Priest of Nature. The Religious World of Isaac Newton è un saggio scientifico di Rob Iliffe, professore di Storia della Scienza a Oxford e co-direttore dello “Oxford Centre for the History of Science, Medicine and Technology”, specialista del pensiero di Newton. Consta di un’introduzione e dodici capitoli e si presenta come un testo dalla duplice vocazione. Da una parte, il libro di Iliffe rappresenta uno studio accademico ricco e dettagliato, teso a ricostruire il “mondo religioso” dello scienziato inglese, ovvero l’insieme di componenti ed elementi religiosi che fecero parte delle sue convinzioni filosofiche, scientifiche, morali e deontologiche. Sotto questo aspetto, Iliffe cerca dunque di chiarire i termini di una questione su cui si è lungamente dibattuto all’interno del panorama accademico e culturale internazionale. Nel far ciò si avvale di un materiale preziosissimo, reso disponibile soltanto a partire dagli anni ’70 del Novecento: gli scritti inediti di Newton, testi destinati perlopiù a un uso privato, che contengono numerosi appunti e riflessioni su temi di carattere teologico e religioso. Dall’altra parte, tuttavia, Priest of Nature è anche un’inusuale biografia dell’uomo Newton, un ritratto della sua vita e della sua opera inquadrate proprio a partire dall’angolo prospettico costituito dal suo rapporto con la materia religiosa e teologica, nonché dalle sue convinzioni e credenze. In tal modo, numerosi snodi importanti della sua vicenda umana e della sua opera sono chiariti attraverso le posizioni che definirono la sua professione di fede, privata e pubblica. L’espressione che fornisce il titolo a questo libro, che in italiano può essere tradotta come “il sacerdote della natura”, fa riferimento all’atteggiamento di fondo che, secondo Iliffe, descrive il modo in cui Newton intese la propria “missione” scientifica. Egli infatti, sulla scorta della dottrina della prisca theologia, «credette che la filosofia naturale fosse in larga parte un’impresa religiosa, per mezzo della quale si può approdare a una comprensione del modo in cui Dio ha creato il mondo» (p. 16). Conseguentemente, se il mondo e l’universo possono essere comparati al «tempio di Dio», ciò vuol dire che chi dedica la propria vita al loro studio, come Newton, si presenta come un vero e proprio «sacerdote della natura» (ibidem). Questa impostazione si riflette sull’importanza che, secondo Iliffe, bisogna accordare agli studi newtoniani di materia religiosa. Differentemente, da quanti hanno sostenuto la marginalità o lo scarso interesse degli scritti sulla religione dello scienziato, l’autore sostiene che «i suoi studi religiosi erano tanto ampi e tecnicamente impegnativi quanto lo erano le sue ricerche nell’ambito delle scienze naturali» (p. 22). Pertanto, Iliffe può correggere il “mito”, sorto in età illuminista, secondo cui lo scienziato si sarebbe occupato di teologia soltanto nel momento in cui si accorse che le sue capacità creative si erano prosciugate. Al contrario, l’interesse per la religione attraversa come un fil rouge la sua intera esistenza di uomo e di scienziato. A dimostrazione di ciò sta la sorprendente lettera del 28 novembre 1679 inviata da Newton in risposta a quella di Robert Hooke, segretario della Royal Society di Londra, che ne sollecitava l’opinione in merito a diverse teorie e scoperte naturalistiche al centro del dibattito scientifico dell’epoca. Nella lettera, Newton confessa di non avere alcuna idea in merito, avendo dedicato gran parte degli ultimi anni alla prosecuzione di «altri studi» che ne avevano catalizzato l’attenzione (p. 3). Grazie al testo di Iliffe, oggi sappiamo con certezza che questi altri studi erano, principalmente, su temi e problemi religiosi.