Il filosofo scozzese Alasdair Macintyre (Glasgow, 1929) ha compiuto i suoi studi in Gran Bretagna (Manchester) e ha insegnato prima all’Università di Leeds e poi a Oxford. Negli anni ’70 si trasferisce negli Stati Uniti dove attualmente insegna alla University of Notre Dame (Indiana). Il saggio Enciclopedia, Genealogia e tradizione. Tre versioni morali di ricerca morale (1989, tr. it. 1993), nell'edizione italiana con prefazione di V. Possenti e bio-bibliografia a cura di M. D’Avernia, è risultato del ciclo di conferenze (Adam Gifford Lectures) tenute all’università di Edimburgo (1988) e del seminario dell’anno seguente al Whitney Humanities Center dell’Università di Yale. In questa opera l’A. vuole approfondire la riflessione da lui iniziata in Dopo la virtù (1981), e proseguita in Whose justice? Which rationality? (1988). Nell’esaminare la svolta etica che si è verificata nel panorama filosofico da ormai più di un ventennio, dopo un predominio dell’epistemologia, l’A. sottolinea anzitutto che la scienza morale non ha avuto benefici: il suo linguaggio è ancora confuso, i suoi settori non hanno facile comunicazione tra loro e vi è un conflitto di posizioni inconciliabili su più argomenti. Macintyre confronta pertanto i tre diversi paradigmi di ricerca morale: l’enciclopedismo (delineato nella Nona edizione dell’Enciclopedia Britannica, iniziata 1875), il genealogismo (elaborato da F. Nietzsche in Genealogia della morale, 1887) e la versione della tradizione classica, elaborata da Aristotele (argomento oggetto del saggio del 1981), ripresa nell’etica tomista e riportata in primo piano dall’enciclica Aeternis Patris (1879) e dal Concilio Vaticano II. Scopo del libro è riaffermare l’etica tomista proponendo, attraverso un metodo storico-narrativo, una breve storia del tomismo e mostrandone, tramite il paragone con gli altri due generi, il carattere peculiare e le risorse filosofiche, intendendo come ricerca morale qualcosa di ben più ampio di una filosofia morale, in quanto aperta anche alla storia, alla letteratura, all’antropologia e alla sociologia. La critica del filosofo ai due primi paradigmi, volta anzitutto contro la teoria morale dell’illuminismo, e poi contro il metodo nietzschiano genealogico successivo, si basa sul fatto che la tradizione classica, al contrario delle altre due, è in grado di rispondere alle critiche, e le critica a sua volta applicando i metodi utilizzati da ciascuna contro l’altra, al proprio interno. Alla base della tradizione classica vi è la convinzione, va detto esplicitamente, che la ragione umana può raggiungere la verità e conoscere il telos che l’uomo realizza nella sua natura. In modo particolare, la tradizione tomista è in grado di penetrare le questioni in misura sconosciuta ai metodi rivali; essa non si accontenta di considerare i conflitti etici come razionalmente indecidibili, oppure ancorati alla tesi di dissoluzione dell'idea di verità. Come conclusione della sua riflessione, nel capitolo finale “Ripensare l’università come istituzione e la lezione come genere accademico”, il filosofo invita a ripensare l’università nel suo complesso, nell’ambito del progetto enciclopedico, in cui però, al momento, non vi è alcun ideale unitario né un sapere unificante che guidi la ricerca. L’A. auspica che, in una università post-liberale, si apra un dichiarato conflitto, secondo un modello analogo a quello che confronta queste tre versioni rivali di ricerca morale, in modo da poter portare alla luce i problemi più importanti e affrontarli in modo razionalmente consistente.