Si tratta del più esteso documento della Chiesa Cattolica espressamente dedicato al rapporto fra fede e ragione, promulgato da Giovanni Paolo II, che rappresenta un punto di riferimento indispensabile per chiunque intenda sviluppare e trasmettere riflessioni su tale tematica. Promulgata a più di cento anni dall’Aeterni Patris di papa Leone XIII, più volte richiamata nel corso del testo, la Fides et ratio intende riprendere di nuovo e in modo più sistematico la questione dei rapporti tra fede e filosofia, continuando così la riflessione svolta nella Veritatis Splendor e concentrandosi sulla verità e sul suo fondamento in rapporto alla fede. Il papa si rivolge prima di tutto ai vescovi, quindi ai teologi, ai responsabili della formazione sacerdotale, ai filosofi, agli insegnanti di filosofia e agli scienziati, ma anche a tutti, cattolici e non. Anche se l’interlocutore privilegiato dell’enciclica è il pensiero filosofico del Novecento e non quello scientifico propriamente detto, la dottrina esposta contiene numerose premesse necessarie per impostare il dialogo fra la fede e le scienze naturali, come testimoniato da vari suoi punti (cfr. ad es. nn. 19, 34, 106). Si riscontra, infatti, una particolare attenzione per gli scienziati, motivata dal riconoscimento dei grandi risultati da loro ottenuti nella conoscenza dell’universo e finalizzata ad esortarli a rimanere in un orizzonte sapienziale.
Dopo l’introduzione, intitolata «Conosci te stesso» con un richiamo al motto dell’oracolo di Delfi, la lettera enciclica è divisa in sette capitoli seguiti dalla conclusione (I. La rivelazione della sapienza di Dio; II. Credo ut intelligam; III. Intellego ut credam; IV. Il rapporto tra la fede e la ragione; V. Gli interventi del Magistero in materia filosofica; VI. Interazione tra teologia e filosofia; VII. Esigenze e compiti attuali).
Nell’introduzione, l’enciclica richiama l’importanza del pensiero filosofico, con il quale il cristianesimo si è confrontato sin dagli inizi, e la richiesta di senso che è da sempre nel cuore dell’uomo, inseriti nel cammino dei popoli, sia orientali che occidentali, verso la verità: il desiderio di verità appartiene alla natura stessa dell’uomo. Si noti che la filosofia, intesa come attività intellettuale rigorosa e in grado di abbozzare una risposta alla domanda sul senso della vita, investita della responsabilità di formare il pensiero e la cultura proprio attraverso il richiamo al vero, è considerata uno dei compiti più nobili dell’umanità e un aiuto indispensabile per approfondire l’intelligenza della fede. Ora, la diaconia alla verità è un servizio di cui la Chiesa è responsabile in modo peculiare, missione affidatale da Gesù Cristo che è «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6). Di fronte ad una situazione in cui però la ricerca della verità ultima appare di frequente offuscata ed è diffusa la sfiducia nei confronti delle capacità conoscitive umane, la Chiesa intende riaffermare la necessità della riflessione sulla verità e difendere verità fondamentali della dottrina cattolica che rischiano di essere negate: ecco il perché del tema della verità e del suo fondamento in rapporto alla fede. La Chiesa non propone una propria filosofia, ma deve intervenire contro le tesi filosofiche che minacciano la verità della Rivelazione o gravemente erronee, pericolose per la fede del popolo.
Seguendo la Costituzione dogmatica sulla fede cattolica Dei Filius, III, del Concilio Vaticano I, la verità della fede è ben distinta dalla verità (filosofica) frutto della sola conoscenza umana, sia per il loro principio (rispettivamente la fede divina e la ragione naturale) sia per il loro oggetto (la prima infatti conosce anche i misteri nascosti in Dio, che non possono essere conosciuti se non sono rivelati e che la ragione naturale non può capire). La fede, dunque, è una virtù soprannaturale che, sostenuta dalla grazia soprannaturale e illuminata e guidata dallo Spirito, conosce una verità gratuita, perché dono di Dio non esigibile dall’uomo, e certissima, perché fondata sulla testimonianza di Dio, che non inganna né vuole ingannare; essa è un atto che esige la pienezza della natura di intelletto e volontà, quindi esige la libertà, di cui anzi permette la piena espressione.. La fede non umilia la ragione e la sua autonomia, anzi esiste una profonda e inscindibile unità tra la conoscenza della ragione e quella della fede: i due ordini di conoscenza non sono in contrasto e non possono contraddirsi, perché la verità è caratterizzata da unità. Se ragione e fede vengono separate, viene meno per l’uomo la possibilità di conoscere adeguatamente se stesso, il mondo e Dio. La ragione, però, per esprimere al meglio se stessa, deve rispettare alcune regole di fondo: la conoscenza dell’uomo non può mai dirsi conclusa; non si può esercitare ritenendo orgogliosamente che tutti i suoi risultati siano frutto di una conquista personale; il «timore di Dio», del quale bisogna riconoscere la sovrana trascendenza e il provvido amore nel governo del mondo. È Gesù Cristo che riscatta la ragione umana dalla debolezza causata dal peccato. Un ruolo particolare è riconosciuto al pensiero di San Tommaso d’Aquino.
Quanto al rapporto tra filosofia e teologia, scienza della fede, si fa riferimento al ruolo di aiuto alla teologia che è proprio della filosofia, sia per l’auditus fidei che, soprattutto, per l’intellectus fidei, in quanto è necessaria all’illustrazione di alcuni fondamentali contenuti teologici e permette di distinguere la verità oggettiva. Nella filosofia cristiana la fede purifica la ragione e la filosofia stessa riceve verità rivelate non inaccessibili alla ragione naturale, ma che forse non sarebbero mai state scoperte senza la Rivelazione. Il rapporto che deve instaurarsi tra teologia e filosofia, perciò, è di circolarità.
In conclusione, «la fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità. È Dio ad aver posto nell’uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere lui, perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso».