania distruttiva, anatomica, che finisce col distruggere colui che l’adopera senza criterio.
Dal punto di vista ontologico, nella gerarchia degli esseri, sono quelli superiori che definiscono quelli inferiori: la maggiore partecipazione all’essere è quella che fissa i limiti della partecipazione inferiore.
Colui che non può essere definito, è Colui che è l’Essere. Egli definisce ogni altro essere. Non può esser definito mediante ciò che parzialmente esiste, Colui che è l’esistenza.
Dal punto di vista della mente umana si usa procedere all’inverso: si definiscono le idee e gli esseri superiori mediante quelli inferiori e lo si fa, spesso, per via negativa.
È quindi perfettamente razionale, naturale, logico, necessario, che nel regno dello spirito e, a più forte ragione, in ciò che riguarda direttamente Colui che è la Verità, ci sia il mistero, l’incapacità della nostra piccola limitata mente di intendere la profondità del vero. Se questo non fosse, saremmo davvero nell’assurdo.
Quindi, il Mistero è la luce del pensiero. Felici noi che, non solo abbiamo avuto il dono inestimabile di conoscere che il Mistero esiste, ma anche la possibilità di sapere il contenuto obiettivo di certe verità che riguardano Dio stesso!
È Lui e Lui solo che poteva comunicarcele per elevare in stupenda abbagliante luce la nostra anima, il nostro pensiero, conforto al cuore, gioia di speranza, gaudio che consuma e dona la vita.
La grandezza dell’uomo raggiunge il suo vertice nel Mistero rivelato da Dio. La sua paternità in questa sublime e arcana confidenza verso i figli, raggiunge i vertici dell’ineffabile amore.
Enrico Medi, I giovani come li penso io, Edizioni Studium Christi, Roma 1976, pp. 207-214.