Oltre l’orizzonte. Dalle caverne allo spazio: come la tecnologia ci ha resi umani

Un sottotitolo come quello del presente volume, “come la tecnologia ci ha reso umani” può risultare provocante, e in certo modo intrigante. L’opera di Giancarlo Genta e Paolo Riberi, Oltre l’orizzonte, ci offre un itinerario inconsueto, quello di una storia della tecnologia volutamente intrecciata con la storia della filosofia, e di queste due storie il testo si sforza di cogliere le reciproche implicazioni. Le nostre convinzioni filosofiche e le nostre visioni del mondo condizionano e determinano il nostro modo di porci di fronte alla vita, il nostro modo di conoscere e di lavorare, ci forniscono gli strumenti concettuali per interpretare la natura e trasformarla, ma anche per alienarla oppure umanizzarla. Fra queste visioni del mondo vi sono anche le religioni della terra, in modo particolare la tradizione ebraico-cristiana, che gli Autori riconoscono aver influito non poco sulla costruzione della civiltà Occidentale, e segnatamente sul sorgere del pensiero scientifico. È in particolare l’incontro fra quest’ultima tradizione religiosa – depositaria di una precisa visione filosofica dei rapporti fra Dio e natura – e la filosofia greca centrata sui caratteri razionali del Logos ad aver creato le condizioni adatte alla nascita e alla crescita di una mentalità che consentisse lo studio scientifico della natura. La cultura greca aveva in sé prodotto alcune specifiche potenzialità, anche in campo tecnico-scientifico – come Genta e Riberi ricordano, recuperando opportunamente i lavori di Lucio Russo sulla “rivoluzione dimenticata”, ovvero sull’incipiente pensiero scientifico greco, poi abortito o dimenticato – ma la cultura religiosa dominante nella Grecia del tempo, centrata sul politeismo e sui miti irrazionali, non aveva favorito tale sviluppo. La “miccia”, o meglio il catalizzatore che diede origine alla scienza, fu fornito più tardi da una cultura religiosa ove la razionalità e la filosofia potessero trovarsi a casa, come avvenne appunto nel cristianesimo. Nello sviluppare le loro argomentazioni, Genta e Riberi sono peraltro in buona compagnia con numerosi studiosi del Novecento, da Pierre Duhem ad Alfred North Whitehead, da Alexander Koyré a Stanley Jaki, da Alexander Kojève a Peter Hodgson, da Edward Grant ad Alistair Crombie. La medesima idea era stata riproposta, non senza una vena polemica, dalle più recenti opere di Rodney Stark, il cui pensiero gli autori di Oltre l’orizzonte volentieri rilanciano.

Il volume propone, tra l’altro, un’analisi interessante (e controcorrente) circa la vivacità della scienza e della tecnica nell’epoca medievale. L’impiego della matematica e delle prime esperienze scientifiche “moderne” viene ricollocato nel suo giusto sviluppo storico, facendone affondare le radici nello spirito universitario delle scuole di Grossatesta e di Buridano, anzi spingendole ancora più indietro alle esperienze e alle osservazioni di Giovanni Filopono. Nello studio delle radici della scienza e della tecnica, gli Autori vanno oltre i luoghi comuni e le semplificazioni, esaminando i flussi e i riflussi dell’irrazionalità e della superstizione, ben distinguendo ciò che contribuisce allo sviluppo dell’autentico pensiero scientifico e ciò che invece lo ostacola.

Venendo all’epoca moderna e poi contemporanea, si apprezza l’equilibrio, direi anche il coraggio, con cui Genta e Riberi affrontano i problemi più scottanti posti dal progresso scientifico e tecnologico. Si entra nel merito della questione nucleare, dai drammatici eventi del 1945 fino alle scelte che impegneranno il nostro futuro, valutando documenti e posizioni, illustrando testimonianze e tracciando inediti bilanci. Tecnologia vuol dire anche armamenti, potenza offensiva e possibilità di distruzione. È il “lato oscuro” della tecnica, che viene esaminato con cura e senza sconti, ma anche evitando derive mediatiche e ideologiche. Da questa situazione complessa non se ne viene fuori con la facile quanto inadeguata etichetta della “neutralità” della tecnica; una posizione, questa, che giustamente non trova rispondenza nel volume, attento invece a mostrare della tecnica l’intrinseca valenza umana, la continuità con l’intelligenza e l’operosità umane, le potenzialità positive per lo sviluppo dei popoli. Sostenere la neutralità della tecnica sarebbe infatti operazione illogica e fuorviante, come voler sostenere la neutralità delle nostre mani e del nostro cervello rispetto a quanto noi concepiamo e realizziamo. La tecnica è l’uomo, ed è tutto l’uomo, perché è stata (anche) essa, in certo modo, a renderci umani. Mantenendo come sfondo l’idea che la civiltà occidentale abbia ereditato dalla tradizione ebraico-cristiana la visione dell’uomo come “cooperatore” di Dio, perché creato a sua immagine per condurre verso il suo compimento un mondo ancora “in via”, gli Autori veicolano una visione positiva della tecnologia e del progresso scientifico, mostrando che di quel “lato oscuro” è stato ed è responsabile l’asservimento ideologico e politico, non la scienza in quanto tale, che resta espressione attiva e costruttiva della dignità dell’uomo e dell’emergenza della cultura sulla natura.

Il volume è di facile e piacevole lettura. Potrebbe essere anche impiegato per arricchire lezioni scolastiche che toccano i temi trattati, provvedendo così ad inserire la riflessione scientifica e tecnologica entro un quadro umanistico più ampio.

Autore scheda bibliografica tematica
Giuseppe Tanzella-Nitti