Sulla Libertà di ricerca: alcune letture scelte

Stefano Oliva

Nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000), dopo il Titolo I dedicato al tema della dignità, il Titolo II si concentra sulla libertà. Particolare attenzione viene riservata alla libertà di pensiero, di espressione, e alla libertà delle arti e delle scienze. «Le arti e la ricerca scientifica – recita l’articolo 13 – sono libere. La libertà accademica è rispettata». Ma che cosa si intende esattamente per “libertà di ricerca”? A quali condizioni possiamo dire che la ricerca sia libera? Da quali eventuali costrizioni essa pretende di affrancarsi, e in vista di quali mete deve essere preservata integra nella sua libertà?

I testi che compongono lo Speciale che proponiamo ai nostri lettori lettori esaminano il tema della libertà di ricerca da diverse prospettive, sottolineando il ruolo ricoperto dai saperi accademici e dalle istituzioni universitarie nella difesa e nella promozione di tale libertà. I brani scelti affrontano la relazione tra libertà e verità, si interrogano sul significato profondo dell’autonomia delle scienze in relazione alla crescita complessiva dell’edificio del sapere, per toccare infine quale ruolo abbia la fede cristiana nel favorire oppure ostacolare tale autonomia.

Nel discorso preparato da John Henry Newman nel 1855 per la Scuola di Scienza dell'Università Cattolica di Dublino (e mai tenuto perché giudicato dalle autorità troppo progressista), il futuro cardinale espone con chiarezza quale sia, nel suo pensiero, il ruolo da assegnare all’Università, intesa come quella istituzione in cui trovano spazio e vengono mantenuti in equilibrio, nel rispetto reciproco, i diversi saperi: «Agisce da arbitro fra verità e verità e considerando la natura e l'importanza di ognuna, assegna a tutte il loro debito ordine di precedenza. Non mantiene alcun ambito di pensiero in modo esclusivo, per quanto ampio e nobile; e non ne sacrifica alcuno». La verità rappresenta anche il criterio che regola i rapporti tra libera ricerca scientifica e autorità religiose: con un atteggiamento di estrema fiducia tanto nelle scienze quanto nella Rivelazione, Newman osserva che «la verità di ogni genere non può che aiutare la verità», e pertanto non c’è ragione di limitare la libertà di ricerca per motivi religiosi. Nessuna verità scientifica, se è tale, può seriamente compromettere una verità rivelata, anch’essa correttamente intesa; dunque, continua Newman,  «nel coltivare quelle scienze in cui l'intelletto umano può scoprire la verità, è questione di primaria importanza che il ricercatore sia libero, indipendente, affrancato da costrizioni nei movimenti; che gli sia consentito e sia in grado, senza ostacoli , di fissare la mente con attenzione, anzi, in modo esclusivo, sul suo oggetto particolare, senza il rischio di essere distratto ad ogni momento nel processo e nel progresso della sua indagine, da accuse di temerarietà o da moniti contro l'inopportunità o lo scandalo».

La libertà di ricerca può dunque essere intesa come autonomia del ricercatore nel porsi i propri obiettivi e nel perseguirli attraverso le metodologie specifiche della propria disciplina. In questo linea si pone anche il fisico-chimico e filosofo ungherese Michael Polanyi che, nell’articolo I fondamenti della libertà accademica (1947), distingue due diversi modi di intendere la libertà: come arbitrio individuale o, viceversa, come affrancamento dai fini personali e sottomissione a obblighi impersonali.  Rispetto a queste opposte visioni, la libertà accademica, intesa come «diritto di scegliersi il proprio problema da investigare, di condurre la ricerca liberi da ogni controllo esterno, e di insegnare la propria materia alla luce delle proprie opinioni», non compromette l’unità dell’edificio del sapere ma in realtà favorisce una forma di auto-coordinamento delle diverse imprese conoscitive. Questo fatto, attestato dallo sviluppo delle conoscenze e dall’effettivo progresso scientifico, rivela una coesione interna delle scienze che poggia in ultima analisi sul «comune radicamento degli scienziati nella medesima realtà spirituale», vale a dire nel dispiegarsi della scienza come ricerca collettiva della verità. È proprio tale coesione interna a offrire una soluzione al dissidio tra le due visioni della libertà precedentemente esposte: l’originalità dello scienziato e il rispetto della tradizione che ha condotto a definire gli standard scientifici accettati vanno di pari passo, cosicché «la libertà accademica può pretendere di essere una forma efficiente di organizzazione per le scoperte in tutti i campi dello studio sistematico controllati da una tradizione di disciplina intellettuale».

La libertà della ricerca non implica dunque un rifiuto dei vincoli e delle leggi che sono proprie di ogni disciplina ma si presenta come libertà per la verità, meta ultima del sapere che proprio attraverso il rispetto di protocolli e norme metodologiche appropriate può essere conseguita in modo rigoroso e fondato. Il rapporto tra libertà e verità torna anche nel discorso agli scienziati e agli studenti tenuto da Giovanni Paolo II nella cattedrale di Colonia (1980). Pur delineando il rapporto tra fede e scienza come «un dialogo da pari a pari», il pontefice mette in guardia dalle riduzioni del sapere scientifico a fatto meramente tecnico-funzionale, diretto a una manipolazione del mondo e dell’essere umano. Quindi esorta a rinnovare lo slancio verso una comune ricerca della verità: «La verità e tutto ciò che è vero rappresenta un grande bene a cui dobbiamo rivolgerci con amore e gioia. Anche la scienza è una strada verso il vero; poiché in essa si sviluppa il dono di Dio nella ragione, che secondo la sua natura è destinata non all'errore, ma alla verità della conoscenza». Giovanni Paolo II osserva come proprio la riduzione della scienza a manipolazione tecnico-scientifica rischi di compromettere la libertà dell’essere umano. Contro questa deriva,in un passo che merita di essere riportato per intero, viene ribadita la legittimità di una ricerca puramente teorica, non immediatamente diretta ad applicazioni pratiche: «Certo, la scienza ha un suo senso e una sua giustificazione quando la si riconosce capace di conoscere la verità e quando la verità è riconosciuta come un bene umano. Allora si giustifica anche l'esigenza della libertà della scienza; in che modo infatti potrebbe realizzarsi un bene umano, se non mediante la libertà? La scienza deve essere libera anche nel senso che la sua attuazione non venga determinata da fini immediati, da bisogni sociali o da interessi economici. Questo non significa però che per principio debba essere separata dalla “prassi”. Soltanto che, per poter influire efficacemente sulla prassi, essa deve ricevere la sua prima determinazione dalla verità, e quindi essere libera per la verità».

Se, infine, la ricerca è «libera per la verità», diventa sempre più evidente che la libertà non riguarda, se non in senso traslato, la scienza bensì la persona del ricercatore. È questo il punto messo in risalto da Giuseppe Tanzella-Nitti nella voce “Autonomia” del Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede (2002): «La libertà di ricerca scientifica non è libertà della scienza, ma libertà del soggetto. Essa partecipa pertanto di quelle caratteristiche che rivelano il significato della libertà personale come auto-determinazione che trova il suo pieno compimento nell’opzione per la verità e per il bene». La libertà della ricerca si realizza così nella persona del ricercatore, nel quale convergono motivazioni, aspirazioni, competenze, posizioni etiche. Radicata nella dimensione personale, la libertà di ricerca, sottolinea Tanzella-Nitti, chiama in causa anche la nozione di responsabilità: «come per la persona umana la libertà non può comprendersi come libertà di essere ciò che non si è, ma di diventare e di realizzare ciò che si è chiamati ad essere, così la libertà di ricerca non può comprendersi come libertà di fare tutto ciò che sia scientificamente possibile e tecnicamente praticabile, ma come libertà di orientare la scienza verso quei fini che le sono propri». Una ricerca scientifica veramente libera è quella che tende a compiersi raggiungendo il fine che le è proprio, la verità, e che dunque cerca di ‘diventare ciò che è’; ogni ricerca scientifica che deroga alla propria finalità veritativa rischia di cadere preda di forze che, in maniera ben più incisiva, potrebbero vincolarla a interessi spuri : «Una scienza che rinunciasse al suo legame con la verità, perché la ritenesse qualcosa di provvisorio o di troppo ideale, ed accettasse così una visione puramente strumentale e funzionalista della sua attività, perderebbe per questo proprio la sua autonomia, lasciando che le finalità del suo operare vengano determinate dall’economia, dal gioco dei consensi o dalla politica».

I testi che abbiamo brevemente presentato delineano un percorso che va dalla libertà di ricerca alla libertà del ricercatore, colto come soggetto personale capace di assumersi in maniera responsabile l’impegno che è da sempre inscritto nell’attività scientifica: una sempre più profonda comprensione della realtà. Nella verità, la libertà di ricerca non trova dunque un vincolo ma una condizione di possibilità; il ricercatore che non voglia ‘legarsi’ alla verità, finirà per essere legato – contro la sua volontà – alle mutevoli ideologie e al diritto del più forte. Contro questi esiti, la libertà del ricercatore rappresenta una garanzia di affidabilità non solo per la comunità scientifica ma, più in generale, per la società democratica.