Ricorre il ventennale del lancio del telescopio spaziale Hubble, uno dei progetti scientifici più fantastici mai realizzati. Battezzato così in omaggio al famoso astronomo Edwin Hubble (1889-1953) – responsabile della scoperta dell’espansione dell’universo – il telescopio spaziale è stato il frutto di una stretta collaborazione internazionale tra la NASA e l’ESA. Messo in orbita nel 1990 da una navetta Shuttle, Hubble è un telescopio con uno specchio di 2.4 metri di diametro, piccolo se paragonato ai grandi telescopi da 8 metri e oltre, costruiti di recente in Cile e negli Stati Uniti. Hubble ha però un vantaggio unico che ampiamente compensa le sue dimensioni limitate. La sua postazione, al di sopra dell’atmosfera (575 km da terra), permette di osservare l’universo a lunghezze d’onda non accessibili dalla superficie del nostro pianeta, come l’ultravioletto. E permette di ottenere immagini di una nitidezza impressionante, liberandoci dal classico “scintillio” che l’atmosfera turbolenta introduce. Questo fenomeno è ben noto a tutti coloro che contemplano il cielo stellato in una notte serena e trasparente, ed è una severa limitazione alle osservazioni astronomiche da terra.
Progettato negli anni settanta, Hubble aveva obbiettivi estremamente ambiziosi. Il primo della serie dei “Grandi Osservatori” spaziali, Hubble fu costruito per capire le leggi dell’espansione dell’universo, per osservare e studiare le galassie più lontane, per scoprire la presenza di altri pianeti al di fuori del nostro Sistema Solare. Ma le speranze furono terribilmente deluse, solo pochi mesi dopo il lancio. Dopo un periodo di intensa verifica orbitale che il telescopio e gli strumenti, funzionassero come previsto, gli astronomi si resero conto che le immagini non erano poi cosi nitide come ci si aspettava. Presto gli esperti conclusero che Hubble aveva un problema fondamentale: lo specchio primario non era stato levigato con il profilo giusto, ma mostrava, in modo chiaro e inconfondibile, la presenza di “aberrazione sferica”, una condizione ben nota agli esperti di ottica che produce immagini fuori fuoco. Le immagini che Hubble inviava a terra non erano poi migliori di quelle che si potevano ottenere da terra, e tutti i tentativi di focalizzare il telescopio furono vani. Ne seguì una fase di intensa disperazione, che ben presto si trasformò in una grande sfida. Fisici, ingegneri, astronomi, in Europa e negli Stati Uniti, cominciarono a pensare e lavorare insieme con un unico obiettivo: trovare una soluzione che potesse recuperare la visione ad alta risoluzione del telescopio. In effetti, Hubble aveva un altro, incredibile vantaggio, che si rivelò estremamente utile in questo frangente. Il telescopio era stato progettato per essere riparato in orbita. Tutti i sistemi erano accessibili, costruiti con l’idea, che in un qualche futuro, astronauti avrebbero potuto lavorare su Hubble, cambiando strumenti, riparando parti guaste, ecc. Hubble era la prima missione spaziale ideata e costruita per essere mantenuta in situ, a 575 km dalla superficie terrestre. per almeno dieci anni. Maniglie erano state collocate lungo il telescopio per permettere agli astronauti una presa facile. I vari strumenti erano modulari ed estraibili. Un sistema di portelloni avrebbe dato agli astronauti facile accesso alle viscere del telescopio, e agli strumenti ivi alloggiati. E così, quando il team di fisici, ingegneri e astronomi concluse che era davvero possibile costruire delle ottiche correttive per Hubble, subentrò la volontà di agire, presto, subito. Le due agenzie spaziali, la NASA e l’ESA, implementarono velocemente un piano d’attacco. E tre anni dopo, un secondo team di astronauti dimostrò che si possono realizzare nello spazio compiti tecnologicamente delicati, aprendo così la strada a missioni più complicate, come l’assemblaggio della Stazione Spaziale.
Una volta istallata l’ottica correttiva, le prime immagini, finalmente splendide, rassicurarono gli animi in ansia, e confermarono che le prestazioni aspettate erano state recuperate. I venti anni successivi fanno parte della storia. Le scoperte del telescopio spaziale Hubble hanno profondamente cambiato la nostra visione dell’universo. Non solo l’universo è in espansione, ma sta accelerando. Una forza repulsiva, la Dark Energy è responsabile di questo moto accelerato, ma la sua natura non è conosciuta. Hubble ha inoltre fotografato pianeti orbitanti intorno a stelle vicine ed ha dimostrato che i pianeti extrasolari possono avere un’atmosfera, proprio come il nostro pianeta, riconoscendovi elementi conosciuti, come l’acqua e il metano. Hubble ha spinto l’orizzonte remoto dell’universo, osservando galassie nate solo 600 milioni di anni dalla formazione iniziale, dal Big bang. E ha continuato a produrre immagini stupende, che sono diventate parte della nostra vita quotidiana, mostrandoci con una risoluzione e grande ricchezza di dettagli, che l’universo è stupendo ma anche estremamente complesso.
Hubble non ha solamente cambiato la nostra conoscenza dell’universo. Ha cambiato il modo di fare scienza. Ha portato l’universo nelle nostre case, ha ispirato e continua a ispirare molti di noi, fino a poterlo definire “il telescopio della gente”, facendo dell’astronomia, una scienza fino a quel momento riservata a pochi, una risorsa disponibile adesso a tutti, senza distinzione. Hubble ci ha anche insegnato che si può trasformare un fallimento in vittoria, se c’è una sufficiente determinazione. Ci ha insegnato inoltre che le barriere nazionali non esistono, quando si ha uno scopo comune e importante. Hubble, infine, ci ha insegnato non solo a guardare l’universo, ma anche a capire un po’ più noi stessi.
Una ultima missione di manutenzione ha avuto luogo nel maggio del 2009. Nuovi strumenti sono stati istallati, computers obsoleti sono stati sostituiti. Due strumenti che si erano recentemente guastati, sono stati riparati durante una serie di passeggiate spaziali di una complessità tale da tenere gli astronomi inchiodati agli schermi per cinque giorni interminabili. Il risultato è che Hubble adesso è un osservatorio rinnovato, più potente che mai. Una missione destinata a durare ancora qualche anno, alla quale auguriamo ancora tanto successo.