Si tratta di uno scritto caratterizzato da un approccio realista dallo spessore profondamente umano, in quanto giunge alle radici della questione del diritto alla vita a partire da alcuni problemi essenziali. Quest’opera raccoglie il testo di una conferenza pronunciata da Guardini nel 1947, due anni prima della promulgazione della legge tedesca sulla non punibilità dell’interruzione della gravidanza sulla base di una precisa indicazione medica, criminologica o sociale. Guardini si centra sull’indicazione sociale prendendo in considerazione le durissime condizioni economiche e sociali della Germania appena uscita dalla Seconda Guerra Mondiale. L’A. ribadisce l’irrinunciabile valore di ogni vita umana —anche di quella in sviluppo nel grembo materno— non soltanto per i cristiani, ma per ogni persona che abbia rispetto per l’uomo e responsabilità nei confronti della sua dignità. Fonda la sua posizione anche sul principio indiscusso nella Germania di quel tempo, per il quale: “non è lecito toccare la vita dell’uomo finché non ha commesso un delitto condannato, secondo il diritto vigente, alla pena di morte oppure per legittima difesa”. Sottolinea come l’indicazione proveniente dalla società riguardo la pratica abortiva non sia altro che una nuova versione dell’orientamento della politica nazista, che violava tale principio, per il quale “allo stato spettava la scelta sulla vita o sulla morte di chiunque rientrasse nell’ambito del suo potere”. Prende in esame se la suddetta responsabilità sulla vita del nascituro non obblighi, in circostanze di povertà, ad evitare una vita sventurata a tale creatura, oppure nel caso in cui danneggiasse altri con la sua esistenza; infine si domanda se semplicemente i nuovi tempi richiedano di adattarsi con nuovi costumi. La risposta cui l’A. giunge è chiaramente negativa. Il ragionamento di Guardini si fonda sulle radici ultime del valore e della dignità della persona umana che non è di natura psicologica, ma esistenziale. In tale linea, Guardini si sofferma sul rapporto che il bambino ha con la madre sin dal grembo materno: il corpo e l’anima della madre “si orientano verso l’imminente maternità; lo sviluppo del bambino investe tutta la vita fisica, spirituale e caratteriale della madre”. L’interruzione della gravidanza è una vera minaccia per la salute fisica e spirituale della donna, anche se di solito si prendono con leggerezza questi aspetti. Descrive non soltanto gli effetti percettibili, ma anche i quelli più intimi della coscienza. Un rapporto così forte non si può sopprimere senza ripercussioni profonde. Tuttavia la madre non è padrona della vita del bambino, che le è affidata; non ha maggiori diritti su di essa di quanto non ne abbia un qualsiasi essere umano su di un altro. l’A. si riferisce infine alla diffusa concezione meccanicista che impedisce di concepire la vita come un’unità non soltanto quantitativa, ma soprattutto qualitativa, di forma. La conclusione ricavata da Guardini è che: “se lo Stato vuole non c’è bisogno di uccidere, perché si possa vivere. Basta agire e sacrificarsi” (p. 40)