Il Beato Giovanni Paolo II, che dal 27 aprile di quest’anno chiameremo San Giovanni Paolo II, è stato un papa particolarmente sensibile al tema della scienza. Vi è una sua iniziativa che mette bene in evidenza lo spirito con il quale egli ha promosso il dialogo tra scienza moderna e fede cattolica. Fin dal Concilio Vaticano II diversi Padri avevano rievocato la condanna di Galileo. Nel XIX secolo la condanna fu messa nuovamente in primo piano da alcune correnti anticlericali, fino a diventare «l’affare Galileo». Per la maggior parte dei contemporanei, il processo subito dallo scienziato pisano del 1633 era ancora l’emblema del rifiuto della modernità da parte della Chiesa. Papa Giovanni Paolo II ha realizzato il desiderio dei Padri conciliari di riconoscere in modo più aperto che questa condanna era stata un errore. Nacque così l’occasione per riaffermare che la Chiesa cattolica aveva in realtà sempre stimato le scienze naturali, una stima che era stata ribadita dal Concilio Vaticano II e che si è poi sviluppata in piena fedeltà al Concilio.
1. L’atteggiamento di Giovanni Paolo II verso la scienza non fu qualcosa di circostanziale. In effetti, in varie occasioni, egli aveva elogiato il lavoro svolto nelle Università, incitandone lo sviluppo. Nella costituzione apostolica Ex corde Ecclesiae (15 agosto 1990) indirizzata alle Università Cattoliche, egli precisava: «Un campo che interessa in maniera speciale l’Università cattolica è il dialogo tra pensiero cristiano e scienze moderne» (n. 46). Nei discorsi tenuti in varie università, Giovanni Paolo II si è mostrato attento a questa esigenza: l’unità dei saperi e la loro convergenza nell’amore ad una verità ricercata incessantemente. Questo desiderio di unità riposa su una convinzione teologica: l’opera del Dio unico reca la traccia della sua unità. È per questo che la diversità di saperi deve tendere all’unità. Questo proposito è presente in diversi discorsi pronunciati in ambienti universitari; l’incontro tra scienza e teologia ha una finalità: «quella dell’integrazione del sapere, in una sintesi nella quale l’insieme impressionante di conoscenze scientifiche troverebbe il suo significato nel quadro della visione integrale dell’uomo e dell’universo, dell’Ordo rerum» (Discorso ad intellettuali ed universitari ad Ibadan, Nigeria, 15 febbraio 1982). Quest’ultima espressione, classica in teologia, è il fondamento della stima di Giovanni Paolo II per le scienze naturali, che scaturisce a sua volta dalla fede in Dio creatore.
2. Non è stato compito di Giovanni Paolo II proporre una visione del mondo che unificasse i saperi; egli si rifà alla radice della ricerca scientifica e perciò elogia l’uomo di scienza che cerca la verità, una verità marcata dal sigillo della trascendenza. Lo si vede negli elogi che egli fa delle grandi figure della scienza, in particolare Gregorio Mendel e Georges Lemaître ed, in maniera più ampia, nell’enciclica Fides et ratio. In quest’ultimo documento Giovanni Paolo II non intende offrire una sintesi tra la visione secolare del mondo tracciata dalla scienza e quella della Bibbia o della Tradizione, ma parla della ricerca dell’intelligenza. Il sapiente diventato scienziato, nel senso moderno del termine, se ha rinunciato ad una proposta di saggezza integrale, non ha però rinunciato alla ricerca della verità, perché è abitato da una convinzione fondata, quella dell’intellegibilità del mondo (cfr. Fides et ratio, n. 29). Se lo scienziato gioisce nel svelare i segreti della natura, è perché egli gusta la gioia di conoscere e di custodire in sé un’apertura di spirito che sia pienamente in accordo con la Rivelazione (cfr. n. 30). In effetti «la scienza pura è un bene perché è conoscenza e quindi perfezione dell’uomo nella sua intelligenza» (Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 10 novembre 1979). Questo elogio è un corollario di stima per gli uomini di scienza.
3. Giovanni Paolo II ha rivolto vari discorsi agli scienziati – all’Accademia Pontificia delle Scienze, ma anche in diversi luoghi durante i suoi viaggi apostolici. In questo contesto emerge un leitmotiv: l’appello alla responsabilità. La scienza in effetti offre all’uomo dei mezzi per agire con potenza; il Papa invita dunque ad un risveglio morale. Tutti ricordiamo l’appello di Giovanni Paolo II al rispetto per la vita; ma non possiamo dimenticare anche altri punti da lui toccati, come: l’ambiente, il disarmo, in particolare la questione nucleare, le applicazioni della tecnica finalizzate allo sviluppo dei popoli. Tutto ciò fa parte di una dinamica di rispetto della natura e di riconoscimento della grandezza dell’essere umano. Questa responsabilità dello scienziato riposa sull’unità dell’opera di Dio e per questo motivo la dottrina sociale della Chiesa deve essere articolata in dialogo con il sapere moderno, chiarita e giustificata anche dalla conoscenza scientifica.
4. L’appello alla responsabilità riposa su uno degli assi maggiori del pensiero di Giovanni Paolo II: la grandezza dell’uomo fondata sulla sua creazione ad immagine e somiglianza di Dio e sull’incarnazione del Verbo. Questa grandezza dell’essere umano è uno dei temi più ricorrenti. Al CERN di Ginevra (15 giugno 1982), luogo simbolico della scienza di base, dopo aver messo in rilievo il valore del lavoro scientifico, Giovanni Paolo II insiste sulla dignità dell’uomo di cui la scienza manifesta «la grandezza e il mistero». Egli spiega: la “grandezza” della ragione di cui la scienza è una realizzazione evidente ed il “mistero” della ricerca di una verità sempre più grande rispetto alla nostra esperienza. Questa stessa stima per la scienza appare nel celebre testo indirizzato nel 1996 all’Accademia Pontificia delle Scienze, in cui si riconosce il valore della teoria scientifica dell’evoluzione. La stima per la scienza è intimamente legata all’appello a riconoscere la trascendenza dell’essere umano. Sebbene l’essere umano sia parte egli stesso nel movimento delle speciazioni, con lui si varca una soglia. Il luogo del dialogo tra scienza e fede è, per Giovanni Paolo II, soprattutto la questione antropologica, piuttosto che la cosmologia.
5. Le parole di Giovanni Paolo II sulle scienze rivelano una preoccupazione assai diffusa. Il Vangelo è per lui il fermento di un’umanità nuova, secondo il cuore di Dio. Durante la sua attività pastorale in Polonia, sia come cappellano dei giovani che come vescovo, Giovanni Paolo II ha messo in luce che la scienza stimola le energie umane; ha notato che le idee scientifiche conferivano un certo dinamismo al progetto di società che affascinava gli Europei ed ha saputo discernere tra le opzioni materialiste e l’umanesimo che è invece alla base della scienza moderna. La sua azione evangelizzatrice e le sue direttive pastorali si sono iscritte nella preoccupazione di promuovere una cultura in cui la scienza sarebbe stata non solo rispettata, ma sviluppata al servizio dell’uomo. Nel dinamismo di questa visione, in cui la fede salva la ragione quando quest’ultima tenta di trasformarsi in un assoluto, l’attenzione di Giovanni Paolo II verso la scienza non ha riguardato solo aspetti specializzati, ma egli ha parlato volentieri di “cultura scientifica” – la nozione di cultura era per lui l’espressione della grandezza dell’uomo responsabile del suo avvenire, dell’educazione e della preoccupazione per il bene comune dell’umanità. Questo orizzonte, presente nel noto discorso del 1980 all’Unesco, è stato poi sviluppato durante gli orientamenti da lui dati ai lavori della Pontificia Accademia delle Scienze.
6. Il valore della scienza si basa sul posto privilegiato che l’uomo occupa nel panorama della natura. Questa è un’opzione metafisica. Secondo Giovanni Paolo II, la stima per la conoscenza scientifica non discende solo da una impostazione teocentrica, come accadeva ad esempio nella teologia scolastica; essa discende soprattutto da una visione antropocentrica. È nell’uomo che si trova la chiave dell’intelligibilità di tutto l’universo. Così Giovanni Paolo II inserisce il suo apprezzamento per la cultura scientifica in una prospettiva cristologica, in quella prospettiva che è stata presente fin dalla sua prima enciclica Redemptor hominis (1979).
7. Giovanni Paolo II, infine, ha voluto vedere nella scienza una dimensione cara alla tradizione cristiana: il senso della preghiera e della contemplazione. Per Giovanni Paolo II la scienza non è solamente un sapere teorico, né un’attività pratica finalizzata a generare benessere, né solo una forte spinta verso un umanesimo integrale. La conoscenza scientifica deve condurre alla contemplazione, il cui primo passo è la meraviglia di fronte all’esistenza. Questo atteggiamento è la fonte della vita di preghiera e si poggia sulla prospettiva escatologica che i cristiani celebrano al termine dell’anno liturgico, con la solennità di Cristo Re dell’universo.
I sette punti elencati riposano su una visione strutturata. Innanzitutto la consapevolezza che la crisi attuale della società civile richiede un risveglio dell’intelligenza credente. Questo risveglio deve poggiarsi su convinzioni forti, che si possono esplicitare secondo un ordine che identifica sette pilastri sui quali riposa una visione cristiana del mondo. Essi sono: la verità come motore della ricerca; l’unità come orizzonte della ricerca; la cultura, fondata sull’apertura al lavoro degli altri; il rispetto per tutto ciò che è stato donato dal Creatore; il posto dell’uomo nella natura; la responsabilità umana e la preoccupazione per l’avvenire ed infine il mistero, come presenza dell’eternità nel tempo attraverso la resurrezione di Cristo.
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