Il libro contiene le conferenze con le quali l’autore inaugurò nel settembre del 2012 le “Stockholm Archipelago Lectures”, promosse dall’Environmental Humanities Laboratory. In tale occasione il relatore scelse come tema “la ricerca dell’unità della conoscenza”; l’argomento venne esposto e trattato durante sette sezioni che inclusero un momento di dibattito aperto con giovani studenti laureati. Lowenthal (1923-2018) era in quel momento professore emerito di geografia, Honorary Research Fellow all’University College di Londra e membro della British Academy. In questo libro si ritrovano le sue articolate riflessioni, frutto di una vita di lavoro e studio in particolare negli ambiti della storia internazionale e della geografia. Il suo interesse per l’ecologia delle isole ha ispirato l’idea delle “archipelago lectures”, che nascono per offrire uno spazio in cui singoli temi vengono presentati, sviluppati, discussi e analizzati da diverse prospettive, e si arricchiscono in tal modo di significati rilevanti. Ogni tema viene metaforicamente paragonato ad un’isola di un arcipelago, autonoma e indipendente, ma anche parte di una configurazione geografica più ampia.
Il libro, adatto ad un pubblico esperto, di livello accademico, riflette sulla storia delle idee/ideologie che sostengono l’unità o la diversificazione della conoscenza. L’A. osserva come esistano due modalità di comprensione della realtà. Una propone e postula l'unità generale della conoscenza, l'altra sottolinea la sua molteplice diversità. “Queste visioni opposte – l'una che difende la separatezza delle indagini sui regni inviolati della materia e dello spirito, l'altra intenzionata ad amalgamarli in un unico discorso esplicativo – non solo coesistono, ma a volte sono affermate da uno stesso individuo”. (p. 2)
Nel primo capitolo (Unifying Knowledge– Miracle or Mirage?) Lowenthal ripercorre le origini del concetto delle “Due culture” che divide le scienze naturali dalle arti e le discipline umane, e descrive brevemente anche i tentativi recenti di rinsaldare tale separazione. L’A. racconta la storia di questa divisione culturale dal conflitto Huxley-Arnold (scienza contro letteratura) al dibattito Einstein-Bergson (fisica contro filosofia), all'opera “Two Cultures and the Scientific Revolution” di C. P. Snow del 1959. Il divario tra queste culture opposte, egli sostiene, si è amplificato anche a causa della specializzazione linguistica e delle diversità metodologiche, che hanno reso difficile l’interdisciplinarietà. Le divisioni culturali vedono contrapposti, da un lato il richiamo di E.O. Wilson alla “consilienza” (consilience), ovvero la convergenza e l’integrazione di conoscenza derivanti da contesti del sapere diversi, dall’altro lato la credenza di Stephen Jay Gould, che natura e cultura, scienza e fede, siano ambiti e insegnamenti non sovrapponibili (NOMA, non-overlapping magisteria), e ciascuno sia indagabile con un diverso metodo di ricerca.
Il dualismo culturale tra le scienze naturali e le scienze umane è solo una delle tante "dualità" plasmate dalla tradizione occidentale nel corso della sua storia. L'aspetto più rilevante per le recenti sfide ambientali e sociali poste dalle attività antropogeniche, secondo Lowenthal, è il dualismo tra uomo e natura, che egli affronta nel secondo capitolo. Qui Nel secondo capitolo (Man and Nature) vengono riportate le differenti visioni della relazione tra umanità e mondo naturale, con particolare riferimento al crescente impatto delle azioni umane sull’ambiente. L’A. approfondisce l’opera del 1864 di Marsh, Man and Nature. “L'Uomo e la Natura di Marsh è stato uno dei tre grandi testi di sintesi della metà del secolo scorso. L'origine delle specie di Darwin (1859) trasforma le nozioni di cambiamento naturale; il Capitale di Marx (1867) getta nuova luce sui cambiamenti economici e sociali; l’Uomo e la Natura tratta delle loro pervasive e minacciose interazioni”. (p. 65)
Nel terzo capitolo (Island Polymaths) l’A. suggerisce che l'esperienza insulare di comunità affiatate generi mentalità e competenze collaborative che promuovono comportamenti e intuizioni ecologicamente sostenibili. Gli “isolani” costruiscono un rapporto con il loro ambiente che gli permette di sviluppare la forte unità sociale necessaria per far fronte a minacce come il clima rigido o le calamità naturali. “Ovunque nella natura come nella cultura l'interazione tra comunità e individuo, tra cooperazione e autosufficienza, ha conseguenze ecologiche che si amplificano con la globalizzazione dei processi” (p.196).
Il quarto capitolo (Purity and Mixing) affronta il tema della diversità e dell’unità nella specie umana. I cosiddetti “puristi”, sostiene l’A., non affermano l'unificazione dei modelli di pensiero, ma piuttosto la loro incompatibilità intrinseca. La purezza è servita alle élite in quanto ha conferito un privilegio sociale e ha fornito una giustificazione per la proprietà terriera disuguale e le gerarchie sociali. L'etica contemporanea favorisce l'”ibridità”, perseguendo l’unificazione attraverso la diversità.
Nel quinto capitolo (Heritage Universal and Divisive) Lowenthal affronta un altro dualismo cruciale nei dibattiti sociali, politici e ambientali, vale a dire quello tra gestione globale del patrimonio culturale da un lato, e interessi tribali e nazionalistici dall'altro. L’A. mette in luce come gli sforzi cosmopoliti per valorizzare beni culturali e ambientali da preservare come beni universali siano spesso vanificati da interessi locali e nazionali in concorrenza tra loro. Ciò che è riconosciuto come bene collettivo, specialmente da agenzie internazionali come l'UNESCO, è spesso trasformato in uno strumento di contesa, o addirittura usato per rivendicare presunte superiorità.
Nell’ultimo capitolo (Past and Present) Lowenthal affronta le diverse prospettive del passato e del presente nella storia; da un lato vi è chi si aggrappa a una visione del passato contro il decadimento del presente (nostalgists), e dall’altro chi non vede altro che il presente stesso, assorbendo il passato in un "ora" perpetuo (amnesiacs).
Nelle Conclusioni del libro, Lowenthal espone la sua tesi. Egli crede che sia cruciale "custodire sia l'unità di conoscenza che la diversità di intuizione" (p. 196). A suo avviso, nessuno dei due tentativi - di unificare la conoscenza o diversificarla - è assolutamente buono o cattivo, epistemologicamente migliore o peggiore. C'è una tensione creativa che sorge tra queste posizioni contrastanti, una tensione dialettica che deve essere mantenuta viva perché la ricerca progredisca.
Pur nella sua complessità, il volume ha il merito di mostrare che la ricerca dell’unità della conoscenza e il dialogo fra i saperi non sono solo una questione epistemologica, ma presentano anche una dimensione sociologica e culturale. Si tratta di una prospettiva che va certamente integrata negli studi oggi dedicati all’unità del sapere.