Un pontificato innovativo: le riflessioni di uno scienziato

Duccio Macchetto
Hubble Space Telescope Science Institute, astronomo emerito

Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!
Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l'uomo. Solo lui lo sa!
(Giovanni Paolo II, Omelia di inizio del Pontificato)

La più bella sensazione è il lato misterioso della vita. È il sentimento profondo che si trova sempre nella culla dell’arte e della scienza pura. Chi non è più in grado di provare né stupore né sorpresa è per così dire morto; i suoi occhi sono spenti.
(Albert Einstein, Come io vedo il mondo)

Se io domanderò di chi siano opera il sole, la luna, la terra le stelle, le loro disposizioni e movimenti, penso che mi risponderà essere fatture di Dio; e domandato di chi sia dettatura la Scrittura Sacra, so che risponderà essere dello Spirito Santo, cioè parimenti di Dio. Il mondo dunque son le opera, e la Scrittura son le parole del medesimo Dio
(Galileo Galilei, Lettera ad Elia Diodati, 15 gennaio 1633, in Opere, a cura di A. Favaro, Firenze 1968, XV, p. 24)


In questo anno in cui papa Giovanni Paolo II sarà formalmente proclamato santo della Chiesa Cattolica, sono profondamente onorato che mi sia stato chiesto, in quanto scienziato e cattolico, di riflettere sui numerosi ed importanti contributi di questo Pontefice allo spirito umano e sulla sua preoccupazione di promuovere un rinnovato e positivo dialogo tra scienza e fede. Sono stato molto fortunato di poter lavorare nel campo dell’astronomia, un’area di ricerca che affascina molte persone, perché – in un certo modo – cerca di dare risposte alle domande che gli esseri umani si pongono da tempo immemorabile. Da dove veniamo? Qual è l’origine del nostro mondo e del nostro universo? Come è successo e perché? Le risposte a queste domande non possono trovarsi solo nella ricerca scientifica, ma hanno legami profondi con altre forme di conoscenza: poniamo le stesse domande e troviamo delle risposte anche in ambito filosofico o teologico. Il messaggio di Giovanni Paolo mi ha aiutato a riflettere e a riconciliare le risposte a queste domande, in un modo che non credevo possibile in precedenza, e mi ha fornito un sostegno morale nella ricerca della verità, ovvero Dio in tutta la sua creazione.

Sebbene le opinioni di Giovanni Paolo II circa le relazioni tra scienza e fede possono essere meglio apprezzate grazie ai numerosi documenti da lui redatti dopo essere stato eletto come Papa, la sua preoccupazione per favorire un miglior dialogo fra scienza e fede era già evidente in tempi precedenti.

Come Arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyla partecipò attivamente ai lavori del Concilio Vaticano II e svolse un ruolo importante nella preparazione della costituzione pastorale Gaudium et spes, in modo particolare le sezioni dedicate al ruolo della Chiesa nel mondo. All’epoca, egli era assai interessato alle questioni che riguardavano la conoscenza umana in discipline come la metafisica, la filosofia, ma anche le scienze naturali e le cosiddette “scienze dure”, ed il loro rapporto con la religione. In uno dei contributi scritti per la preparazione del tetso della Gaudium et spes, leggiamo: «L’affermazione del mondo corrisponde ad un buon principio di dialogo. Una volta riconosciuta l’autonomia delle realtà terrene, la Chiesa presta un ottimo servizio alla costruzione e allo sviluppo del mondo e sempre lo ha voluto prestare. La Chiesa vuole servire il mondo in tutti i modi possibili, principalmente nel servizio alla verità e alla moralità, da prestare sempre secondo quel principio di trascendenza che le è proprio in forza dell’opera della Redenzione» (Concilii Vaticani II Synopsis. Gaudium et spes, a cura di F. Gil Hellin, Libreria editrica vaticana, Città del Vaticano 2003, int. E/5608, p. 1352).

Egli stava in fondo già anticipando quello che diventerà il suo contributo fondamentale ad un rinnovato e proficuo dialogo tra religione e scienza. Durante il suo pontificato, Giovanni Paolo II desiderava vedere una Chiesa realmente dedicata al dialogo con il mondo, in particolare a quello con le scienze, che svolgono un ruolo fondamentale nel plasmare la società e il suo futuro.

Questa apertura della Chiesa al dialogo con il mondo della scienza manifestava un cambiamento positivo rispetto a ciò che molti, nella comunità scientifica, percepivano essere stato l’atteggiamento della Chiesa nei secoli precedenti. Il caso Galileo ha avuto infatti un impatto negativo, profondo e duraturo, sui rapporti tra religione e scienza. Nei 400 anni da allora trascorsi, molti scienziati sono stati riluttanti ad avere un significativo dialogo con la Chiesa, scegliendo piuttosto di ignorare i suoi insegnamenti, anche quando questi non contraddicevano né ostacolavano lo sviluppo del sapere scientifico. Dall’altro lato la Chiesa spesso guardava con sospetto, o anche con timore, i risultati della ricerca scientifica, come se la conoscenza del mondo fisico fosse in contraddizione con l’interpretazione delle Scritture.

Durante il 20° secolo questa situazione iniziò a migliorare. Papa Pio XI fondò (o ri-fondò) la Pontificia Accademia delle Scienze per “circondarsi di un gruppo selezionato di studiosi, basandosi su di loro per informare la Santa Sede in completa libertà sugli sviluppi della ricerca scientifica ed anche per assisterlo nelle sue riflessioni”. Nella sua enciclica Humani Generis (1950), papa Pio XII già affermava che la Chiesa accettava la teoria dell’evoluzione per spiegare l’origine del corpo umano, pur dichiarandola meritevole di ulteriori indagini, specificando al contempo che l’anima è stata creata direttamente da Dio. Questi passi, sebbene molto importanti, non rappresentavano ancora un cambio sufficiente per giustificare una calda accoglienza della Chiesa cattolica da parte della comunità scientifica.

Fin dall’inizio del papato di Giovanni Paolo II abbiamo assistito ad un rinnovamento della visione del rapporto tra le scienze naturali e la fede religiosa. Nel Concilio Vaticano II, con l’enciclica Gaudium et Spes la Chiesa aveva manifestato il suo sostegno alla libertà della ricerca, fiduciosa che non potesse esserci contraddizione tra scienza e fede. Giovanni Paolo II è andato molto oltre ed ha fornito una specifica visione intellettuale, necessaria per aiutare a creare questo nuovo e franco dialogo.

Giovanni Paolo II era preoccupato del fatto che il caso Galileo avesse causato incomprensioni e contrasti tra scienza e fede per troppo tempo. In molti dei suoi discorsi questo “caso” è trattato come qualcosa di “doloroso”, un’opportunità mancata che per molti secoli ha allontanato fra loro scienza e religione. La teologia aveva perso l’opportunità di aprirsi alle scoperte scientifiche, alle nuove idee e problemi scaturiti da tali scoperte, mentre la scienza si era disinteressata alla religione, ed a volte ne era divenuta antagonista. «A partire dal secolo dei Lumi fino ai nostri giorni, il caso Galileo ha costituito una sorta di mito, nel quale l'immagine degli avvenimenti che ci si era costruita era abbastanza lontana dalla realtà. In tale prospettiva, il caso Galileo era il simbolo del preteso rifiuto, da parte della Chiesa, del progresso scientifico, oppure dell'oscurantismo "dogmatico" opposto alla libera ricerca della verità. Questo mito ha giocato un ruolo culturale considerevole; esso ha contribuito ad ancorare parecchi uomini di scienza in buona fede all'idea che ci fosse incompatibilità tra lo spirito della scienza e la sua etica di ricerca, da un lato, e la fede cristiana, dall'altro. Una tragica reciproca incomprensione è stata interpretata come il riflesso di una opposizione costitutiva tra scienza e fede. Le chiarificazioni apportate dai recenti studi storici ci permettono di affermare che tale doloroso malinteso appartiene ormai al passato» (Ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze, 31 ottobre 1992)

Egli decise allora di fare qualcosa. Nel suo discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, in occasione del centenario della nascita di Albert Einstein (1979) Giovanni Paolo II fece molti più riferimenti a Galileo che ad Einstein o al ruolo fondamentale avuto da quest’ultimo nel cambiare il nostro paradigma di comprensione della Fisica e della Cosmologia. Ovviamente non fu un caso. Giovanni Paolo II impiegò questa opportunità per affermare apertamente che la Chiesa, nei suoi rapporti con Galileo, aveva commesso vari errori e “riconobbe e deplorò certi interventi indebiti”.

«Ci sia concesso di deplorare —leggiamo nel n. 36 della Gaudium et spes— certi atteggiamenti mentali, che talvolta non mancano nemmeno tra i cristiani, derivati dal non avere sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza, e che, suscitando contese e controversie, trascinarono molti spiriti a tal punto da ritenere che scienza e fede si oppongano tra loro». E nel medesimo discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze egli continua: «Nel caso Galileo, le concordanze tra religione e scienza sono più numerose, e soprattutto più importanti, delle incomprensioni che hanno causato l'aspro e doloroso conflitto che si è trascinato nei secoli successivi... La ricerca della verità —continuava in quell’occasione Giovanni Paolo II— è il compito della scienza fondamentale. Il ricercatore che si muove su questo primo versante della scienza sente tutto il fascino delle parole di Sant'Agostino: Intellectum valde ama – ama molto l'intelligenza e la funzione che le è propria di conoscere la verità. La scienza pura è un bene, degno di essere molto amato, perché è conoscenza e quindi perfezione dell'uomo nella sua intelligenza: essa deve essere onorata per se stessa, ancor prima delle sue applicazioni tecniche, come parte integrante della cultura. La scienza fondamentale è un bene universale, che ogni popolo deve poter coltivare con piena libertà da ogni forma di servitù internazionale o di colonialismo intellettuale. La ricerca fondamentale dev'essere libera di fronte ai poteri politico ed economico, che debbono cooperare al suo sviluppo, senza intralciarla nella sua creatività o aggiogarla ai propri scopi. La verità scientifica, infatti, è, come ogni altra verità, debitrice soltanto a se stessa e alla suprema Verità che è Dio creatore dell'uomo e di tutte le cose».

Queste affermazioni furono recepite in modo molto positivo dalla comunità scientifica, sebbene fosse ancora scettica su quale riflesso avrebbero avuto queste parole per poter modificare in modo duraturo l’atteggiamento della Chiesa verso la scienza. Molto probabilmente lo spartiacque giunse dopo il discorso in cui decise di stabilire una commissione per rivedere il cosiddetto “caso Galileo”. «A ulteriore sviluppo di quella presa di posizione del Concilio, io auspico che teologi, scienziati e storici, animati da uno spirito di sincera collaborazione, approfondiscano l'esame del caso Galileo e, nel leale riconoscimento dei torti, da qualunque parte provengano, rimuovano le diffidenze che quel caso tuttora frappone, nella mente di molti, alla fruttuosa concordia tra scienza e fede, tra Chiesa e mondo. A questo compito che potrà onorare la verità della fede e della scienza, e di schiudere la porta a future collaborazioni, io assicuro tutto il mio appoggio».

La commissione lavorò molto dal 1981 al 1992 quando. durante una cerimonia formale, presentò il suo rapporto finale. Giovanni Paolo II ne approvò i risultati, che fornivano in fondo una visione equilibrata del caso. Egli accettò le mancanze a suo tempo manifestate dalla Chiesa. «In virtù della missione che le è propria, la Chiesa ha il dovere di essere attenta alle incidenze pastorali della sua parola. Sia chiaro, anzitutto, che questa parola deve corrispondere alla verità. Ma si tratta di sapere come prendere in considerazione un dato scientifico nuovo quando esso sembra contraddire delle verità di fede… La maggioranza dei teologi non percepiva la distinzione formale tra la Sacra Scrittura e la sua interpretazione, il che li condusse a trasporre indebitamente nel campo della dottrina della fede una questione di fatto appartenente alla ricerca scientifica».

Le osservazioni del Papa in cui sottolinea che in realtà la Bibbia non si occupa dei dettagli del mondo fisico sono quasi un riflesso della voce di Galileo: «Esistono due campi del sapere, quello che ha la sua fonte nella Rivelazione e quello che la ragione può scoprire con le sole sue forze. A quest’ultimo appartengono le scienze sperimentali e la filosofia. La distinzione tra i due campi del sapere non deve essere intesa come una opposizione. I due settori non sono del tutto estranei l’uno all’altro, ma hanno punti di incontro».

La relazione tra fede e scienza, tra il messaggio cristiano e il sapere scientifico, è un tema delicato e sarà sempre soggetto ad una variabilità di prospettive. Mentre la nuova posizione della Chiesa sul caso Galileo ebbe una grande risonanza all’interno della comunità scientifica, la visione di Giovanni Paolo favorì un dialogo aperto con tutte le aree della conoscenza. Ad esempio, nel suo Messaggio alla Pontificia Accademia delle Scienze a proposito della teoria dell’evoluzione (22 ottobre 1996) scrisse: «Una teoria è un’elaborazione metascientifica, distinta dai risultati dell’osservazione, ma ad essi affine. Grazie ad essa, un insieme di dati e di fatti indipendenti fra loro possono essere collegati e interpretati in una spiegazione unitaria. La teoria dimostra la sua validità nella misura in cui è suscettibile di verifica; è costantemente valutata a livello dei fatti; laddove non viene più dimostrata dai fatti, manifesta i suoi limiti e la sua inadeguatezza. Deve allora essere ripensata. Inoltre, l’elaborazione di una teoria come quella dell’evoluzione, pur obbedendo all’esigenza di omogeneità rispetto ai dati dell’osservazione, prende in prestito alcune nozioni dalla filosofia della natura… La Chiesa potrà comprenderne ancora meglio l’importanza se ne conoscerà gli aspetti essenziali. In tal modo, conformemente alla sua missione specifica, essa potrà offrire criteri per discernere i comportamenti morali ai quali l’uomo è chiamato in vista della sua salvezza integrale».

Più avanti, nella sua enciclica Fides et Ratio (1998) egli definisce il contesto dei ruoli, certamente diversi ma fra loro intimamente connessi, di fede e ragione. Egli rivede e sintetizza la sua prospettiva sul ruolo degli scienziati e ci incoraggia a non perdere di vista quale realmente dovrebbe essere lo scopo della nostra ricerca: «Nell'esprimere la mia ammirazione ed il mio incoraggiamento a questi valorosi pionieri della ricerca scientifica, ai quali l'umanità tanto deve del suo presente sviluppo, sento il dovere di esortarli a proseguire nei loro sforzi restando sempre in quell'orizzonte sapienziale, in cui alle acquisizioni scientifiche e tecnologiche s'affiancano i valori filosofici ed etici, che sono manifestazione caratteristica ed imprescindibile della persona umana. Lo scienziato è ben consapevole che la ricerca della verità, anche quando riguarda una realtà limitata del mondo o dell'uomo, non termina mai; rinvia sempre verso qualcosa che è al di sopra dell'immediato oggetto degli studi, verso gli interrogativi che aprono l'accesso al Mistero» (n. 106).

Giovanni Paolo II ha avuto un approccio radicalmente nuovo nel promuovere un rinnovato dialogo fra fede religiosa e scienza, ma ha anche cercato di chiarire il ruolo della Chiesa in questo dialogo. L’esperienza religiosa e la scienza non hanno bisogno di mostrarsi in conflitto: sia la ricerca scientifica che la ricerca di Dio sono espressioni profonde della nostra realtà di esseri umani. Il legame tra scienza e religione è la ricerca della Verità. Come egli scrisse a George Coyne, direttore della Specola Vaticana, il 1° giugno 1988, “Sta al futuro stabilire in quale forma questo dialogo avverrà e come potrà procedere nel tempo”. Potrà anche la scienza beneficiarsene? In che modo le scoperte scientifiche partecipano alla ricerca dell’ultima verità? Come possono teologia e filosofia delineare ed incoraggiare questa ricerca? Anche dopo tutti questi anni, una nuova relazione tra scienza e religione non ci fornisce tutte queste risposte. Ma il dialogo che si sta intensificando tra teologia, filosofia e scienza può in primo luogo favorire una comprensione degli obiettivi e delle specifiche competenze di ognuna di queste discipline per poi preparare ciascuna di esse, nel suo campo particolare, a contribuire alla ricerca della Verità, di quella verità che è in fondo Dio stesso.

In quanto cristiani ci rallegriamo della proclamazione di Giovanni Paolo II come santo, e in quanto scienziati apprezziamo il ruolo guida da lui svolto per superare le controversie e le incomprensioni dei secoli passati, trasformando così le relazioni fra la Chiesa e la comunità scientifica in una interazione dal carattere positivo e creativo. L’eredità che questo Pontefice ci ha consegnato avrà conseguenze certamente profonde e durature, sia sul mondo scientifico che sulla fede dei cristiani.

© 2014 Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede