Il noto matematico e fisico francese Henri Jules Poincaré (Nancy, 1854 - Parigi, 1912), oltre ai suoi importanti studi scientifici ha offerto contributi fondamentali per la nascita dell'epistemologia contemporanea. La sua principale opera in questo campo, La Valeur de la science (1905), pubblicata dopo La scienza e l'ipotesi (1902) e prima di Scienza e metodo (1908) e Ultimi pensieri (1913, postuma) è un classico dell'epistemologia contemporanea. Il testo, tuttora attuale e stimolante ad un secolo dalla pubblicazione, è suddiviso in tre parti (scienze matematiche, scienze fisiche e filosofia della scienza) in cui il lettore può trovare sia considerazioni di tipo metodologico, sia notazioni specifiche riguardo alla matematica, alla geometria e all'astronomia, sia riflessioni che esprimono la sua proposta epistemologica in un quadro storico-critico, che rispecchia e dialoga da un parte con lo spiritualismo e l’intuizionismo francese, dall'altra con il riduzionismo e il neopositivismo dell'epoca. Nel saggio è espressa l'impostazione filosofica generale dello scienziato, in particolare nella terza parte dedicata alla definizione del valore della scienza e delle singole teorie scientifiche. Come prima tesi, l'A. spiega anzitutto che "la morale e la scienza hanno i loro propri domini, che si toccano, ma non si confondono. L'una ci mostra a quale scopo dobbiamo mirare, l'altra, assegnato lo scopo, ci fa conoscere i mezzi per raggiungerlo. Non vi può essere una scienza immorale, come non vi può essere una morale scientifica" (p. 5). Nel prosieguo dell'analisi, l'A. enuncia una seconda importante tesi secondo cui "non soltanto la scienza non può farci conoscere la vera natura delle cose; ma nulla è capace di farcela conoscere e se qualche dio la conoscesse, non potrebbe trovare parole per esprimerla" (p. 192), ma che, tuttavia, "vi è qualcosa che sopravvive, se una di esse ci ha fatto conoscere un rapporto vero, questo rapporto è definitivamente acquisito e lo si ritroverà sotto un nuovo travestimento nelle altre teorie che verranno successivamente a regnare nel suo posto" (p. 193). A questo proposito, il matematico tiene a distinguere la sua posizione filosofica — comunemente anche se non sempre pertinenentemente qualificata come convenzionalismo — da quella del nominalista Le Roy e dall'interpretazione che quest'ultimo aveva dato delle sue tesi. Poincaré spiega infatti che le "ricette scientifiche" sono sempre soggette alla smentita dell'esperienza e che "tutto ciò che lo scienziato crea in un fatto è il linguaggio nel quale lo enuncia" (p. 168). Il convenzionalismo dell'A. è quindi ancorato alla realtà e una geometria, afferma nel testo, può essere sì più "comoda" di un'altra, ma solo se si presenta matematicamente più semplice e se permette di inquadrare meglio i fatti sperimentali. L'oggettività stessa della scienza è anzitutto linguistica, in quanto "ciò che ci garantisce l'oggettività del mondo nel quale viviamo è che questo mondo ci è comune con altri esseri pensanti […] crediamo di poter concludere che questi esseri ragionevoli hanno visto la stessa cosa che vediamo noi: è così che sappiamo di non aver fatto un sogno" (p. 188). L'armonia espressa dalle leggi matematiche è, alla resa dei conti, quella che è definibile, secondo l'epistemologo, "la sola realtà oggettiva, la sola verità che possiamo attingere", che spiega ancora che se "l'armonia universale del mondo è la sorgente di ogni bellezza, si comprende allora quale valore dobbiamo attribuire ai lenti e penosi progressi che a poco a poco ce la fanno meglio conoscere" (p. 8). Dunque, lo scienziato ha molto da ricercare nel suo approssimarsi alla verità, ma tale attività ripaga in quanto "la ricerca della verità deve essere il fine della nostra attività: è il solo fine che sia degno di essa. […] Talora tuttavia, la verità ci sgomenta (p. 3) […] Eppure non bisogna aver paura della verità, poiché essa sola è bella "(p. 4).