Si tratta della terza opera di sintesi sull'argomento dopo l'innovativo lavoro Issues in Science and Religion (1965) e quello Religion in an Age of Science (1990), quest'ultimo tratto dalle Gifford Lectures impartite in Scozia, di cui il presente volume costituisce una revisione ampliata. Figlio di madre presbiteriana scozzese e di padre episcopaliano americano, Ian Barbour è oggi membro della Chiesa Unita di Cristo; egli rappresenta una figura di primo piano in quel trend che, specie in ambiente anglosassone, ha riavvicinato nelle ultime decadi pensiero scientifico e religione all'interno del mondo universitario. Nato nel 1923, giovane assistente di Enrico Fermi a Chicago, Barbour ottiene nel 1946 il master e poi il Ph. D. in fisica, cominciando a lavorare successivamente come fisico delle alte energie al Department of Physics presso il Kalamazoo College in Michigan. Svolti poi gli studi di teologia allo Union Theological Seminary di New York e all'Università di Yale, otterrà nel 1956 il grado in Divinity. A partire dal 1955 Ian Barbour sarà il primo docente negli Stati Uniti a ricoprire un insegnamento sia in un Dipartimento di Fisica sia in uno di Religione, introducendo così per la prima volta corsi accademici di Religion and Science in ambito universitario. La sua cattedra al Carleton College, Minnesota, precederà così le numerose cattedre di Religion and Science che, soprattutto a partire dalla fine degli anni '80, vari altri scienziati-teologi ricopriranno nelle maggiori università del mondo anglosassone, a cominciare da Oxford e Cambridge. Nel marzo del 1999 Ian Barbour ha vinto il prestigioso Templeton prize for the Progress of Religion.
Il volume segue da vicino la struttura di un possibile corso universitario ed ha il pregio di presentare i vari argomenti in modo ordinato e sistematico, sebbene, proprio per la visione d'insieme che si intende trasmettere, ne offra forse a tratti uno scarso approfondimento. Esso costituisce però un significativo strumento per chi voglia comprendere in qual modo, all'interno della fisica e della biologia contemporanee, siano sorti interrogativi di carattere filosofico o più specificatamente teologico. Nel volume compaiono infatti, ordinatamente, tutti i principali argomenti di dialogo, ma anche di dibattito, fra questi diversi ambiti del sapere, inquadrati sia in chiave storica che epistemologica. Si spazia dal rapporto fra Dio e natura ai sistemi filosofici che potrebbero descriverlo, dal problema della finalità alla crisi del meccanicismo determinista, dalle interpretazioni della meccanica quantistica alle implicazioni filosofiche dei modelli cosmologici, dall'origine della vita alla sociobiologia. I temi vengono raccolti in quattro parti di contenuto omogeneo, per un totale di 12 capitoli: I. La religione e la storia della scienza (1. Fisica e metafisica nel XVII secolo; 2. Natura e Dio nel XVIII secolo; 3. Biologia e teologia nel XIX secolo) - II. La religione e il metodo della scienza (4. Modi di porre in relazione scienza e religione; 5. Modelli e paradigmi; 6. Somiglianze e differenze) - III. La religione e le teorie della scienza (7. Fisica e metafisica; 8; Astronomia e creazione; 9. Evoluzione e creazione continua) - IV. Riflessioni filosofiche e teologiche (10. La natura umana; 11. Filosofia e teologia del processo; 12. Dio e la natura).
Il dibattito sul rapporto fra scienza e religione viene trattato da Barbour utilizzando come sfondo la quadripartizione dei loro possibili “modi di interazione”: conflitto, indipendenza, dialogo, integrazione; l'autore intende mostrare l'inconsistenza dei primi due modi e la necessità di dirigersi non solo verso il terzo, il dialogo, ma anche verso il quarto, l'integrazione appunto, almeno in alcuni ambiti determinati. All'“integrazione” fra religione e scienza dovrebbe corrispondere, nel pensiero dell'autore (che in ciò si pone in linea con numerosi altri pensatori contemporanei) la creazione di una “teologia della natura” o, anche, di “una teologia della scienza”. Tale raccordo richiederebbe quale snodo critico lo sviluppo di un opportuno sistema filosofico adatto ad interpretare il rapporto fra Dio e la natura, alla luce dei risultati della scienza contemporanea. L'autore, che pure apprezza il contributo della metafisica aristotelico-tomista e della dottrina della causalità che vi soggiace, segnala però nella filosofia del processo di Whitehead, e nella teologia che da essa trae origine, uno strumento filosofico maggiormente adeguato all'impresa. È infatti il matematico e filosofo inglese a rivestire oggi la maggiore influenza, fra i filosofi e teologi di tradizione riformata, nel campo dei rapporti fra teologia e scienza, ma anche in quello, più generale, dei rapporti fra Dio e la natura.
Come già osservato, il volume offre un'esposizione ordinata delle maggiori problematiche coinvolte dal rapporto fra scienze e religione, inquadrandole storicamente ed epistemologicamente; esso ha perciò il merito di favorire la scoperta di ambiti di riflessione, ma anche di implicazioni per la comprensione e la trasmissione della Rivelazione, che potrebbero risultare nuovi ed in parte insospettati a molti di coloro che si occupano di teologia. Allo stesso tempo, riteniamo sia utile suggerire al lettore, proprio perché generalmente non esperto in questa tematica, alcune necessarie precisazioni.
In primo luogo va ricordato che si tratta di riflessioni svolte da un'ottica che, appunto, è primariamente quella del rapporto fra scienza e religione, non quella del rapporto fra scienze e teologia. Il termine “religione” indica qui un ambito assai più ampio, non solo perché capace di inglobare anche tradizioni non cristiane, ma soprattutto perché vi corrispondono argomentazioni sviluppate preferibilmente su basi antropologiche, fenomenologiche, a tratti euristiche, senza seguire quella metodologia (analisi completa delle fonti, e per il cattolico esegesi ecclesiale e legame con il magistero) che caratterizzerebbero invece uno studio più propriamente teologico. Essendo l'autore di tradizione riformata, i principali teologi e pensatori richiamati appartengono a questo ambito di pensiero ed i riferimenti alla teologia vanno pertanto compresi come riferiti principalmente a quell'ambito. Non dovrà perciò sorprendersi il lettore cattolico se l'orizzonte entro cui si parli dell'Incarnazione sia a volte quello di una cristologia non calcedoniana, o che la comprensione del peccato originale privilegi un'interpretazione storicista, trattandosi di prospettive assai comuni nel pensiero protestante.
In secondo luogo va tenuta presente l'esistenza di una certa identificazione, anch'essa comune fra i riformatori, fra teologia e Sacra Scrittura, riscontrabile lungo quasi tutto il volume, con la corrispondente polarizzazione in campo esegetico dei grandi temi di dibattito con le scienze naturali. Con ciò si può giungere a trascurare l'apporto dato alla riflessione teologica dal pensiero filosofico, specie classico e medievale: apporto certamente menzionato, talvolta anche trattato, ma non sviluppato con la completezza che forse meritava.
Infine, va osservato che il termine “metafisica” indica in questo tipo di opere “riflessione filosofica in senso ampio”, principalmente come possibilità di un esercizio filosofico al di là del dato empirico, oltre il sensibile (un po' come metamatematica o metalogica, per intenderci), ma non vi corrisponde la struttura ed il contenuto di una ricerca delle cause ultime e fondanti o quello di una filosofia dell'essere, come siamo abituati a concepire nell'ambito della filosofia della natura o della filosofia di Dio. Ciò induce ad identificare riduttivamente la filosofia classica e medievale, specie quella aristotelico-tomista, come filosofia della sostanza, incapace di dare ragione delle trasformazioni e della storia, preferendovi dunque una filosofia, come quella del processo, basata sui concetti di evento, relazione, flusso temporale, e per questo ritenuta più adatta a dare ragione di un universo in continua evoluzione e dei suoi rapporti con un Creatore.
Imbarcarsi, come Barbour, in un terreno di riflessione su campi così importanti e delicati è impresa considerevole, che non può non divenire necessariamente anche impresa coraggiosa e quindi comportare dei rischi. Il pensiero scientifico obbliga la teologia a confrontarsi con categorie nuove ed inedite, presentandole orizzonti di spazio e di tempo, ma anche di informazione e di complessità, fino a pochi decenni fa insospettati. La teologia cattolica non potrà probabilmente condividere varie delle piste suggerite da Barbour nel suo volume, ma non può certamente disinteressarsi delle problematiche suscitate. Riteniamo che nello studio dei rapporti fra teologia e scienza, la teologia cattolica debba mantenersi necessariamente in continuità con la fede ecclesiale e la ricchezza della tradizione — pena la perdita del suo medesimo statuto scientifico — ma debba anche esplorare strade nuove, a motivo della stessa novità dei problemi da affrontare. Negli ultimi decenni sono stati principalmente i teologi di tradizione riformata e anglicana, soprattutto in ambito inglese e statunitense, a svolgere questo lavoro di raccordo e ciò spiega la grande quantità di letteratura e di iniziative prodotte in tal senso in queste nazioni e nelle loro università. Esistono oggi, però, significativi segni di interesse anche in ambito cattolico: se essi non sono ancora maturati, come nel caso di Barbour e di molti suoi colleghi, in cattedre od insegnamenti universitari di teologia della natura o di teologia della scienza, si sta forse ponendo qualche premessa perché ciò sia praticabile in un futuro non lontano.