Si tratta della prima opera di sintesi dell’A., professore e ricercatore di fisica delle particelle a Cambridge, poi divenuto pastore anglicano nel 1979 all’età di 50 anni. Polkinghorne è oggi uno degli autori più attivi nel campo dei rapporti fra teologia e scienze. L’opera mette in luce alcune somiglianze metodologiche fra le scienze naturali e la teologia, smascherando e superando alcuni luoghi comuni circa una incompatibilità di principio fra le due forme di conoscenza e di pensiero. Del volume si apprezza la lucida critica al riduzionismo scientista e all’insufficienza del linguaggio formale delle scienze empiriche per dare ragione del mondo reale, cui appartengono l’irriducibilità della vita, ma anche l’estetica e la morale. Ne nasce una nuova tensione verso una visione unitaria, aperta e non ideologica, della realtà, come sottolineato dal titolo inglese dell’opera, One World. Vengono offerti validi argomenti a difesa del realismo epistemologico e in favore di un’interpretazione non idealista o semplicemente funzionalista delle leggi di natura. Come accade con altri autori di area anglosassone provenienti dalle comunità cristiane nate dopo la Riforma, anche il saggio di Polkinghorne sembra non riconoscere, all’interno della teologia cristiana, la presenza di una consolidata tradizione di pensiero di carattere metafisico, sia in ambito patristico che medievale, impiegando a volte una nozione di teologia debitrice solo, o principalmente, alle forme di pensiero della modernità. La trattazione dell’A. sul miracolo non è del tutto conforme a quella che di esso darebbe la teologia cattolica. Anche nell’analisi del rapporto fra Dio e natura l’A. manifesta una concezione dell’agire divino che si distanzia dalla posizione cattolica, ispirandosi piuttosto alla filosofia del processo.