È possibile una scienza nella quale ci sia spazio per la libertà umana? La scienza è compatibile con fenomeni governati da principi immateriali come libero arbitrio e coscienza? Per rispondere a tali domande un gruppo di scienziati, fisici quantistici e filosofi del libero arbitrio si è riunito in un convegno organizzato dal Social Trends Institute (STI).
Il libro, curato da Antoine Suarez e Peter Adams, è il frutto di questo incontro, tenutosi a Barcellona dal 28 al 30 ottobre 2010 presso l’IESE Campus-Nord. La maggior parte dei capitoli sono i paperpresentati al STI Meeting, successivamente aggiornati e revisionati, mentre altri sono stati commissionati e aggiunti in un secondo momento.
Nella prefazione al volume Antoine Suarez spiega le motivazioni che l’hanno indotto a organizzare il meeting. In primo luogo la convinzione che l’esistenza non possa essere spiegata esclusivamente con principi materiali, con una concatenazione di cause temporali, ma che esista anche una dimensione immateriale, spirituale. Per Suarez fede e scienza sono due Magisteri che, in parte, si sovrappongono.
In secondo luogo c’è l’incontro dell’Autore con il principio della non-località, di cui si è raggiunta una conoscenza più profonda con gli esperimenti fatti negli ultimi dieci anni. Dopo aver letto Essays on quantum philosophy di John Bell, Suarez dichiara di aver avuto l’intuizione che il principio della non-località rendeva possibile ciò che stava cercando: riuscire a descrivere un mondo materiale che può essere governato da principi immateriali.
Punto di forza del volume è l’approccio interdisciplinare. La potenza della scienza si combina con la profondità della filosofia, grazie all’apporto di esperti che dibattono di fisica quantistica, coscienza, desiderio di libertà, neuroni specchio, comunicazione interpersonale. Tutte tematiche che, nell’opinione di Suarez e Adams, sono collegate e complementari tra loro.
Quanto alla compatibilità tra scienza e libertà, si riflette sul conflitto che vede protagoniste, da un lato, la convinzione comune che l’essere umano possiede libero arbitrio e responsabilità e, dall’altro, la descrizione del cervello fornita dalla neuroscienza deterministica. “Quando ci si confronta con tale conflitto”, scrive Suarez, “si possono assumere due posizioni alternative: o la libertà umana è un’illusione, oppure la neuroscienza deterministica non è l’ultima parola sul cervello e alla fine sarà sostituita da una neuroscienza che ammette processi non completamente determinati dal passato”.
Il lavoro è strutturato in tre parti e affronta due obiezioni principali. Nella prima sezione si parla dei rapporti tra fisica quantistica e libero arbitrio, nella seconda tra libero arbitrio e neuroscienza, mentre nella terza si tenta di riconciliare la scienza moderna con il desiderio di libertà insito nel profondo dell’uomo. Per quanto concerne le obiezioni, una interessa la fisica quantistica. La sua possibile rilevanza per il libero arbitrio viene messa di frequente in discussione da coloro che ritengono la casualità quantistica non deterministica (quantum non-deterministic randomness) sbagliata quanto il determinismo, quindi come se né casualità né determinismo siano un bene per il libero arbitrio. L’altra obiezione ha invece a che fare con la neuroscienza, nello specifico con gli esperimenti di Libet.
Nel capitolo conclusivo gli Autori offrono un riepilogo dei vari contributi e, mettendone in luce i punti di contatto, approdano a una sintesi di cui dichiarano di essere gli unici responsabili, così come i differenti collaboratori sono responsabili solo delle proprie conclusioni.
La domanda che dà il titolo al volume trova, in Suarez e Adams, risposta affermativa: sembra possibile riconciliare la scienza moderna con il desiderio di libertà. Fisica quantistica e neuroscienza sono quindi compatibili con libero arbitrio e coscienza, oggi considerati sempre più principi basilari irriducibili della scienza, cioè dei veri e propri assiomi, ingredienti fondamentali per qualsiasi spiegazione scientifica del mondo, al pari di energia e spazio-tempo.
Per gli Autori riconoscere che i fenomeni possono essere influenzati da azioni immateriali (nonmaterial agency) implica che “la scienza resta aperta a principi e concetti come libertà, identità personale, creatività, responsabilità e fede religiosa”. Noncuranti di quanto possa essere gratificante fotografare un mondo in cui tutto evolva in modo unitario, gli Autori dichiarano, in conclusione, di preferire “una scienza che non è completamente unitaria, se questa mi permette di rivendicare la mia libertà e difendere i miei diritti”.