Questa è l’ultima opera di Edmund Husserl (1859-1938), lasciata incompiuta dall’A. e pubblicata nel 1954 a cura di H.L. Van Breda, curatore degli Archivi Husserl di Lovanio. Husserl riflette qui sulla crisi della cultura europea nel Novecento (ricordiamo l’opera di O. Spengler, Il tramonto dell’Occidente, 1918) ed in particolare delle scienze (crisi dei fondamenti della matematica, crisi della fisica classica). La scienza moderna, per l’A., ha ridotto tutto il reale ad oggetto di razionalità fisico-matematica, giudicando come insignificanti tutte quelle domande sul senso delle cose che non siano esprimibili in un tale linguaggio. Così facendo, ha dimenticato sia la razionalità ampia del pensiero greco, di cui quella matematica è solo una parte, sia l’originario “mondo della vita” da cui la ragione e la scienza hanno origine. Quest’ultimo è considerato solo un’apparenza soggettiva della vera realtà oggettiva, data dalla scienza, mentre ne è invece il fondamento e l’orizzonte di senso. Questa apertura al pre-categoriale ed alla sfera pragmatica hanno fatto pensare ad un avvicinamento di Husserl alle nuove posizioni di Heidegger, anche perché il libro è maturato dopo il divorzio del discepolo dal maestro. L’opera, definita dall’autore «un piccolo inizio» è stata in effetti importante per la rinascita della fenomenologia dopo il 1960.