Corrispondenza con Michele Besso (1903-1955)

«A volte ho l’appagante sensazione che il mulino di Dio inizi infine a macinare. Su ciò fondando le sue speranze, affettuosamente vi saluta il vostro Albert». Così il grande scienziato tedesco Albert Einstein (Ulm, 1879 - Princeton, 1955) saluta l’amico svizzero Michele Besso (1873 - 1955) in una lettera inviata da Princeton l’11 novembre 1940. Le lettere scritte al collega dell’Ufficio Brevetti di Berna, poi privatdozent al Politecnico di Zurigo, coprono un periodo molto ampio e intenso della vita di Einstein, importante sia sul piano personale che storico-politico, dal dicembre 1909 al 21 marzo 1955 (data dell’ultima lettera per la famiglia di Besso, mancato pochi giorni prima) e costituiscono uno strumento bibliografico prezioso, insieme a quelle inviate a Max Born e Maurice Solovine. Esse forniscono, infatti, un’immagine più completa e immediata della complessa personalità di Einstein, perché, oltre a contenere notazioni e considerazioni su questioni scientifiche, permettono di leggerne i profondi timori legati alla “bancarotta morale e politica dell’Europa” (con particolare riferimento alla situazione della Germania e della Svizzera e alla questione degli ebrei) e di coglierne le convinzioni di carattere politico, etico e religioso. D’altra parte, si ha anche notizia delle vicende familiari, positive o meno, dell’A. e dell’amico, la cui moglie gli era stata presentata proprio da Einstein stesso. Il carteggio di Einstein ha il pregio di trasmettere al lettore l’impressione di poter dialogare amichevolmente con l’A., che, di volta in volta, si sofferma in maniera semplice e schietta con l’amico e scienziato per discutere a tutto campo della fisica, allora in grande sviluppo. Gli argomenti spaziano da alcuni particolari delle equazioni di Maxwell ai dubbi dell’A. sulla freccia del tempo, dalle riflessioni sui lavori di Planck all’influenza che su di lui hanno avuto Mach e Minkowski e alla sua collaborazione con M. Grossmann per la teoria del campo gravitazionale, e comprendono alcuni accenni al suo rapporto con Pauli nonché delle domande sulle concezioni di campo di Riemann e Kaluza-Klein. Si ha inoltre l’opportunità di cogliere nelle sue ricerche alcune riflessioni di natura meta-scientifica, filosofica e religiosa – sviluppate più ampiamente in altri testi - che vengono suggerite dalle questioni scientifiche più dibattute e complesse, come l’interpretazione della meccanica quantistica o la correlazione fra teoria e realtà, che portano Einstein ad affermazioni quali: «L’integrazione [dei sistemi d’equazione di Kaluza e di Riemann] è però difficile, e ci vorrà qualche tempo prima che si possa stabilire se questo bel castello in aria ha qualcosa da fare con l’opera del Padreterno. Non appena mi sarò fatto convinzioni un po’ solide in tema, te ne darò notizia volentieri» (agosto 1942); e ancora: «Ho abbastanza fede da essere convinto che questo mondo non è rabberciato tanto alla rinfusa» (10 agosto 1954). Infine, quasi a testimoniare un suo percorso di riflessione personale, in una delle ultime lettere a Besso, si congeda con queste parole:«Una cosa ho imparato in questa lunga vita: non volendo rimanere in superficie è maledettamente difficile avvicinarsi a Lui» (15 aprile 1950)