Il salvatore della scienza

Stanley L. Jaki, storico della scienza ungherese e docente presso la Seton Hall University, è noto per le sue numerose pubblicazioni riguardanti il rapporto tra teologia e scienza, in particolare per ciò che concerne la nascita del pensiero scientifico. Il suo impegno in questo campo di ricerca è stato coronato da una serie di riconoscimenti; tra questi, si ricorda il conferimento del Premio Templeton nel 1987.

Questo lavoro, seconda edizione di un omonimo volume pubblicato nel 1988 (The Savior of Science, Eerdmans), raccoglie i contenuti dei seminari svolti nel 1987 presso la Third Annual Wethersfield Institute Conference e la Columbia University. Le tematiche affrontate si inseriscono in un ambito piuttosto specialistico e rendono il libro alla portata di chi possiede già una buona conoscenza della storia del pensiero filosofico-scientifico e della teologia cristiana.

L’autore sottolinea come alla fine del XIX secolo fosse diffusa una sorta di fiducia quasi assoluta nei confronti della scienza. Questo atteggiamento aveva condotto anche ad una certa svalutazione della dottrina cristiana. L’interpretazione in senso ateistico dell’opera di Darwin è stata tra gli esiti più significativi di questa tendenza e ciò, nell’ottica dell’autore, ha portato inevitabilmente a delle incongruenze a causa delle difficoltà interne al Darwinismo che lo rendono una teoria di difficile accettazione. Più in generale, Jaki individua una sorta di “intellectual schizophrenia” in quelle correnti di pensiero della scienza contemporanea che hanno preteso di eliminare l’idea di un Creatore. Tale presa di posizione ha spinto alcuni ricercatori ad escogitare teorie insostenibili proprio dal punto di vista scientifico. Le attuali conoscenze, infatti, non consentono certo di proporre un modello di universo che abbia in se stesso la ragione della propria esistenza. Non è la scienza, dunque, ad aver messo “the Creator in the dock” ma è solo venuta meno la percezione della divinità da parte di alcuni appartenenti alla comunità scientifica. L’abbandono di una dimensione morale in favore della mera applicazione tecnologica è un’altra caratteristica negativa individuata da Jaki nella scienza contemporanea. La ragione di questa situazione, i cui esiti pericolosi sono facilmente reperibili nella storia recente e nella comune esperienza quotidiana, risiede nella volontà di alcuni scienziati di ergersi ad arbitri del bene e del male, cioè di voler “interpretare il ruolo di Dio”.

Durante l’era contemporanea si era affermata la concezione, tipica del pensiero positivista, di una scienza nata in opposizione alla cultura filosofica e teologica. Questa convinzione aveva contributo a rafforzare la considerazione, già parzialmente anticipata dalla filosofia illuminista, secondo la quale i contenuti della Rivoluzione Scientifica rappresentino una rottura radicale rispetto alla cultura del Medio Evo. L’autore fa notare, innanzi tutto, come il pensiero dei protagonisti della svolta scientifica moderna si fondi sull’idea di un ordine divino del creato e su una razionalità umana pienamente partecipe dell’armonia universale. Ma è proprio nel periodo medievale che la teologia cristiana ha dato, secondo Jaki, un impulso decisivo per la nascita del pensiero scientifico. Gli storici della scienza concordano nel vedere nella sintesi newtoniana il punto di arrivo della Rivoluzione Scientifica. La fisica di Newton può essere sintetizzata nelle sue tre leggi, delle quali solo quella riguardante il rapporto tra forza ed accelerazione (F= ma) è interamente attribuibile allo scienziato inglese. Le altre due sono state a lui ispirate dalla lettura dei lavori di Cartesio, in particolare quella del moto inerziale che il filosofo francese aveva acquisito durante i suoi studi giovanili presso il collegio Gesuita di La Flèche. Newton e Cartesio, in ogni caso, non sapevano che il principio di inerzia aveva avuto origine nell’opera del filosofo francese Giovanni Buridano (XIV sec.). Jaki illustra come l’impetus di Buridano, considerato come la prima formulazione dello stesso principio di inerzia, fosse strettamente legato al dogma cristiano della creazione. Nel contesto medievale, inoltre, l’adesione ai principi della Rivelazione da parte dei filosofi cristiani ha portato in modo inequivocabile verso l’abbandono di presupposti come l’eternità dell’universo, la presenza di una finalità insita nei corpi naturali, la divinità e perfezione dei cieli collegate al loro moto circolare opposto al moto rettilineo dei corpi sublunari. È iniziato, in questo modo, quel cammino che gradualmente è culminato nella scienza newtoniana, fondata sull’esistenza di leggi fisiche valide in tutto l’universo. Questo sviluppo ha avuto come base il principio di creazione che ha respinto ogni forma di panteismo naturalistico, le cui conseguenze sul piano fisico erano del tutto estranee alla moderna scienza della natura. A questo punto occorre chiedersi come mai solo nel cristianesimo e non all’interno delle due altre grandi tradizioni religiose monoteiste, ebraismo ed islamismo, si sia riusciti ad avviare il percorso scientifico dell’era moderna. Anche queste due religioni prevedono l’esistenza di un Creatore e la creazione dal nulla come un atto libero della volontà divina. Jaki individua la ragione di ciò nel fulcro della Rivelazione cristiana che annuncia Cristo come Unigenito Figlio del Padre. La presenza di un Unigenito (Monogenes), dunque, ha tolto ogni possibilità di concepire un universo come emanazione da un primo principio ed avente, pertanto, una struttura fisica con caratteristiche divine. Ecco, per esempio, il motivo per il quale un filosofo come Avicenna aveva conciliato il monoteismo della tradizione coranica con la concezione panteista di stampo aristotelico. In altri suoi lavori Jaki ha rimarcato come il filosofo arabo avesse intuito in qualche modo la legge del moto inerziale e come non fosse riuscito a formularla correttamente proprio a causa del suo legame con i dettami della fisica aristotelica. L’assenza di una dimensione monoteista nelle altre religioni e, nel caso dell’Ebraismo e dell’Islamismo, la mancanza di un Monogenes come parte essenziale del dogmatrinitario, hanno determinato quelli che Jaki chiama gli “stillbirths of science”, cioè le mancate nascite della scienza. Civiltà come quella indiana, cinese o dell’antico Egitto hanno preceduto di molti secoli quella cristiana e pur avendo raggiunto un elevato livello di conoscenza matematica e tecnologica non sono riuscite a formulare le leggi sui corpi in movimento.

Questo libro può essere considerato come uno dei lavori più rappresentativi tra quelli pubblicati da Jaki. Anche se in modo non molto sistematico, egli riesce ad esporre compiutamente la sua visione circa alcuni punti centrali del rapporto tra scienza e teologia cristiana. I contenuti di questo volume possono essere giudicati come una versione aggiornata delle idee che questo autore ha sostenuto durante tutta la sua attività di ricercatore. La teoria riguardante il ruolo del cristianesimo per la nascita delle scienze esatte mette Jaki su di un piano di assoluta originalità. Questa sua concezione si pone in linea di continuità con l’opera di Pierre Duhem, lo scienziato francese, pioniere della storia della scienza, al quale Jaki stesso ha dedicato in passato una monografia. La visione del pensatore ungherese riesce a spiegare perché la svolta scientifica moderna sia avvenuta nel mondo cristiano occidentale, respingendo il riduzionismo di quelle fuorvianti generalizzazioni, tipiche di scuole di pensiero come quelle di derivazione marxista o positivista, che hanno influenzato una parte della storiografia scientifica contemporanea.

Autore scheda bibliografica tematica
Alessandro Giostra