Francesco Faà di Bruno (1825-1888), matematico e uomo di scienza, esponente di rilievo del cattolicesimo sociale piemontese, beato della Chiesa cattolica, scrive nel 1872 un saggio intitolato Piccolo omaggio della Scienza alla divina Eucaristia. L'opera si proponeva di spiegare la coerenza, la non contraddittorietà e la trascendenza del mistero eucaristico a coloro la cui mentalità risultava particolarmente segnata dalla cultura scientifica. Sebbene le argomentazioni impiegate dall'Autore sono debitrici ad una filosofia della natura aristotelico-tomista e dipendono dalla visione scientifica del suo tempo, l'idea principale che anima lo scritto mantiene invariato il suo interesse: la divina Eucaristia certamente sfida la ragione ma non la contraddice, la sorprende ma non la umilia.
AL LETTORE
Precipuo scopo di questo piccolo scritto si è di ben far conoscere in che consista la SS. Eucaristia, augustissimo Sacramento in cui si compendia e s'incentra tutta la religione. Generalmente non si apprezza e non si ama ciò che mal si conosce; ed appunto per questo
pochi sono i seguaci del Vangelo e delle sante pratiche di pietà. La scorsa e languida fede che
oggigiorno regna nella società proviene evidentemente dall'ignoranza crassa che ottenebra tutte le classi circa i Misteri della s. Religione Cattolica; laddove se taluni li studiassero profondamente con quello stesso ardore con cui s'addentrano nelle scienze di lor professione, vi scoprirebbero una plausibilità di essere, un nesso, una convenienza, un'armonia, una luce, che non lascerebbe tregua al dubbio, e muoverebbe l’intelletto a credere umilmente quelle verità, nelle quali i nostri Padri trovavano già le loro più dolci consolazioni, al cui studio i più eletti ingegni dell'umanità
consacravano le lunghe veglie e l'acutissima mente. Ma, come già diceva Bossuet dei tempi pagani, anche oggi si potrebbe ripetere che tutto è Dio fuor che Dio.
La politica, l'industria, il commercio, l'interesse della propria posizione e cose affini assorbono interamente l'uomo. Si sa di Dio appena quel poco che si apprese balbettando da bamboli, se pur ancora non si rinnega adolescenti appena. Ma siate almeno galantuomini: in ogni giudizio si vogliono sentire le due parti; avete ascoltato la parte del mondo, delle passioni, dei pregiudizi, la parte insomma della maggioranza; sentite almeno ora la minoranza, la parte cioè, della scienza vera e profonda, del cuor puro, della sana e disinteressata intelligenza. Il numero può dar forza nelle battaglie, ma non valore agli argomenti ed ai principii; ché anzi si osserva nella storia delle scienze che le più grandi scoperte, furono sempre l'opera di pochi, ed ebbero sempre per retaggio la contraddizione della moltitudine dei coetanei. Che più?
Vi fu un giorno, in cui la credenza attuale di duecento milioni d'uomini era ridotta a quella sola di un Gesù a petto della credenza contraria di tutta la terra. Eppure l'uomo saggio avrebbe dovuto dar ragione al Cristo e torto ai popoli tutti!
A riparare un tanto male, e giungere a far udire alcune verità agli scredenti, ho preso di mira, come argomento ben poco noto, sebbene il più degno delle nostre meditazioni, il modo di essere della presenza reale di Gesù Cristo nell'Eucaristia, fregiandolo accessoriamente di quanto può servire a dare una chiara idea del Sacramento. Lo scritto è breve, conciso, sminuzzato a fette come il pane, perché riesca non oscuro per gli altri. Mi lusingo così che il lettore anche il più tiepido ed incredulo vorrà seguirmi sino alla fine, perché non infastidito, e perché accarezzato nella sua ragione. Ed io ne lo prego caldamente: ché lungi dallo abbagliare solo per un momento l’immaginazione sua con una vana fecondità d'eloquio, solo mi sono proposto di lasciar lunga traccia nella ragione colla solidità degli argomenti e coll'ampiezza delle viste come il Cielo, cui miro, onorando in pari tempo Dio e l'uomo. Felice assai se avrò riuscito a far sentire alcunché di buono e consolante allo spirito! II resto verrà colla grazia di Dio, che io umilmente invoco e spero, affinché sia dato a tutti il bel Paradiso, che è l'invisibile, come la Eucaristia il visibile fine della cattolica nostra santissima Religione.
La Dottrina che qui si svolge poggia sulla Somma di quel colosso delle umane intelligenze, il divo S.Tommaso, nella quale la geometria della dizione si assorella così magnificamente colla sublimità del pensiero. Molte oltre opere mi furono di aiuto, e se ne vedrà un elenco in calce di questo scritto. Talché il lettore può andar persuaso trovarsi in queste poche pagine la sintesi delle migliori dottrine cattoliche sull'argomento in armonia coll'odierna scienza.
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CAP IV. PROVA INTRINSECA DELLA S. EUCARISTIA
Non basta che le parole dell'istituzione provino all'evidenza il Domma Eucaristico; non basta che la storia ed i miracoli dimostrino il consenso dei fedeli nel crederlo e dell'autorità Divina nel confermarlo; la ragione vuol scendere sino al fondo dell'argomento, e si domanda ansiosa il perché della S. Eucaristia. Se taluno si contentasse di rispondere ch'ei conveniva le figure del Vecchio avessero una correlazione di realtà nel Nuovo Testamento, la ragione rannugolata, perché sovente non abbastanza piena di fede verso la S. Scrittura, potrebbe obbiettare, le figure stesse tornar inutili, ove il tipo che rappresentano diventi soverchio esso stesso. Ad appagare adunque la ragione non mai sazia dell'uomo, occorre una prova intrinseca, che addimostri la somma convenienza, starei per dire, la necessità della SS. Eucaristia. I pochi riflessi che seguono s'indirizzano agli uomini giusti che cercano ed amano la verità nella semplicità del loro cuore, ma non certo a quelli ingolfati ne’ piaceri del mondo, i quali non vedendo più oltre del loro caffè, del loro teatro, del loro salotto, del loro giornale, e sentendo parlare della SS. Eucaristia compiangono il dono ed il donatore, e si domandano «a che pro tutto questo?». La loro mente carnale striscia troppo sulla terra, perché possa liberamente sollevarsi agli invisibili ed intangibili misteri dell'Ostia. Essi né vorrebbero, né potrebbero comprendermi. Che se dai primi invece fossi richiesto di rispondere il più ricisamente possibile al perché dell'Eucaristia, direi l'Amore; se interpellato una seconda volta, l'Amore, se una terza, l'Amore. – Sì: l'amor di Dio fu causa del massimo fra i miracoli, l'Eucaristia. Ma per la generalità degli uomini e per adattarsi a tutti bisognerebbe ancora meditare profondamente queste parole: Amor di Dio per l'uomo.
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AMORE INFINITO DI DIO
[…] Come Sovrano, come Creatore, Iddio non può non volere che le sue fatture non siano in lui. E siccome in Dio tutto è perfetto, questo volere che siano in lui e dipendano da lui, significa un possesso perfettissimo senza restrizioni, senza confini, senza requie, ma completo, perenne, infinito. Datemi un pianeta sottoposto alla più piccola forza d’attrazione, prevalente alle altre forze cui potrebbe soggiacere, verrà certo un momento che il suo sole lo unirà a sé per sempre; perché maggiore e continuo si è l’impulso d'attrazione. Così l’anima, ben usando di sua libertà, si volga per un istante a Dio con tale solo una intensità che prevalga alle forze perturbatrici del mondo e si lasci indi tranquillamente tirare dalla divina grazia; ecco che questa sarà così veemente nei suoi ardori che la trarrà irresistibilmente a sé incorporandola in eterno nel torrente delle sue purissime delizie. Tant'è: egli è proprio di Dio il non ammettere limiti alle sue operazioni. Possedere, amare la sua creatura egli è certo la sua dote. Ora ei conviene pur certamente alla sua onnipotenza, alla sua bontà di raggiungere, nell'ordine da lui stabilito, il massimo grado del possibile e del bene nel compiere coll'anima l'unione sua, meta finale del suo amore. Ma qual è questo massimo grado, se non quello di dare tutto sé stesso all'anima? Iddio che tutto ingrandisce e pur anco il suo amore, poteva riservare qualche cosa di sé all'anima che lo predilige? Ad un amor di preferenza, unico possibile a creatura, poteva Iddio rifiutare l'amor tutto suo possibile?
F. Faà di Bruno, Piccolo omaggio della scienza alla Divina Eucaristia, Marietti, Torino 1872, pp. 9-15, 77-79, 97-99.