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Tommaso, Maestro della contemplazione delle cose naturali

Etienne Gilson
1960

Comunque noi decidiamo di interpretare l’opera di san Tommaso, essa, nella mente del suo autore, era quella di un maestro della verità cristiana – e niente altro. Talvolta san Tommaso viene accusato di aver condotto una specie di doppia vita intellettuale: in filosofia, da aristotelico; in teologia, da maestro del dogma cristiano. Né nella sua vita, né nei suoi scritti possiamo trovare la più leggera traccia di una tale doppia personalità. Nato nel 1225, Tommaso aveva sei anni quando nel 1231 i suoi genitori lo fecero entrare come oblato nel monastero benedettino di Montecassino. Mai padre fu più giustificato nel dire di sapere bene che cosa fosse meglio per suo figlio. Da allora in poi Tommaso appartenne sempre a qualche ordine religioso, prima ai Benedettini, poi ai Domenicani. In un certo senso, non cessò mai di agire e di pensare da Benedettino, e il suo atteggiamento verso gli studi è integralmente dominato da questo fatto.

Dai primi tempi del cristianesimo si erano svolte dispute sui limiti entro i quali i cristiani (specialmente i preti, e più particolarmente i monaci) potessero adire gli studi superiori, o essere incoraggiati a perseguirli. Tommaso non esitò mai su questo. Nella Summa theologiae si pose apertamente la questione nella sua forma più recisa: non solo se si dovesse concedere ai monaci di accedere agli studi, ma anzi se si potesse stabilire qualche ordine religioso con il solo proposito di dedicarsi agli studi. E la sua risposta fu affermativa.

Vale la pena di considerare gli argomenti esposti da san Tommaso per sostenere questa conclusione. Alcuni di essi sono basati sulle esigenze della vita attiva: un predicatore deve apprendere qualcosa, se vuole veramente predicare. Altri sono basati sulle esigenze della vita contemplativa. Per limitarci a questi ultimi, notiamo anzitutto che il tipo di studi che san Tommaso ha in mente è quello che egli stesso chiama studia litterarum; cioè l’educazione tradizionale delle arti liberali. Prima di giungere a questo problema, descrivendo la natura della vita contemplativa, Tommaso d’Aquino le aveva posto come oggetto primario l’indagine della verità divina, poiché tale contemplazione era lo scopo dell’intera vita umana. Secondariamente, e come introduzione a questi oggetti di contemplazione, altissimi fra tutti, Tommaso aveva attribuito alla vita contemplativa la considerazione degli effetti di Dio, attraverso la conoscenza dei quali siamo, per così dire, guidati per mano alla conoscenza del loro Autore. Ovviamente, l’inclusione dello studio delle creature tra i fini legittimi della vita contemplativa implicava il riconoscimento del sapere scientifico e filosofico come oggetti legittimi the studio monastico.

Da questa posizione san Tommaso non si staccò mai. Egli sostenne sempre che gli studi scientifici e filosofici erano permessi ai monaci. Sostenne persino esplicitamente che un ordine religioso, qualora si dedicasse agli studi in virtù della sua stessa fondazione, poteva legittimamente includere la scienza e la filosofia nel suo programma – purché tali studi fossero intrapresi in vista della contemplazione di Dio come fine proprio. Tommaso è perfettamente chiaro a questo proposito: «Anche la contemplazione degli effetti di Dio appartiene indirettamente alla vita contemplativa, precisamente in quanto, per suo mezzo, l’uomo è condotto alla conoscenza di Dio» [Summa Theologiae, II-II, q. 180, a. 4]. Ciò dovrebbe essere sufficiente per definire la natura degli scritti di san Tommaso. Essi ricorrono spesso alla considerazione o (come egli stesso non esita a chiamarla) contemplazione del mondo delle cose naturali. Per lui, tuttavia, scienza, logica, filosofia, non servono mai ad altro scopo che a permettere una più perfetta contemplazione di Dio. Alla controversa questione se esista una filosofia nelle opere di san Tommaso, la risposta più semplice e che esiste certamente, ma vi si trova sempre al solo scopo facilitare all’uomo la conoscenza di Dio.

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E. Gilson, Elementi di filosofia cristiana, tr. it. di Gianfranco Caletti, Morcelliana, Brescia 1964. pp. 18-20