Proponiamo alcuni brevi brani del catechismo redatto dal Beato Francesco Faà di Bruno (1825-1888), matematico di prestigio, sacerdote cattolico e fondatore di numerose opere sociali. Il catechismo, pur dirigendosi ad un pubblico ampio, era particolarmente rivolto agli intellettuali del tempo, verso i quali il Beato non trascurava di esercitare il suo apostolato.
D. Chi è Dio?
R. È un essere infinitamente perfetto, creatore e conservatore del cielo e della terra e di tutte le cose visibili ed invisibili.
D. Che cosa s'intende per infinitamente perfetto ?
R. S’intende che Dio è tutto ed il massimo bene, ossia una infinita bontà.
D. Che cosa significa la parola infinito?
R. È il predicato di una cosa che non ha limiti. Si noti che la cosa dotata d’infinità non può essere materiale; un mare infinito, una terra infinita, ecc., sono inconcepibili, poiché qualunque sia la loro grandezza, la si può ancor sempre accrescere. L’infinità è solo proprio, dell’ente spirituale, ed indica in esso l’impossibilità d’un limite alle sue operazioni.
D. Dunque la bontà di Dio sarà infinita?
R. Sì; la bontà di Dio non ha alcun limite o termine; nessuno la può misurare; gli Angeli stessi non la possono comprendere: solo Dio colla sua infinita sapienza comprende la propria infinita bontà.
D. Non si potrebbe trovare in cielo ed in terra una creatura la quale avesse tanta bontà da potersi paragonare a quella di Dio?
R. Come non vi può essere paragone tra il tempo e l’eternità, cosi non vi può essere paragone fra la bontà di qualsiasi creatura e la bontà di Dio. Anche l’ineffabile bontà di Maria SS. non solo è scarsa al confronto, ma si potrebbe dire un nulla paragonata all’ineffabile bontà di Dio. Perciò nemmeno in paradiso gli Angeli, i Santi, anche con tutto il grandissimo amore che portano a Dio, non arrivano ad amarlo quanto si merita di esserlo per sé stesso. Solo Dio ama sé stesso come merita di essere amato.
D. Che cosa s’intende per questa infinita bontà ?
R. L’unione, l'aggregato delle sue infinite perfezioni ossiano attributi, che sono: la sua Onnipotenza, per cui può fare e disfare tutte le cose con un solo atto di sua volontà; la sua Sapienza, con cui vede chiaramente il passato, il presente e l’avvenire e tutte le cose possibili, le ragioni di tutte le cose non che tutte le relazioni fra esse; la sua Giustizia, con cui premia i buoni e castiga i cattivi; la sua Misericordia con cui perdona i peccati a coloro, che di vero cuore si pentono; la sua Eternità, per cui non ha mai avuto principio, ne avrà mai fine; la sua Immensità per cui è in cielo, in terra ed in ogni luogo; la sua Immutabilità per cui è incapace di cambiamento nella sua natura, nelle sue perfezioni e nei suoi eterni decreti, quantunque dipenda dalla sua volontà il cambiare le sue fatture e le sue operazioni esteriori.
D. Che idea dobbiamo dunque farci di Dio?
R. L’idea di un puro spirito, semplicissimo, che non ha mai avuto principio e non avrà mai fine; poiché esistendo essenzialmente e da sè ha sempre dovuto esistere e non può giammai cessare d’essere. Ed in questo senso Dio disse di sé medesimo. — Io sono quel che sono.
D. Che cosa si vuoi significare col dire che Dio è un purissimo spirito?
R. Vuolsi dire che Dio non ha corpo come abbiamo noi. Perciò non ce lo possiamo figurare nè alto, nè basso, nè largo, nè stretto, nè si può toccare colle mani o vedere cogli occhi materiali del corpo.
D. Come si dice intanto che Dio non ha corpo, mentre dalla S. Scrittura parrebbe averlo?
R. Quando nella S. Scrittura si attribuiscono a Dio le membra del corpo umano, s’intende figurativamente. Cosi se io dicessi che un cavallo vola rapidamente per una pianura, non intenderei già dire che quel cavallo abbia le ali e voli come gli uccelli, ma colla parola volare vorrei semplicemente significare la velocità con cui percorre quel campo. Quindi, allorché nella S. Scrittura si nominano gli occhi e gli orecchi di Dio, vuolsi solo significare la sua sapienza colla quale conosce tutte le cose e tutte le creature come se le vedesse o le ascoltasse: quando si nominano le mani vuolsi intendere la sua onnipotenza, colla quale fa ogni sua opera, e così si dica del rimanente. In tal modo si scioglie da tutti i Teologi e da tutti gli interpreti la difficoltà. Sta intanto che quando la S. Scrittura parla letteralmente, essa invece dice: « Dio è spirito »; epperció questa sentenza diventa per noi articolo di fede.
D. Perché si aggiunge ancora Dio è uno spirito semplicissimo?
R. Per indicare che in Dio non vi è alcuna composizione di sostanze diverse, nè reale distinzione di perfezioni, ossia di attributi. L'Onnipotenza di Dio è lo stesso Dio: la Sapienza di Dio è lo stesso Dio, e cosi dicasi della sua Giustizia, della sua Misericordia e di tutte le altre sue perfezioni. Nell’uomo il potere, il sapere, la pietà sono cose distinte le une dalle altre, e perciò vi può essere uomo dotato di molti pregi, ma essere o senza potere, o senza il sapere, o senza la pietà; laddove in Dio ogni attributo è lo stesso Dio, nè più nè meno.
D. L’esistenza di Dio è evidente per se stessa?
R. No: la scrittura infatti ci insegna che l’empio disse nel cuor suo: Non vi è Dio, il che non si direbbe, ove la ragione di Dio fosse evidente per sé. Può però dimostrarsi col lume della ragione; e S. Paolo ci attesta a questo riguardo che le perfezioni di Dio ci sono rese sensibili per ciò che fu fatto, e che saranno dannati i Pagani per non averlo riconosciuto per entro il creato.
D. Esistono prove dell'esistenza di Dio?
R. Si; e possiamo fra le altre addurne sette.
1°. Coscienza umana. Ogni uomo, per quanto fiero e crudele, sente nel suo interno una legge, che gli fu annunziata al primo sviluppo di sua ragione, e che forma ad ogni istante la voce inevitabile della sua coscienza. Ora non vi può essere legge senza un legislatore; d’altra parte nessun uomo può affermare per intima conoscenza di aver scolpito egli stesso questo dettato nel proprio cuore e di mantenervelo; e nemmeno può indicare da chi mai l’abbia ricevuto. Bisogna dunque ammettere l’esistenza d’un Ente Supremo, da cui questi precetti siano stati insinuati nel secreto delle coscienze. Questo è quell’Ente appunto che da noi si nomina Iddio; epperció Dio esiste.
2°. Il moto: il moto esiste: ma la materia è per sé inerte; dunque deve esistere un primo motore.
3°. La necessità di una causa prima. Noi vediamo nel mondo molte cause efficienti che si collegano le une alle altre. Ciascuna non potendo essere causa di sé stessa, bisogna che sia effetto di una causa anteriore. Ma non si può rimontare di causa in causa indefinitamente. Vi deve adunque essere una causa prima da cui dipendano le cause intermedie, le quali alla lor volta producano la causa ultima. Questa prima causa efficiente è ciò che gli uomini chiamano Dio.
4° Contingenza e necessità. Dato l'Ente contingente deve esistere l’ente necessario: ma esiste l’ente contingente, che è il mondo ed ogni cosa in esso contenuta, dunque esiste l’ente necessario. Questo ente è Dio: dunque Dio esiste.
5°. Graduazione degli esseri. Vi sono nel mondo cose più o meno buone, più o meno vere, più o meno perfette, in somma varietà di gradazioni. Ma questa gradazione nel più o nel meno non è che un avvicinamento più o meno prossimo a quel tipo che noi ci facciamo di un sommo buono, di un sommo vero, di un sommo perfetto. Quest’idea che noi vagheggiamo e che maggiormente risplende alla nostra mente a misura che andiamo più innanzi in coltura ed in virtù deve trovare il suo soggetto in qualche esistente: ora questo essere sovranamente buono, vero e perfetto, che deve esistere qual prototipo d’ogni bontà, verità e perfezione, chiamasi appunto Dio.
6°. Ordine del mondo. Dovunque esistono cose ordinate, deve darsi una causa ordinatrice che le abbia disposte; ma nel mondo le cose si trovano ammirabilmente disposte e collegate insieme; dunque deve esistere una causa suprema, intelligente, ordinatrice del mondo, la quale è Dio. Dunque Dio esiste.
7°. Il consenso di tutti i popoli. Tutti gli storici di ogni tempo concordano nell’asserire che le nazioni tutte del mondo hanno sempre conosciuto questa verità : Se girerete tutta la terra, scrive Plutarco, potrete trovare città senza fortificazioni, senza lettere, senza case, senza monete; ma nessuno trovò mai una città priva di templi e di divinità, che non abbia preghiere, giuramenti ed oracoli. Non avvi, soggiunge Cicerone, popolo alcuno cosi rozzo e feroce, il quale, sebbene ignori qual Dio si debba adorare, pure non ne veneri alcuno.
D. Che cosa s’intende per Provvidenza divina?
R. S’intende la cura incessante che Iddio prende di tutte le cose create, affinché conseguano il loro fine.
D. Come si prova?
R. Con diverse ragioni:
1° Le cose create non hanno in sè la ragione di loro esistenza, nè la ragione di loro permanenza nell'esistenza: che se l'avessero per passare da un istante all’altro di loro vita, non vi sarebbe motivo a negare, rimontando indietro di istante in istante, che non l’avessero anche avuta un istante prima della loro stessa esistenza, il che sarebbe assurdo. Bisogna dunque che intervenga ad ogni momento l’opera del Creatore, per tenere continuamente in atto l’esistenza delle creature.
2° II Signore non avendo nulla creato invano, ma tutto per un fine, deve volere costantemente che le creature tendano al fine per cui loro accordò l’esistenza, senza di che sarebbe inconseguente ne’ suoi disegni, assurdo nelle sue opere.
3° Iddio infinitamente santo e giusto deve approvare ed eccitare la virtù, odiare ed abbattere il vizio, premiare i virtuosi e punire i rei. Ciò non si può senza leggi, precetti ed avvisi che emanino direttamente o indirettamente dalla sua autorità alle successive generazioni, e senza premii accordati, o castighi continuamente inflitti in questa o nell'altra vita. Per queste ed altre ragioni l'intervenzione di Dio nell’universo creato, come causa conservatrice e direttrice delle creature materiali ed incorporee, è evidente.
D. Provatemi questa verità con testi della S. Scrittura.
R. Il Signore fece le piccole e le grandi cose, e di tutte Egli ha egual cura (Sap.). La tua Provvidenza,o Padre, tutto governa (Sap.). Il cuor dell'uomo dispone la sua via, ma sta a Dio il dirigerne i passi (Prov.). Non si vendono due passeri per un denaro? eppure non ne cade uno per terra senza permissione del Padre nostro (Matt.).
D. La contemplazione della natura non offre una prova visibile della Provvidenza divina?
R. Certamente: occorrerebbero volumi per enumerare solo in piccola parte le meraviglie che la natura ci presenta, l’ordine e l’armonia che regnano nell’universo, cose tutte che dietro il velo dei fenomeni lasciano scorgere la mano possente del sommo Artefice che tutto prepara e tutto dispone, una creatura per l’altra, perché sia raggiunto il fine generale che Egli si e proposto. Presa parte a parte come in complesso, la natura offre tale una serie coordinata di cause ed effetti, che non può a meno di destare l’ammirazione di ogni uomo sincero. I diversi apparati dei sensi, la circolazione del sangue, la nutrizione delle piante, l'avvicendamento delle stagioni, la corrispondenza dei climi coi prodotti del suolo, la circolazione delle acque gli scambii di principii fra il regno animale ed il vegetale, le metamorfosi degli insetti, l’industria delle api, delle formiche, dei castori, ecc, sono appena il principio dell’indice delle meraviglie che ci presenta il mondo.
D. Non avvengono forse molte cose a caso senza intervenzione della divina Provvidenza?
R. Nulla arriva a caso: questa parola, che per sè nulla significa, non è altro che il marchio dell'ignoranza in cui noi siamo della causa d’un dato effetto. Molte cose, che al volgo sembrano opera del caso, agli occhi del dotto sono invece diretta e nota conseguenza d'una data causa. E molte cose, che prima parevano doversi attribuire al caso, ora coi progressi della scienza si fanno dipendere da ben note ragioni. Cosi al volgo parrà caso una burrasca atmosferica; ma il dotto avvertito dal telegrafo che un’onda atmosferica attraversa l’Europa, la prevede. Così le stelle cadenti, che una volta si credevano guizzar a caso nel cielo, ora sono già in parte previdibili per mezzo del moto annuo della terra. Qual cosa più fortuita della caduta d’una foglia? eppure noi potremmo prevedere il quando, il come e l’istante di sua caduta, se conoscessimo appieno il grado d’essiccamento delle piante, le variazioni dei venti, i moti locali vorticosi dell’aria, la forma della foglia, ecc. Insomma qualunque fenomeno si riduce ad un moto, ma il moto deriva da una forza; ora rimontando di forza in forza come da effetto a causa, si troverà che le forze, quindi anche i fenomeni e le ragioni di essi, sono in mano di Dio.
D. La Provvidenza di Dio preordina tutto, ovvero vi è qualche cosa che solamente permette?
R. Iddio preordina tutto, eccetto il peccato che non fa che permettere.
D. Perché Iddio permette il peccato ?
R. Perché l'uomo fu creato libero. Che se Dio avesse costretto per natura l’uomo ad operare infallantemente il bene, Iddio avrebbe tolto a sè una maggior gloria, quella di essere conosciuto ed amato spontaneamente da esseri liberi; e tolta all’uomo la soddisfazione che procura il merito d’una buona volontaria azione. Inoltre colla permissione del peccato Dio fa risplendere la sua misericordia e la sua giustizia; e ricava sempre, e talvolta a noi visibilmente, dal male un più gran bene.
D. In che modo voi dite che Iddio ritrae un più gran bene dal male?
R. Mi spiegherò con alcuni esempi. Fu un male l'invidia dei fratelli di Giuseppe, ma dopo servì ad esaltare quasi sul trono la famiglia di Giacobbe, a satollarla nei tempi di carestia, ad una salutare correzione del fallo commesso, ed a far risplendere agli occhi di tutto un popolo la virtù di Giuseppe. Fu un male la superbia di Nabuccodonosor che voleva farsi adorare, ma servì col trionfo dei giovanetti nella fornace al trionfo pure dell’onnipotenza di Dio. Fu un male la tirannia degli imperatori romani, ma servì alla gloria dei martiri ed alla propagazione del cristianesimo. Fu un male la colpa di Adamo, ma oh felice colpa! perché ci meritò Cristo Redentore. Da questi esempi e da una infinità d’altri si può inferire che Iddio sa ognora, per vie a noi imperscrutabili, trarre il bene dal male, tanto che, secondo S. Agostino, Dio giudicò meglio trarre il bene dal male anziché permettere che non vi fosse alcun male. E questo è proprio di Dio, che mentre l’uomo orgoglioso crede di spuntarla offendendolo, Egli ne rende vana la malizia coll'infinita sua sapienza, tirando per l’ordine morale stesso, un vantaggio maggior del danno o turbamento che lo stolto credeva d’avervi portato.
D. Ma che dite voi dei mali fisici che Dio permette?
R. Essi non diminuiscono punto l’idea della bontà; che dobbiamo farci dì Dio.
In 1° luogo si osservi che i mali fisici per sé non sono mali, essendo indifferente per sé qualunque sconvolgimento della materia. Essi inoltre non possono dirsi tali che rispetto all'uomo, il quale può essere reso o no capace di soffrire secondo il loro diverso modo di agire. E questa capacità di soffrire, che infatti ora esiste, è solo una conseguenza del peccato di Adamo, dopo il quale come dice S. Paolo, la natura ingemisce;quindi la sterilità del suolo, la fierezza dei bruti e la morte. Prima del peccato invece il suolo era fecondo, i leoni sedevano mansueti accanto ad Adamo che li chiamava per nome, la vita durava immortale.
In 2° luogo riflettasi che i mali fisici, non sono tali che in apparenza, perché o servono materialmente a raggiungere altri maggiori beni materiali, o servono all’esercizio ed alla prova della virtù; e sovente ciò che è male per uno è bene per un altro. Soffia il vento: il vecchio sen duole, ma il pilota lo desidera, la terra stessa riceve i semi che il vento porta sulle sue ali ed è purificata dai miasmi. Cade la neve; le passeggiate divengono deserte, i cittadini sen stanno melanconici a casa, ma il suolo intiepidito prepara nel silenzio i germogli d'aprile. Il calore ci infastidisce, ma le biade maturano. Irrompe impetuoso il torrente, ma non è un male pel colono intelligente che con spiragli e dighe sa trarne depositi fertilissimi onde accrescere i suoi prodotti.
In 3° luogo molti mali cessano col progredire della scienza. Cosi molti veleni diventarono portentose medicine, e molti insetti già creduti nocivi si trovarono dappoi utilissimi all'agricoltura.
In 4° luogo si rifletta che a noi non sarà mai dato di conoscere le ragioni di tutte le cose, epperciò non saremo mai in istato di giudicare della convenienza o non delle cose tutte. Ma senza conoscerle possiamo andar persuasi, che ultima ragione delle cose è il bene, essendochè Iddio perfettissimo altro non può aver di mira che il bene, e (come dice l'Ecclesiastico) tutte le cose saranno a suo tempo trovate buone. Chi entra dice S. Agostino, nell’officina di un fabbro-ferraio, ed imperito dell'arte prende a chiamar superflui gli strumenti dei quali ignora l’uso, dà segno di molta ignoranza. Così del pari stolti son da chiamarsi coloro, che, di questo mondo creato e governato da Dio, osano tacciare come inutili molte cose delle quali non giungono a conoscere le ragioni. Se quell'imperito che entrò nell'officina cade nella fornace, o volendo maneggiare alcuni di quegli acuti ferri ne rimane ferito, egli dirà che ivi si trovano cose nocive e perniciose; ma l’artefice, che ben ne conosce l’uso, deriderà invece la sua ignoranza, e non curando le vane parole proseguirà il suo lavoro.
In 5° luogo molti mali debbono ascriversi unicamente all’abuso, di libertà. Perché dunque volerne imputare Iddio? Coi coltelli posso ferire, ne sarà risponsabile il coltellinaio? Ai nostri vizi invece dovremmo piuttosto attribuire la massima parte delle malattie, le quali non hanno generalmente per origine che gli eccessi nel cibo, l'incontinenza, la vanità, l’orgoglio, ecc.
In 6° luogo, perché principalmente, secondo l’economia universale divina, la vita presente non è che uno stato di prova, mentre solo all'altra vita è riservata la completa e tanto bramata felicità Perciò non è a stupire che vi siano mali fisici e morali, destinali ad essere gli strumenti di questa prova, per la quale Iddio a buon diritto deve poter discernere coloro che l’amano da coloro che lo ripudiano.
D. Non potrebbero i mali fisici attribuirsi a cause seconde senza attribuirsi a Dio?
R. No: sebbene in apparenza tutto avvenga per cause seconde, esse non operano che in virtù della causa prima che è Dio; laonde tutto deve a Lui solo riferirsi. Iddio potrebbe però intervenire direttamente senza passare per le cause seconde. Egli così può mandare un vento, un terremoto, un fulmine, senza ricorrere al calore delle zone equatoriali, al moto del fluido incandescente interno della terra, alla ricomposizione dell’elettricità, ecc.