“What is life?” era il titolo di un’opera pubblicata dall’eminente fisico quantistico Schrödinger nel 1944. Tale libro suscitò una rivoluzione nell’approccio scientifico alla questione della vita, in quanto mostrava con chiarezza l’insufficienza dell’interpretazione meccanicista dominante in quel momento. Tuttavia Schrödinger non riesce a superare il riduzionismo materialista, quindi adotta quale spiegazione adeguata quella fornita dalla fisica quantistica. Seifert cerca di mostrare nel corso dell’opera che la domanda su che cosa sia la vita appartiene all’ambito filosofico. Le scienze empiriche possono scoprire e analizzare i fenomeni e le proprietà della vita, ma non possono raggiungere la sua essenza, ossia quell’aspetto necessario, universale che non ammette spiegazione in funzione di qualcosa di diverso da sé. Di conseguenza l’autore fornisce una risposta filosofica con una metodologia fenomenologica realista, individuando quanto, nell’osservazione dei fenomeni della vita, attiene alla sua essenza. È anche una risposta multidisciplinare, che integra nella sua riflessione le conoscenze delle scienze empiriche. L’A. sottolinea specialmente due condizioni ontologiche della vita: l’essere in sé e la teleologia intrinseca. L’esame di entrambe le proprietà universali mostra che “vita” è un termine analogico che si può applicare a realtà molto diverse, dalla vita divina, alla vita razionale della mente umana, o alla vita di una cellula. Seifert si sofferma a mostrare l’irriducibilità della vita biologica e della vita mentale ai sistemi fisici dinamici, ambito della biologia, come in quello delle scienze cognitive. Tale spiegazione permane sempre al livello delle caratteristiche empiriche della vita, ma non ne raggiunge il principio dal punto di vista filosofico —inafferrabile per le scienze fisiche— ossia l’entelechia aristotelica, sostenuta anche da molti autori moderni. Qualsiasi spiegazione che si limiti al livello funzionale, per quanto sia elaborata, nega ai viventi la loro caratteristica propria — la vita — e li riduce a macchine ultracomplesse, il che implica rimanere ancorati ad una prospettiva meccanicistica. Il filosofo indica poi la morte quale evento chiave per comprendere questa irriducibilità della vita alla concezione materialista. Per quanto riguarda la vita mentale, tale irriducibilità si appoggia sulla natura di certi atti spirituali e sulle loro essenze specifiche (la conoscenza della propria esistenza, gli atti liberi, ecc.), che manifestano l’esistenza nell’uomo di potenze trascendentali che lo aprono al mondo e a tutti gli esseri. Il valore e la dignità della vita umana sono qualcosa di unico, inalienabile e inviolabile che non possono essere definiti, ma solo messi in evidenza. Esse si possono captare solo con il metodo filosofico. Infine è interessante segnalare lo stimolante dialogo che Seifert intrattiene nel corso dell’opera con i filosofi di tutti i tempi: Aristotele, Duns Scoto, s. Tommaso d’Aquino, Cartesio, Kant, Von Hildebrant, Conrad-Martius, Max Scheler, ecc. Ciò manifesta la solida formazione dell’autore, unita ad una buona conoscenza delle scienze sperimentali. Il risultato è un’arricchente integrazione di saperi particolari all’interno di una visione filosofica, senza scadere in una pseudo-filosofia scientifica.