La fine della storia e l’ultimo uomo del politologo statunitense Francis Fukuyama, pubblicato nel 1992 presso Free Press, sviluppa le tematiche contenute in un articolo intitolato The End of History? scritto dall’autore per la rivista The National Interest nel 1989, basato a sua volta su una conferenza tenuta all’Università di Chicago. Il volume è suddiviso in cinque parti, con una prefazione di Gianfranco Pasquino.
La tesi centrale del libro è che la vittoria degli ideali delle democrazie liberali, ovvero libertà e uguaglianza, segnano la fine della storia: dal momento della loro affermazione, tali valori costituiscono l’unico riferimento teorico-politico possibile. La liberaldemocrazia sarebbe dunque «la sola aspirazione politica coerente per regioni e culture diverse dell’intero pianeta». Frutto di numerosissimi fraintendimenti e di annosi dibattiti in seguito all’uscita del volume, la concezione di “storia” di Fukuyama, ripresa da Hegel e Marx, non consiste nel «significato convenzionale di successione di avvenimenti», bensì nella «Storia intesa come processo evolutivo unico e coerente, che tiene conto delle esperienze di tutti i popoli in tutti i tempi». La domanda di fondo del libro è dunque la seguente: «ha ancora senso per noi, alla fine del secolo XX, parlare di una storia coerente e direzionale dell’umanità che finirà col portare la grande maggioranza della medesima alla democrazia liberale?».
Nella prima parte, l’autore riflette sulla necessità di riformulare la domanda circa una storia evolutiva e universale dell’umanità, coerente e direzionale. Oggetto di discussione sono le nozioni di progresso, ottimismo e pessimismo, così come la crisi dell’autoritarismo e la fine dei totalitarismi, con particolare riferimento alla dissoluzione dell’URSS. Viene poi trattata l’affermazione graduale del liberalismo e della democrazia a partire dal XVIII secolo.
Nella parte seconda, Fukuyama analizza lo sviluppo delle scienze moderne in quanto «meccanismo per spiegare la direzionalità e la coerenza della Storia». Il processo di affermazione della scienza e della tecnologia, insieme alla produzione economica capitalista, viene preso come esempio di fattore storico cumulativo e direzionale, tendente a una accumulazione senza fine.
L’autore propone, nella terza parte, una parallela interpretazione del processo storico per spiegare il progressivo affermarsi della democrazia. Egli riprende la teoria del riconoscimento di Hegel, secondo cui l’uomo si differenzia dall’animale perché desidera essere desiderato da altri uomini, ha bisogno di essere riconosciuto in quanto essere umano. La storia dell’umanità, secondo le famose pagine della Fenomenologia dello spirito, sarebbe una lotta a morte per il prestigio; il motore del processo storico la brama di affermazione. Secondo Fukuyama è possibile «comprendere il problema della politica nel corso dei millenni della storia umana come lo sforzo di risolvere il problema del riconoscimento». Egli si chiede allora, con Hegel, se la fine della storia sia stata raggiunta con le rivoluzioni americana e francese, in seguito alle quali si instaurarono società basate sul riconoscimento universale e reciproco, ovvero sui valori di libertà e uguaglianza.
Il desiderio di riconoscimento spiega anche l’emergere di fenomeni di nazionalismo e di rivendicazioni fondate su particolarità linguistiche, religiose o etniche, che l’autore analizza nella parte quarta del libro, dove egli discute le conseguenze di una lotta per il riconoscimento su scala internazionale, causa di politiche imperialiste e di guerre tra Stati.
La quinta e ultima parte del libro – intitolata L’ultimo uomo – si interroga sul riconoscimento garantito dalle liberaldemocrazie ai cittadini, e se questo sia sufficiente in futuro per il mantenimento dell’assetto sociopolitico. Seguendo Nietzsche e Tocqueville, l’autore prende in considerazione il pericolo di una società in cui i cittadini sono del tutto soddisfatti del riconoscimento eguale e universale garantito loro a livello istituzionale e sociale, ma che hanno perso la “brama” di affermarsi e di lottare, a causa di un “conformismo di massa” in cui non c’è più spazio per alcun tipo di sperimentazione.
La fine della storia e l’ultimo uomo si rivolge prevalentemente a studenti e studiosi di teoria politica, filosofia e relazioni internazionali.