Francisco J. Ayala è tra i più noti biologi evoluzionisti. Già allievo di Theodosius Dobzhansky – uno dei massimi propugnatori della cornice evolutiva costituitasi nel secolo scorso (la cosiddetta Sintesi Moderna) – condivide col grande maestro due passioni. Innanzitutto, quella per la storia naturale e per la storia dell’evoluzione della biosfera. Questa li portò entrambi ad affermarsi come massimi esperti mondiali nell’ambito dello studio dell’evoluzione genetica, concentrandosi sul modello di laboratorio classico in questo settore, il moscerino della frutta Drosophila melanogaster. La seconda, la fede religiosa: cristiano ortodosso il maestro, cristiano cattolico l’allievo. Dalla conciliazione vissuta di questi due fattori fondamentali nasce questo libro, che inquadra in una trattazione agile ed accessibile le idee che da anni l’A. porta avanti. In netta contrapposizione rispetto a quella fronda di scienziati che vede nell’impresa scientifica in generale, e nella teoria darwiniana dell’evoluzione in particolare, un “acido corrosivo” in grado di “sciogliere” ogni infantilistica credenza religiosa o riflessione metafisica, Ayala sostiene invece la conciliabilità e l’armonia di scienza e fede.
La scoperta del meccanismo evolutivo ad opera di Charles Darwin, infatti, rappresenta, a detta dell’autore, un vero e proprio dono (gift). Si tratta di un dono “da recapitare” innanzitutto alle scienze naturali, che si sono costituite come campo di indagine scientifico autonomo e fecondissimo proprio a partire dalla pubblicazione de L’origine delle specie nel 1859 (è significativo in questo senso un aforisma di Dobzhansky: «niente in biologia ha senso se non alla luce dell’evoluzione»). Ma destinataria del dono è anche la teologia, e la religione in generale: secondo l’A. Darwin ha mostrato all’uomo la sua vera collocazione all’interno della natura e ha permesso all’umanità di approfondire enormemente la propria conoscenza della storia della vita sulla terra. Dio non è “ucciso” dal fatto evolutivo. Al contrario, l’evoluzione è la modalità con cui Dio “pone in essere e mantiene nell’essere” la realtà. Ad essere incompatibili con una visione “teistica” della realtà, invece, sono proprio quelle correnti creazioniste tipicamente nordamericane, che l’A. indica esplicitamente nei fondamentalisti biblici ed intelligent designers, che vorrebbero indebitamente mescolare scienza e teologia. Il libro spiega sinteticamente i cardini della rivoluzione darwiniana: il merito del naturalista inglese non fu tanto quello di scoprire il fatto evolutivo in sé, quanto piuttosto di aver fornito ad esso un meccanismo interamente naturale: si tratta dellaselezione naturale, che getta in discredito le forme di teologia naturale affermatesi fra Settecento e primo Ottocento, ad es. con William Paley. Variazione, common ancestry e selezione delle variabili vantaggiose sono dunque i cardini del pensiero darwiniano. L’unione della teoria darwiniana dell’evoluzione con la genetica mendeliana prima, e con la genetica molecolare successivamente, hanno permesso la costruzione della cornice teorica di riferimento della biologia moderna (la teoria sintetica dell’evoluzione). Grazie allo sviluppo del nostro sistema nervoso, l’uomo però arriva ad aprirsi agli orizzonti della cultura. L’evoluzione culturale è quella componente che, in Homo sapiens, ha permesso alla nostra specie lo sviluppo di un piano evolutivo più rapido, più ricco ed in ultima analisi irriducibile rispetto a quello meramente biologico.
La legittimazione della dimensione religiosa si iscrive proprio nella dichiarazione dell’autonomia dell’orizzonte etico-estetico che si sviluppa esclusivamente nella cultura umana. Questa dimensione antropologica è indagabile appieno con strumenti diversi rispetto a quelli usati dalla scienza naturale, che è per definizione materialistica (cioè può avere accesso allo studio della sola realtà empiricamente testabile). Il rispetto dei diversi piani epistemici di scienza e fede deve dunque essere tenuto ben fermo, contro ogni invasione indebita. Contro quella degli scienziati propugnatori di una filosofia materialista (si citano Dawkins e Provine); ma anche contro quegli scienziati che, usando a mo’ di grimaldello le cosiddette “complessità irriducibili”, provano a gettare in discredito la teoria evolutiva darwiniana: alcuni tratti biologici, inseriti in un ipotetico scenario evolutivo ancestrale, perderebbero la rispettiva funzionalità secondo la prospettiva gradualistica classica darwiniana. La loro presenza, quindi, sarebbe prova scientifica dell’intervento diretto di un disegnatore intelligenteall’interno della storia evolutiva del nostro pianeta. La critica dell’A. alle affermazioni dell’Intelligent Design è però secca e ben argomentata: alcune presunte “complessità irriducibili” sono state scoperte essere invece “riducibili”, pur mantenendo la propria funzionalità; e, soprattutto, non si può argomentare scientificamente dell’azione di ciò che è meta-scientifico per definizione.
Gli ambiti di scienza e fede, che spiegano all’uomo aspetti diversi della sua propria natura, si conciliano rimanendo distinti nei rispettivi metodi e piani di indagine. Entrambi, contribuiscono in maniera decisiva e non mutuamente esclusiva alla conoscenza che l’uomo ha di se stesso e della natura che lo circonda. Segnaliamo tuttavia che nell’analisi di Ayala resta in ombra il ruolo della filosofia della natura e della metafisica, che l’A. assimila inconsapevolmente alla fede, privando così il dato scientifico di una necessaria, ed epistemologicamente lecita riflessione, che sappia astrarre dal piano empirico, per interrogarsi su forme di causalità diverse da quella efficiente.