A partire da 3,4 miliardi di anni fa la presenza dei batteri è certa. Questi, che avevano invaso l'oceano, sono stati gli unici occupanti viventi della terra per più di due miliardi di anni. Ancora oggi, i batteri sono onnipresenti. Hanno imparato a colonizzare gli ambienti più esotici, dalle sorgenti d'acqua bollente alle zone gelide e più fredde. Sfruttano fonti di energia in tutti gli ambienti, essendo stati trovati nelle perforazioni, sepolti sotto parecchie centinaia di metri di roccia. Tuttavia, la loro strategia di vita non ha nulla in comune con quella dell'uomo, dei mammiferi e di tutti gli esseri pluricellulari cui hanno dato origine. Questo risultato straordinario ha stupefatto il celebre paleontologo Stephen Gould che rifiuta con veemenza il concetto che i loro discendenti più complessi, fra cui gli uomini, possano essere considerati più evoluti o meglio «riusciti». Questi primi viventi condividono con noi il famoso codice genetico, che permette la programmazione della riproduzione. Del «fiume della vita», come lo chiamava Konrad Lorenz, ci sono dunque continuità e unità fin dalla sua sorgente, che sembra nondimeno così lontana da noi nel tempo e nella forma. Le società di batteri sono caratterizzate da una grande omogeneità degli individui che le compongono, poiché questi non conoscono né la crescita seguita da una degenerazione programmata, che conduce alla morte, né la riproduzione sessuale. Questi esseri microscopici sono organismi molto semplici, la cui unica cellula non possiede nucleo. Si riproducono per duplicazione formando altri due esseri viventi identici. In un certo modo, vivono l'immortalità. Non ci sono né morte programmata né nascita. Gli adulti fanno nascere altri adulti, per usare un linguaggio familiare. Si tratta dunque di una società molto omogenea di adulti, che generano esseri identici. Non ha né bambini ne vecchi. La morte accidentale esiste, ma la morte programmata e la sessualità vi sono sconosciute. Quanto alla loro riproduzione per duplicazione, essa ha un'efficacia grandissima ed è molto economica in energia. Un individuo si scinde in due dando origine immediatamente a due individui funzionali. Non ci sono né il problema della ricerca del compagno per la fecondazione né il problema della protezione e dell'educazione dei piccoli.
L'evoluzione mediante errori
Ma questo sistema paga una penale gravosa per questa efficacia nel generare esseri identici. Questa popolazione uniforme, che genera uguali, deve inserirsi in un ambiente che cambia rapidamente. Se si è ben adattata a questo primo ambiente, non lo sarà al successivo e ciò può essere letale per tutta quanta la popolazione. Il fatto è che la sopravvivenza passa attraverso la capacità di adattamento. Tuttavia, bisognava che queste popolazioni si adattassero, altrimenti non sarebbero sopravvissute. Come hanno fatto? Principalmente grazie agli errori di copia durante la duplicazione del codice genetico. Gli errori sono la materia dell'evoluzione, ma poiché non sono molto frequenti, occorreva che si verificasse un gran numero di riproduzioni durante il periodo necessario a un cambiamento significativo dell' ambiente. Ora, una generazione di esseri viventi è tanto più breve quanto più è ridotta la loro dimensione. Infatti, questa durata di vita è, in via approssimativa, direttamente proporzionale al tempo necessario per raggiungere la dimensione della maturità: a una sequoia occorrono alcune centinaia d'anni, ma solo alcune decine di minuti a dei microbi. Alcuni batteri, in circostanze favorevoli, possono produrre una nuova generazione (il che equivale a un raddoppio della popolazione) in pochi minuti. A questo ritmo, la popolazione si moltiplicherebbe più di un milione di volte in alcune ore! Le numerosissime generazioni di individui permettono agli errori di copia del codice genetico di modificare l'insieme della popolazione in un tempo sufficientemente breve. Non contenti di colonizzare la terra, i batteri l'hanno progressivamente trasformata, poiché alcuni di loro hanno introdotto nell'atmosfera l'ossigeno libero, essenziale per la nostra respirazione. Infatti, l'atmosfera primitiva non conteneva ossigeno libero, mentre la nostra atmosfera attuale ne contiene il 21 per cento. Orbene, da 3,4 miliardi di anni, si vedono apparire strutture laminari calcaree chiamate stromatoliti formate da batteri coloniali fotosintetici. Furono loro a dare progressivamente all'atmosfera il suo ossigeno libero e il suo strato protettore di ozono, creando le condizioni necessarie allo sviluppo di una vita più complessa, con una strategia di riproduzione radicalmente diversa.
La vita dopo la morte: immortalità del gene, il sesso
Questa seconda strategia di riproduzione, quella della riproduzione sessuale, è apparsa circa due miliardi di anni più tardi: radicalmente diversa, ha conosciuto anch'essa uno sviluppo prodigioso. Invece di duplicare il codice genetico di un individuo e di trasmetterne una copia ai due discendenti, due esseri forniscono la metà del loro codice genetico per formarne uno nuovo, che è programmato in modo totalmente diverso, poiché ha preso in maniera aleatoria la metà dei caratteri di ciascuno dei suoi genitori. Ne consegue che il numero di combinazioni possibili, che danno origine a un individuo differente, è quasi infinito. Nel caso dell'uomo, per esempio, il solo appaiamento dei 23 cromosomi può effettuarsi in più di 16 milioni di modi diversi. Ogni individuo è dunque unico e la popolazione offre all'evoluzione una enorme ricchezza d'adattamento all'ambiente. Ma questa nuova strategia ha un costo molto elevato, a tal punto che molti ricercatori si pongono la domanda: perché la vita ha «inventato» un sistema che comporta una simile maggiorazione di dispendio di energia, mentre il precedente sembra così efficace? Bisogna, in realtà, che i due individui che metteranno in comune il loro patrimonio genetico incomincino con l'incontrarsi. In seguito, bisogna che siano attratti l'uno dall'altro per accettare questo scambio. Infine, bisogna che diano origine a un essere diverso da loro, che nascerà piccolissimo e dunque fragilissimo. Ciò implica un enorme dispendio di energia, non soltanto per l'incontro che conduce alla fecondazione – e la strategia dell'incontro pone i suoi problemi specifici – ma anche per l'allevamento e la protezione dei piccoli prima che raggiungano la loro autonomia.
La morte
Del resto, siccome non serve a nulla generare individui diversi dai genitori se poi questi rimangono e occupano spazio, bisogna che i procreatori scompaiano. Ne consegue l'introduzione della morte programmata quando i genitori avranno prodotto il numero di figli necessario per la sopravvivenza della popolazione. La morte deve essere programmata nelle loro cellule. C'è crescita, poi degenerazione e infine la morte dell'individuo. La vita inizia con un periodo delicatissimo del piccino che bisogna condurre allo stadio di adulto autonomo. La funzione principale di questo adulto è di riprodursi prima di diventare un essere in declino, un rifiuto che deve essere eliminato, rientrando nel fluire della materia organica riciclata di generazione in generazione. Negli esseri sessuati, gli individui sono mortali; è il patrimonio genetico dell’insieme della popolazione che è in qualche modo immortale. Il patrimonio genetico si evolve progressivamente, sotto l'azione degli innumerevoli accoppiamenti degli individui di cui è composta la popolazione. È sulla sua evoluzione che agisce la pressione dell'ambiente per favorire le innovazioni favorevoli, eliminare le nocive e lasciare in attesa quelle che non presentano né vantaggi, né inconvenienti.
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Superare la morte e la sofferenza
Ai nostri giorni, tutta una corrente di pensiero valuta il ruolo della capacità all'altruismo nel funzionamento della società umana. La capacità di aiutare l'altro e di farsi carico delle sue difficoltà, sono studiate come strategie per migliorare il funzionamento della società umana a partire dall'impegno di instaurare la fiducia; questi studi mostrano che investire sulla fiducia significa realizzare un buon affare. Riconoscere l'altro come un altro se stesso, nella sofferenza o nella morte, quali che siano le motivazioni di questo comportamento, ci porta sia al rigetto che ci rinchiude e provoca in noi la paura dell'altro, inasprendo così la società, sia, al contrario, all'accoglienza dell'altro con la sua ferita, inducendoci a superare la sofferenza e la morte. Questi due superamenti, vissuti l'uno nell'accoglienza della persona che soffre, l'altro nel lutto che permette di trascendere la morte, di oltrepassarla facendo vivere il ricordo del defunto, sono stati a mio parere i fattori principali dell'umanizzazione. Il confronto con la sofferenza e la morte, viste come specchi della propria sofferenza e della propria morte, obbliga l'uomo a un superamento altruistico che diviene superamento metafisico, artistico, poetico. Senza dubbio, è qui che bisogna cercare la nascita dell'arte, della poesia e della metafisica, che offrono la possibilità di trascendersi, di proiettarsi oltre, superando il semplice livello della realtà immediata della nostra vita.
La persona che soffre, sorgente di umamizzazione
Ma quale è la fonte di questo sforzo prodigioso? Non è altro che la persona ferita, sofferente, morente o che ci ha preceduti nella morte. È lei il fermento della trasformazione dell'uomo e della società, poiché conduce l'uomo stesso a questa trasformazione. Incominciamo a toccare il mistero profondissimo della sofferenza e della morte. È come se l'ominazione fosse apparsa – è la mia convinzione, ma non ho possibilità di provarla – con la scoperta progressiva della sofferenza e della morte fatta dall'uomo, man mano che si sviluppavano la sua coscienza riflessiva e la sua capacità di proiettarsi nel tempo. L'uomo diventava più uomo nella misura in cui scopriva e accoglieva il prossimo che soffriva come un altro se stesso. Generalmente, sono stati privilegiati come fattori dell'evoluzione dell'uomo i fattori fisiologici o economici a scapito di quelli psicologici. In un certo modo, mi sembra si ripeta qui l'errore di Cartesio. Eppure, come è possibile dubitare che i fattori psicologici abbiano svolto un ruolo fondamentale? Non ignoriamo, in questo campo, il ruolo della trasformazione dei rapporti sessuali fra l'uomo e la donna e della nuova organizzazione della società attorno ai piccoli: credo che la presa di coscienza, da parte dell'uomo, della continuità della sua esistenza, nel corso di una trasformazione che va in crescendo, dalla nascita alla maturità, per degenerare poi fino alla morte, sia stata determinante. Vivendo in una società eterogenea, con quelli che lo precedono e gli annunciano il suo avvenire, come pure con quelli che lo seguono e che egli dovrà lasciare, l'uomo colpito dalla sofferenza e dalla scomparsa delle persone alle quali si era legato, si trova nella necessità vitale di superare questo confronto brutale con la sofferenza e la morte degli altri, che lo rimanda alle proprie angosce. Questo non significa che la società umana si evolve sempre verso una migliore umanizzazione, nel senso dato da questo libro. Per essere umana, una società deve prendere in considerazione il valore unico di ogni persona che la compone e, in modo speciale, dei più piccoli e dei più sofferenti. Le società umane hanno realizzato più o meno bene questo impegno sulla dignità di ogni essere umano. Alcune sono state molto rigide e l'evoluzione dell'umanizzazione delle società non è stata lineare. Essa nella storia dell'uomo ha avuto alti e bassi, che è possibile identificare in funzione del posto che occupano quelli che ho chiamato i poli della piccolezza, della sofferenza e della morte. Si può dire che, ad ogni aumento di potenza acquisita dall'uomo nell'evoluzione culturale, corrisponde innanzitutto un ritorno di ingiustizie e di violenze, come dimostrerò per la rivoluzione neolitica e le età del bronzo e del ferro, che si pongono in continuità diretta. Ma mi sforzerò di dimostrare, nel terzo capitolo, che la violazione massiccia dei «diritti dell'uomo da parte delle società, suscita nel loro seno «profeti» che approfondiscono la natura della dignità dell'uomo e rispondono alla violenza e all'intolleranza con un sovrappiù di benevolenza, tolleranza, rispetto e amore per i più sofferenti. Queste recrudescenze di violenza della società costringono l'uomo, in qualche modo, a scoprire con un'analisi sempre più profonda la natura della sua elevata dignità.
Xavier Le Pichon, Alle Radici dell’Uomo. Dalla Morte all’Amore, Edizioni Messaggero, Padova, 2002, pp. 22-26, 49-52.