L’influenza spirituale della scienza sulla vita

Uno dei padri fondatori della meccanica quantistica riflette sul valore umanistico della scienza, ritenendola a pieno titolo partecipe dello sforzo umano di affrontare i grandi interrogativi dell’esistenza: «La domanda che ci assilla — afferma Schrödinger — è di dove proveniamo e dove andiamo, tutto quello che possiamo osservare da noi stessi è ciò che ci circonda attualmente. È per questo che abbiamo l’ansia di scoprire su di esso tutto quanto possiamo. Questa è scienza, l’apprendere, il conoscere, questa è la vera sorgente di ogni impresa spirituale umana». Nonostante la sua naturale tendenza verso la specializzazione, l’impresa scientifica deve restare aperta alle sintesi con altri saperi. Sostiene ancora lo scienziato viennese: «le conoscenze isolate ottenute da un gruppo di specialisti in un dominio ristretto non hanno affatto valore in sé, ma soltanto nella loro sintesi con tutto il resto del conoscere, soltanto in quanto esse, in questa sintesi, realmente contribuirono per qualche cosa a rispondere alla domanda: “chi siamo noi?”».

   

Qual è il valore della ricerca scientifica? Tutti sanno che ai giorni nostri, più che in ogni epoca precedente, un uomo o una donna che desideri dare un contributo effettivo allo sviluppo della scienza deve specializzarsi: il che significa intensificare i propri sforzi per apprendere tutto quello che è noto entro un certo ristretto dominio, e poi tentare di accrescere queste conoscenze col proprio lavoro, con studi, esperienze, pensiero. Impegnati in questa attività specializzata, talvolta si finisce naturalmente col non pensare più al suo valore. Lo sviluppo della scienza entro un dominio ristretto ha un qualche valore in se stesso? Il complesso delle scoperte in tutte le diverse branche di una scienza, per esempio della fisica, o della chimica, o della botanica, o della zoologia, ha un qualche valore in se stesso, oppure è la somma totale delle conquiste di tutte le scienze insieme che ha significato, e qual è questo valore?

Molti in particolar modo quelli non profondamente interessati alla scienza, hanno la tendenza a rispondere a questa domanda facendo rimarcare le conseguenze pratiche delle conquiste scientifiche nel trasformare la tecnica, l’industria, l’ingegneria ecc.., nell’aver cambiato insomma radicalmente il nostro modo di vivere nel corso di meno di due secoli, mentre sono da attendersi altri ed ancor più rapidi cambiamenti nel futuro.

Pochi scienziati concorderanno con questa valutazione utilitaria dei loro sforzi. Le questioni sul valore della scienza sono, ovviamente, tra le più delicate; è difficile trovare degli argomenti incontrovertibili. Ma permettetemi di esporvi i tre principali coi quali tenterò di oppormi a questa opinione.

Prima di tutto io considero le scienze naturali esattamente alla stessa stregua delle altre branche del sapere (o Wissenschaft per usare il termine germanico) coltivate nelle nostre università e negli altri centri culturali. Consideriamo gli studi o le ricerche storiche, o filologiche, filosofiche, o geografiche, nella storia della musica, pittura, scultura, architettura, o in archeologia e preistoria: nessuno può pensare di connettere a queste attività, come loro principale obbiettivo, il progresso pratico delle condizioni della società umana, per quanto dei progressi pratici derivino da esse assai di frequente. Non vedo che la scienza sia, sotto questo aspetto, in situazione diversa.

D’altra parte, e questa è la mia seconda ragione, ci sono delle scienze esatte che non hanno manifestamente alcuna influenza sul modo di vivere del genere umano: astrofisica, cosmologia, alcuni rami della geofisica. Prendiamo, per esempio, la sismologia. Possediamo sufficienti conoscenze sui terremoti per sapere che è piccolissima la probabilità di poterli prevedere in anticipo, in modo di potere avvertire la popolazione di lasciare le proprie case, allo stesso modo di come avvertiamo i battelli da pesca di rientrare quando si avvicina una tempesta. Tutto quanto la sismologia può fare è di avvertire gli abitanti di certe zone pericolose; ma queste, temo, sono per lo più conosciute per triste esperienza, senza l’aiuto della scienza, dato che sono spesso intensamente popolate; la necessità di terreno fertile è più pressante dell’istinto di conservazione.

In terzo luogo, mi pare estremamente dubbio che la felicità della razza umana sia stata accresciuta dagli sviluppi tecnici ed industriali che sono seguiti al rapido progresso delle scienze naturali. Non posso entrare in dettagli, né voglio parlare dello sviluppo futuro (la superficie della terra infestata da radioattività artificiale, con le spaventevoli conseguenze per la nostra razza descritte da Aldous Huxley nel suo terribile, ma interessante recente romanzo, La scimmia e l’essenza). Ma si pensi soltanto alla “mirabile riduzione delle dimensioni” del mondo ad opera dei fantastici moderni mezzi di trasporto. Tutte le distanze sono state ridotte quasi a nulla se misurate, non in chilometri, ma in ore di velocissimo trasporto. Ma quando si prenda come unità di misura il costo anche dei trasporti più a buon mercato, le distanze sono raddoppiate o triplicate anche solo negli ultimi dieci o venti anni. Il risultato è che parecchie famiglie e gruppi di amici intimi sono stati dispersi sulla superficie del globo come non mai. In parecchi casi essi non riescono mai ad avere ad avere abbastanza denaro per potersi incontrare di nuovo, in altri riescono solo a rivedersi per un brevissimo tempo che termina con un angosciato addio. Serve tutto ciò alla felicità umana? Questi non sono che pochissimi esempi: ci si potrebbe indugiare ore sull’argomento.

Ma torniamo ad aspetti meno tristi delle attività umane. Potreste chiedermi, siete costretti ora a chiedermi: Qual’ è allora, secondo lei, il valore delle scienze naturali? Rispondo: il loro obbiettivo, scopo e valore è il medesimo di ogni altra branca dell’umano sapere. Anzi, nessuna di queste branche, da sola, ha uno scopo o un valore, ma solo l’unione di tutti rami del sapere ha un significato o un valore, e questo può essere definito abbastanza semplicemente: è di obbedire al comandamento dell’oracolo di Delfo, conosci te stesso. O, per dirla col sintetico, espressivo stile di Plotino: [Enneadi, VI, 4,14]: “E noi, chi siamo?”. Egli continua: “Forse eravamo già prima che questa creazione prendesse a esistere, esseri umani d’un altro tipo, o anche qualche sorta di dei, puri spiriti e menti unite con l’intero universo, parti del mondo intelligibile, non separati e disgiunti, ma una sola cosa col tutto”.

Son nato in una certa regione, non so da dove sono venuto né dove vado né chi sono. Questa è la situazione mia come la vostra, come quella di ognuno di noi. Il fatto che tutti sono stati in questa medesima situazione e sempre lo saranno non mi dice nulla. La domanda che ci assilla è di dove proveniamo e dove andiamo, tutto quello che possiamo osservare da noi stessi è ciò che ci circonda attualmente. È per questo che abbiamo l’ansia di scoprire su di esso tutto quanto possiamo. Questa è scienza, l’apprendere, il conoscere, questa è la vera sorgente di ogni impresa spirituale umana. Cerchiamo di scoprire quanto possiamo sull’intorno spaziale e temporale del luogo nel quale ci troviamo posti dalla nascita. E nel tentativo proviamo un piacere, lo troviamo estremamente interessante. (Può non essere questo il fine per il quale noi esistiamo?)

Appare ovvio ed evidente, ma pure va detto: le conoscenze isolate ottenute da un gruppo di specialisti in un dominio ristretto non hanno affatto valore in sé, ma soltanto nella loro sintesi con tutto il resto del conoscere, soltanto in quanto esse, in questa sintesi, realmente contribuirono per qualche cosa a rispondere alla domanda: “chi siamo noi?”.

Erwin Schrödinger, Scienza ed umanesimo. La fisica nel nostro tempo, tr. it. di P. Lanterno, Sansoni, Firenze 1988, pp. 99-101.