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Intervista a Cesare Barbieri

Cesare Barbieri
2009

Cesare Barbieri è Professore Ordinario presso il Dipartimento di Astronomia dell’Universita' di Padova. È stato Presidente dei Comitati Scientifici per il Telescopio Nazionale OAN e COLUMBUS (ora LBT), Direttore dell'Osservatorio Astronomico di Padova, Direttore del Telescopio Nazionale Galileo. È stato inoltre responsabile delle attività italiane per la Halley Multicolour Camera della Missione GIOTTO e della costruzione della “Wide Angle Camera” per la sonda spaziale Rosetta.

Domanda (Matteo Bonato) Tra scienza e teologia potrebbe esserci secondo lei un confronto proficuo? Quali vantaggi ne trarrebbero l'una dall'altra?

Risposta. Certamente la teologia ha bisogno in ogni epoca della scienza, se non altro per approfondire la conoscenza e veridicità delle proprie fonti. È vero anche il contrario? Mi pare che la risposta, e la sua articolazione, dipenda da quale “scienza” si consideri, medicina, biologia, chimica, fisica, astronomia. Non v’è dubbio che l’odierna astronomia possa in gran parte fare a meno della teologia, almeno fino al punto in cui non ci confronti con le leggi ultime. È davvero l’Universo libero di divenire, magari seguendo un percorso in cui ogni tratto sia indipendente dai precedenti, in una sorta di cammino casuale a seconda di minime fluttuazioni delle condizioni iniziali? Oppure è vincolato da un rigido determinismo che fa di Dio l’orologiaio di passate concezioni? E’ l’uomo un accidente in tale processo o tutto era finalizzato al suo apparire? Ecco, quando l’astronomo per così dire è costretto a sbattere contro questi ostacoli perché qui lo conducono le sue teorie e osservazioni, ecco che la riflessione teologica apparentemente rimossa dai suoi ragionamenti rientra di prepotenza. Il confronto diviene dunque non solo auspicabile ma addirittura necessario, e un confronto è sempre proficuo, per entrambi. 

D. Di fronte alla possibilità di vita su altri pianeti qual è il suo pensiero? La scoperta di vita extraterrestre avrebbe qualcosa da dire anche alla religione?

R. Se scoprissimo altre forme di vita intelligente certamente avremmo molto da imparare su noi stessi, la nostra evoluzione, il nostro ruolo nell’Universo. È un argomento su cui rifletto molto, in particolare da quando mi sono avvicinato a problematiche di comunicazione interplanetaria e interstellare, sia classica che quantistica. Infatti, non essendo io un ‘pensatore’ ma soprattutto un osservatore e uno sperimentale, ho raggiunto la convinzione che i nostri strumenti si avviino a essere adeguati alla impresa di ricercare questi “esseri intelligenti”, o di farci scoprire da loro. Da qui il mio impegno concreto a migliorare sempre più i nostri strumenti, magari percorrendo cammini non convenzionali relativi alle proprietà ultime della luce, o per meglio dire della radiazione elettromagnetica in generale. Ora, il mio problema maggiore al riguardo di questi supposti esseri intelligenti non è tanto l’esistenza di un Dio creatore (al riguardo ho sempre in mente le parole di Padre Angelo Secchi sulla serena provvidenza che illumina anche questi esseri), quanto il senso della Cristologia, in cui d’altra parte fermamente credo. In altre parole, non riesco a capire il senso di un cammino di salvezza che parta da un peccato originale e culmini in una Redenzione dedicata solo a noi su questa minuscola terra in questo sperduto sistema solare. Come se ne esce? Immagino che alla domanda abbiano risposto illustri filosofi e teologi, ma di nuovo, non credo che bastino i nostri ragionamenti, la risposta verrà appunto mediante il confronto con gli altri esseri intelligenti, ammesso sempre che li troviamo e riusciamo a comunicare con loro. Relativamente alla comunicazione, non mi preoccupa più di tanto il ritardo temporale di anni o anche secoli tra domanda e risposta dovuto alla finita velocità della luce, l’importante è avviare il flusso di comunicazioni.

D. Un certo numero di scienziati e di divulgatori scientifici sostengono che la moderna cosmologia confuti la visione di un Universo creato da Dio, conducendo quindi all'ateismo. Lei cosa ne pensa?

R. Se ripercorressimo la storia delle scienze in generale, troveremmo di sicuro in ogni epoca le stesse proposizioni “ateistiche”, fatte da illustri scienziati e popolari divulgatori. Ma appunto la storia mi ha insegnato la fallacia della cosiddetta modernità. Anche alla fine del XIX secolo erano ‘moderni’, si erano fatti passi giganteschi in astronomia, fisica, chimica, botanica, geologia, e lo stesso argomento di ateismo scientifico era assai popolare. Eppure ancora non si conosceva la natura intima della materia, né la sorgente nucleare dell’energia stellare né l’espansione dell’Universo. Oggi, abbiamo evidenza che dei costituenti dell’Universo conosciamo appena una piccola percentuale, si sono coniati termini come materia oscura e energia oscura, addirittura dubitiamo che l’universo osservabile sia l’unico di una infinita molteplicità. Dovremmo quindi concludere che l’ateismo scientifico è semmai motivato dalla nostra ignoranza, non certo dalle nostre conoscenze!

D. Secondo lei, l'osservazione del cielo, così legata alle religiosità naturali di tanti popoli, può continuare anche oggi a parlarci di Dio?

R. Vorrei concedermi una risposta quasi sentimentale più che scientifica. Nell’arco della mia carriera ho attraversato varie modalità di osservare gli astri, da quella con l’occhio accostato all’oculare del telescopio a quella fatta rimanendo comodamente seduto nel mio studio mediate intangibili strumenti su remote sonde spaziali. In quest’ultimo caso non c’è tempo di pensare, ogni momento è scandito da azioni precise, non è molto diverso da essere in una camera operatoria in cui per non commettere errori non si può pensare all’essere umano sotto ai ferri. Quindi i momenti per me più belli, quelli in cui davvero osservo il cielo, sono di solito all’albeggiare, quando esco dalla cupola e vedo finalmente il firmamento, così bello in ogni stagione e in entrambi gli emisferi. Mi riempio ancor oggi, dopo tanti anni, di un grande stupore, e mi sento intimamente vicino ai popoli che hanno avuto la fortuna di avere cieli bui, cieli in cui per così dire si specchiavano le loro convinzioni, le loro vicende, le loro divinità. Peccato che nel mondo civile questa possibilità si sia in gran parte perduta, e temo con essa anche la capacità di vedere e ascoltare una bellezza che ci trascende.