Filosofia della mente. Una prospettiva ontologica e antropologica

All’interno del mare magnum rappresentato oggigiorno dalla letteratura di filosofia della mente, specialmente nei suoi stretti rapporti con le neuroscienze e la psicologia cognitiva, questo volume rappresenta un’utile bussola per la navigazione. Al suo interno troviamo affrontate tutte le cosiddette “tematiche calde” dell’indagine empirica e speculativa al riguardo. Il primo capitolo presenta brevemente le principali posizioni filosofiche sulla questione mente/cervello: veniamo così subito in contatto con le idee portanti di alcuni dei più influenti neuroscienziati contemporanei. Le speculazioni sul significato filosofico del loro lavoro si accompagnano a quella dei filosofi specialisti, i cosiddetti filosofi della mente. Possiamo dunque scoprire quale corrente di riflessione filosofica abbracciano i vari Edelman, Gazzaniga, Dennett, Chalmers, Libet, Le Doux, Damasio, Searle, e dei coniugi Churchland, tra gli altri. La filosofia della neuroscienza contemporanea, nel tentativo di sgravarsi della pesante eredità lasciata dal dualismo cartesiano, tende a virare verso il neuroriduzionismo, secondo accezioni e sfumature differenziate. L’A. vuole però evitare ogni estremismo monista e dualista, e proprio per questo scopo recupera il concetto di ilemorfismo, mutuato dalla grande tradizione aristotelico-tomista, per impostare in modo più completo la complessità strutturale dell’uomo. Questo fil rouge attraversa tutta l’opera, partendo dalla sezione sul Corpo senziente e concludendo con la questione dell’Intelligenza Artificiale, passando attraverso L’intelligenza umana (capitolo III), La causalità mente-cervello (capitolo IV), L’intelligenza animale (capitolo V). La proposta dell’utilizzo dei concetti aristotelico-tomisti per caratterizzare la stretta interrelazione tra mente (anima) e cervello, in un rapporto per cui la prima rappresenta la “forma” e il secondo la “materia”, si colloca con decisione ed efficacia all’interno della vexata quaestio sull’argomento. Solo con questo approccio si riesce – secondo l’argomentazione dell’A. – a valorizzare appieno la componente biologica che ci caratterizza (il substrato neuronale che rappresenta la precondizione per ogni mentalizzazione superiore), senza correre il rischio di compiere indebiti neuroriduzionismi. Si tratta della affermazione di un’ontologia forte, che è in grado di restituire alla mente le capacità superiori che le competono e che non possono essere studiate empiricamente se non in maniera parziale con l’analisi neurofisiologica basilare; quest’ultima è necessaria e utile, ma non esaustiva della complessità multistratificata ed integrata dell’animale Homo sapiens. Non di meno, l’impostazione ilemorfica permette anche di apprezzare e valorizzare al massimo tutte le preziose scoperte della neuroscienza contemporanea: si leggano, a titolo esemplificativo, le riflessioni sull’importanza dei neuroni specchio per la relazionalità empatica nella nostra specie. Solo una visione integrata, che tenga in debita considerazione tutti i livelli di indagine, da quello biologico a quello spirituale, passando per quello sociologico e filosofico, potrà rendere giustizia della complessità che ci caratterizza. Il modo migliore per approcciare questi argomenti, e per continuare le nostre indagini intellettuali, è partire da questa ben definita “prospettiva ontologica”, su cui può svilupparsi la migliore indagine antropologica, con un taglio multidisciplinare ed interdisciplinare.

A.M.B.