Si può interpretare il mondo? E nel caso questo sia interpretabile, può considerarsi anche leggibile? Il filosofo tedesco Hans Blumenberg (1920-1996) in questa sua opera analizza i vari approcci dell’uomo all’ermeneutica del reale, dalla nascita fino agli esiti a lui contemporanei. Per farlo, l’autore espone il risultato delle sue indagini storiche eseguite attraverso la metafora, adoperata non come mera retorica bensì come chiave metodologica per la propria analisi. Proprio nell’individuazione di metafore, radicate in ogni cultura, si distingue la filosofia di Blumenberg, che arreca un apporto decisivo allo statuto della “metaforologia”, e attraverso cui traccia le linee per indagare il rapporto dell’uomo con realtà sociale e naturale nel corso della storia.
In “La leggibilità del mondo”, edito per la prima volta nel 1981, il filosofo percorre la metaforica del libro, illustrata sin dal giudaismo antico, ossia “il popolo del Libro”, che Dio ha rivelato. Un libro che secondo i testi rabbinici sarebbe addirittura preesistente al mondo, un libro infinito, assoluto e dell’Assoluto, parafrasando le parole di F. Schlegel in merito alla Bibbia. Ma il mondo è stato letto anche attraverso il Libro della Natura, che Dio ha scritto, una metafora impensabile per Platone, che visse in una civiltà prevalentemente aurale (basata cioè sull’ascolto e la parola trasmessa oralmente), quale quella greca. Dai Greci l’autore eredita lo scetticismo verso la scrittura, definita come antagonista del reale. Chi legge, infatti, sarebbe sopraffatto dalla visione di una realtà già sistematizzata dalla linearità della scrittura, rischiando di perdere il desiderio dell’esperienza diretta delle cose. Un’inimicizia tra libro e realtà, di cui la parola scritta costituirebbe solo un surrogato di qualcosa che non può si può o non si vuole più vedere o esperire.
La metaforica della Natura come libro, già presente nei Padri della Chiesa e poi formalizzata nel Liber creaturarum di Raimondo di Sabunda del 1436, prese consistenza proprio nel passaggio da Medioevo a Rinascimento, allorquando la controversia sulla concordanza o discordanza tra Natura e Bibbia si fece più densa. In questo dibattito, Galileo Galilei, accolse in modo restrittivo la metafora, sostenendo che il mondo potesse essere decifrato come un «codice archetipo», scritto da Dio nel linguaggio non iniziatico della matematica, privilegiando, in realtà, la via dell’esperimento e dell’osservazione.
Un certo rilievo assume anche il Libro della Storia, il primo libro scritto nella lingua dell’uomo, e soggetto dunque alla sua ars interpretativa; ma di cui anche Dio è autore, e dunque, affiancabile al Libro della Bibbia e della Natura, così come fecero Vico e Lichtenberg.
Blumenberg articola il rapporto dell’uomo con la conoscenza in ventidue capitoli, percorrendo in maniera quasi onnicomprensiva la storia della filosofia, secondo l’ordine cronologico. A partire dalle origini della metafora, l’autore si sofferma sulla similitudine tra il mondo e l’alfabeto, sulla concordanza tra i libri di Dio; dagli Ebrei ai Greci, passando per Newton, fino al Romanticismo, e poi avvicinandosi al XIX secolo, affrontando discipline quali la fisiognomica, e poi l’interpretazione freudiana dei sogni, sino al DNA come codice da decifrare. “La leggibilità del mondo” è l’opera che pone il lettore di fronte all’inesauribile dialettica tra l’uomo e la realtà, un libro per chiunque voglia approfondire il problema della conoscenza, unendo alla storia della filosofia tout court le recenti scoperte nel campo della psicologia e della biologia. Si tratta di un’opera divenuta ormai classica, che può essere impiegata come spunto in un corso di letteratura delle Scuole Superiori, ma anche in corsi di filosofia della natura, e che dovrebbe essere conosciuta da chiunque si accosta a questioni linguistiche connesse con la trasmissione della conoscenza del reale.