La storiografia delle scienze è stata oggetto di una profonda revisione metodologica nella prima metà del XX secolo ad opera di due grandi protagonisti quali sono stati Alistair C. Crombie (1916-1996) e Alexandre Koyré (1892-1964). Il confronto delle tesi di questi due autori, con i quali anche gli altri verranno più o meno esplicitamente a misurasi, si impernia su due diverse visioni della storia delle scienze: Crombie vede una continuità metodologica tra il metodo scientifico dei filosofi e naturalisti medioevali del XIII secolo (soprattutto della Scuola di Oxford in opposizione a buona parte di quella di Parigi) e il metodo scientifico moderno galileiano che si basa sulla matematizzazione del dato sperimentale, mentre Koyré (si vedano le schede sulle sue opere) sostiene che tra la metodologia teoricamente concepita e l’attuazione di una scienza come quella moderna c’è una profonda discontinuità di pensiero e di atteggiamento filosofico pratico. In quest’opera Crombie intende documentare tale continuità partendo dai contributi al pensiero scientifico originatisi nell’Occidente cristiano (cap. I), passando per la scienza-filosofia greco-araba (cap. II), esaminando le conoscenze nei diversi campi della scienza naturale del XIII secolo (cap. III) senza trascurare il rapporto tra scienza e tecnica (cap. IV), fino a giungere alla scienza moderna (capp. V e VI). I contributi del pensiero medioevale in ordine allo sviluppo della scienza moderna sono riassunti sinteticamente dall’A. nel § V.5: a) «il recupero dell’idea di spiegazione teorica e specialmente della forma “euclidea” di tale spiegazione e della sua utilizzazione nella fisica matematica», b) «l’estensione della matematica a tutta la scienza fisica, almeno in linea di principio», c) «un’impostazione radicalmente diversa dello spazio e del moto» d) «importanti progressi […] per le crescenti esigenze di una misurazione precisa», e) «nelle scienze biologiche si fecero progressi teorici», f) una concezione della scienza come «potere sulla natura […] a vantaggio degli uomini» (pp. 302-304).