Il volume di William Shea, storico della scienza canadese di fama internazionale, è uno tra gli studi che hanno modificato le interpretazioni tradizionali di Galileo. L’A. esamina lo sviluppo della ricerca scientifica di Galileo tra il 1610 e il 1632, anni in cui lo scienziato pisano elaborò la metodologia della sua “rivoluzione intellettuale”, e mostra in dettaglio come questa si andò delineando attraverso i successi e gli errori nell’affrontare i diversi problemi scientifici. Il riferimento agli errori risulta particolarmente interessante: Galileo infatti considerava che la propria spiegazione delle maree come conseguenza del movimento della Terra – spiegazione poi rivelatasi infondata – fosse l’argomento fondamentale a sostegno della teoria eliocentrica.«I problemi centrali per Galileo, in questi anni, – scrive Shea – erano le questioni idrostatiche, le recenti scoperte astronomiche e la conferma definitiva della teoria eliocentrica. Il conflitto con la Chiesa e il processo appaiono fatti semplicemente accidentali» (p. 10). Nel saggio viene ricostruito il contesto culturale, riconducibile alla filosofia naturale medievale e rinascimentale, in cui Galileo si formò e che contribuì a rivoluzionare. Vengono poi approfondite la storia del dibattito sui galleggianti in cui Galileo fu coinvolto a partire dal 1610 e le controversie sulle macchie solari (1612) e sulle comete (1618). L’A. si sofferma quindi sugli ostacoli filosofici, sociologici ma anche psicologici che generano opposizione alle innovazioni di Galileo, il cui metodo seppe contemperare schemi concettuali teorici, verifica empirica ed eleganza matematica. Le conclusioni dello studio, nella linea interpretativa di Alexandre Koyré, rivelano come l’impostazione teoretica guidò sempre la formulazione e risoluzione dei problemi affrontati da Galileo, che vedeva nella sperimentazione non il cammino per costruire a scienza, ma la via per confermare, attraverso il ruolo della predizione, il valore delle teorie che sono già alla base della stessa sperimentazione. Scrive Shea: «La sua naturale tendenza all’eleganza teoretica gli suggeriva che Copernico aveva ragione e, sebbene le osservazioni effettive parlassero solo in parte a suo favore, era convinto che a fornire le prove dovessero essere gli avversari. Se essi volevano produrre una confutazione dovevano fornire non esperimenti più numerosi e migliori, ma un’alternativa più semplice e più soddisfacente dal punto di vista geometrico» (p. 235). Il valore e i limiti della scienza di Galileo, i suoi presupposti e i suoi intenti diventano allora coerenti con la realtà storica della sua pratica scientifica.