In questo volume Salvatore Ricciardo delinea un ritratto del grande naturalista Robert Boyle (1627-1691) e del fermento intellettuale del Seicento: un periodo di sintesi tra scienza, filosofia sperimentale, teologia e la nascente chimica – non per niente The Sceptical Chymist, l'opera più nota del naturalista irlandese, è considerata una pietra miliare nella storia della chimica moderna.
Boyle sosteneva non soltanto la conciliabilità bensì il mutuo arricchimento tra scienza e teologia: secondo la sua visione, infatti, lo studio del mondo naturale non poteva affatto essere slegato da presupposti di carattere metafisico e teologico nonostante la convizione che lo studio della natura dovesse poggiare su solide basi sperimentali e non procedere da principi arbitrari. Come scrive Ricciardo, «i suoi studi teologici, insieme all’autorità di cui godeva come filosofo della natura, fecero di lui un protagonista del dibattito sul rapporto tra nuova filosofia e religione che animò la scena culturale inglese nei decenni successivi alla Restaurazione», dibattiti in cui Boyle prese parte anche percependo «l'esigenza di una nuova apologetica capace di sconfiggere il materialismo, l'ateismo e lo scetticismo religioso» (p. 6).
L’armonia tra scienza e religione è indubbiamente «il motivo dominante nelle opere filosofico-teologiche che Boyle pubblicò a partire dalla metà degli anni Settanta» (p. 388).
Attraverso questo meticoloso studio, Ricciardo ci offre un vero e proprio osservatorio sulla storia della scienza, che va di pari passo con la storia delle idee: un intreccio di scoperte scientifiche, dibattiti storici (quali quelli sull'atomismo, il meccanicismo, il vuoto, la luce e il magnetismo), sensibilià religiose (quali quelle rasversali nella produzione di Boyle circa l'immortalità dell'anima e la resurrezione dei corpi), e prospettive originali.