Robert Gilbert è professore di biofisica a Oxford, sacerdote anglicano e Managing Editor dell'European Biophysics Journal. In questo volume intitolato Science and the Truthfulness of Beauty: How the Personal Perspective Discovers Creation (Routledge, 2017), egli riflette sul ruolo che ha la bellezza nell’attività scientifica di un ricercatore. Si tratta di tematiche divenute da qualche abituali in ambiente scientifico UK, come mostrano gli altri titoli della collana Routledge Science and Religion Series, di cui il libro è parte,.
Il volume nasce sia dalla competenza scientifica del suo autore, sia dal suo contatto diretto con gli studenti e con le loro domande, che non di rado toccano questioni filosofiche e teologiche. Alla sua attività come biofisico, Gilbert unisce infatti il suo impegno come tutor e docente al Magdalen College, ove ricopre significative responsabilità amministrative e pastorali trattandosi, appunto, di un sacerdote anglicano. Il volume di Gilbert sa integrare alla tradizione filosofica e teologica cristiana, esempi brillanti di scienziati frutto de loro vissuto e ricordati con aneddoti personali.
Tesi centrale del libro è l’esistenza di una complementarità tra l’oggettività del metodo scientifico e la dimensione soggettiva, affettiva e personale del ricercatore, che può esprimersi anche nella sua vita religiosa. Gli scienziati, afferma Gilbert, hanno bisogno di bellezza, non solo di competenza tecnica (cfr. p. 26). Per chi studia la natura con attenzione, egli continua, la bellezza “si vede ovunque" (p. 31): dalla simmetria delle equazioni matematiche della fisica fondamentale alle scale gerarchiche della morfologia e della biologia degli esseri viventi; dalle molecole, passando per le cellule e i sistemi fisiologici fino al comportamento animale (cfr. pp. 31-59). Chi si occupa di biologia strutturale, ad esempio, come l’autore, percepisce la bellezza della struttura e della funzione delle proteine e il suo sguardo su tale bellezza è capace di catturare parte della verità oggettiva di tali componenti biologiche (cfr. pp. 44-49). Gilbert parla della bellezza nell’attività scientifica come qualcosa di attivo, coinvolgente, persino divertente (cfr. pp. 60-75): le ipotesi, infatti, possono essere riformulate come storie immaginarie e gli esperimenti vengono pianificati e condotti con attrezzature specifiche a ciò, proprio come si farebbe nel programmare le regole di un gioco. La scienza, quindi, non è solo sapere, ma implica anche gioco, interazione e progettazione: ecco perché ci sono tecnici che divengono anche grandi scienziati. Come fa il bambino, anche lo scienziato “si immerge nel cuore del gioco”.
Piuttosto che avviare una discussione se si debba parlare di una bellezza oggettiva o di una bellezza soggettiva, Gilbert sottolinea il nostro bisogno di condividere la bellezza con gli altri (cfr. pp. 88-90). Quando condividiamo la nostra visione del mondo, la bellezza diventa “soggettivamente oggettiva”. Infine, l’A. collega la bellezza all’amore e alla verità: per comprendere il mondo naturale abbiamo bisogno di uno sguardo mosso da un sincero interesse, uno sguardo amorevole e non arrogante (cfr. p. 135). Piuttosto che essere “garanzia” di verità, la bellezza è essa stessa verità. Frequenti, nel volume, le citazioni dell’enciclica Laudato Si' di papa Francesco, impiegate da Gilbert anche per mostrare che il cristianesimo non ha desacralizzato la natura. Contrariamente ad alcuni modi di pensare, lo sviluppo storico delle culture segnate dal cristianesimo non è responsabile di aver promosso una visione tirannica e antropocentrica nei confronti della natura; fondato sul mistero dell’Incarnazione, il cristianesimo ha invece favorito il sentirci a casa in un mondo ove lo spirito si è “incarnato”, un mondo di cui ci prendiamo cura come opera di Dio.
Il volume di Gilbert si aggiunge a quelle opere che hanno negli ultimi decenni rivalutato il valore dell’emotività nel processo conoscitivo: “la nostra risposta emotiva alle cose belle – afferma l’A. – è la fonte della nostra comprensione di esse” (p. 143).
La scienza è realizzata da esseri umani depositari di un’antropologia integrale, fatta di razionalità, sentimenti, emozioni, relazioni. “Ognuno di noi ha un corpo e una storia, e appartiene a una comunità: pensare richiede il nostro impegno consapevole e integrale. Non è solo una questione mentale” (p. 145).Science and the Truthfulness of Beauty propone al termine alcuni ricchi spunti di riflessione, che integrano, in qualche modo, anche la prospettiva teologica e cristiana del suo autore: fra questi, l’idea che la natura, creata in Cristo, sia un’alterità capace di relazionalità nei confronti dell’osservatore, e che la ricerca scientifica possegga un aspetto “kenotico”, implichi cioè un vero sacrificio (cfr. pp. 148-155).