In questa conferenza, pubblicata nell’anno della sua morte, Jacques Maritain (1882-1973) offre la sua visione filosofica — rispettosa del dato paleontologico — sul processo di ominizzazione. All’interno di una prospettiva aristotelico-tomista, ove le potenze già presenti possono essere messe in atto da una nuova forma edotta dalla materia (psichismo di tipo inferiore), o da una nuova forma creata dalla Causa prima (coscienza e autoriflessione), Maritain suggerisce che il primo essere umano sia venuto al mondo grazie al dono di un’anima spirituale che Dio Creatore elargisce ad un feto concepito da una coppia non-umana. Le riflessioni di Maritain risultano di grande interesse se ricordiamo il suo grado universitario come biologo e la sua produzione in antropologia e in filosofia della natura. «Si comprende così — conclude il filosofo francese — come, dal lato della disposizione ultima della materia, l’apparizione dell’uomo sia stata insieme veramente termine dell’evoluzione della vita nel suo insieme e specialmente dell’evoluzione dei primati, ma ciò grazie all’intervento finale di una scelta assolutamente libera e gratuita operata da Dio creatore, e che trascende tutte le possibilità della natura materiale; e d’altra parte (dal lato della nuova forma sostanziale infusa) essa sia stata veramente opera di creazione assolutamente libera e gratuita, ma ciò grazie alla lunga storia presupposta degli organismi viventi, voluta da Dio fin dall’origine e con il fine della trasformazione di una specie animale nella specie umana».
La prima [osservazione] verte sull’opposizione dei due termini animale ed uomo, che è costantemente in uso nel linguaggio comune, e in funzione della quale, per un pubblico informato, come quello degli scienziati e dei filosofi, si pone il problema dell’apparizione dell’uomo. Questo vocabolario non è corretto, poiché anche l’uomo è un animale. Bisognerebbe dire da una parte animale non dotato di ragione, e dall’altra animale dotato di ragione (o, come gli antichi, bruto e uomo). Ma sorvoliamo e accettiamo questo modo comune di parlare, non senza ricordarci che esso rischia di giocarci dei brutti tiri.
La seconda osservazione verte sull’incontro della scienza e della filosofia, e sulla competenza propria di ciascuna, quando si tratta di questa coppia di opposti: animale ed uomo. Il filosofo, sul suo piano proprio, sa che cosa è l’animale come opposto all’uomo, è un animale la cui anima è un’anima sensitiva e che non possiede quel potere spirituale che è l’intelletto. Se però si tratta dell’animale la cui struttura fisica e psichica e il suo comportamento sono oggetto di osservazione, e presentano, dall’ameba allo scimpanzé, una serie infinitamente variata di differenze (e di problemi), il filosofo non ha il diritto di parlarne se non conosce prima ciò che ne pensa lo scienziato. Inversamente, lo scienziato, sul suo piano proprio di osservazione e di esperienza, sa una quantità di cose sull’uomo e sullo psichismo umano come differente dallo psichismo animale; se però si tratta dell’uomo e del suo psichismo considerati nella loro struttura ontologica, egli non ha il diritto di parlarne se non sa prima ciò che ne pensa il filosofo. Ecco regole epistemologiche vere in sé stesse, troppo vere per essere rispettate nella pratica ordinaria - le difficoltà dovute alla debolezza umana, e alle debolezze dei diversi stati di cultura, compreso il nostro, sono scoraggianti. Là dove lo scienziato vorrebbe interrogare il filosofo, trova dei filosofi in disaccordo su tutto. Laddove il filosofo vorrebbe sapere ciò che pensa la scienza sul piano suo proprio, trova a volte scienziati orientati senza rendersene conto nelle loro idee scientifiche da una filosofia o una prefilosofia consciamente o inconsciamente accettata, e a volte anche scienziati di scuole differenti che disputano fra loro (non è il privilegio dei filosofi), e a volte anche scienziati che sul piano loro specifico (e proprio perché vi si mantengono) partecipano ad essi, insieme ai punti acquisiti, anche le incertezze e le esitazioni della scienza.
La terza osservazione, che sarà lunga, verte sul termine ominide. Questo termine significa un vivente dell’ordine dei primati, situato nel filo o gruppo di fili (monofiletismo o polifiletismo, monogenismo o poligenismo, lascio aperti questi quesiti per il momento) che porta o portano all’uomo. Ma è un termine, a dir vero, ambiguo, che nel dialogo tra scienziato e filosofo conduce a singolari difficoltà.
Mi spiego. Punto numero 1: gli scienziati ci dicono che assolutamente nessun animale (nessuno degli animali che lo spettacolo della natura mette sotto i nostri occhi) è capace di fare gli utensili che facevano i Neandertaliani per esempio, né di accedere ad una “cultura” (precultura sarebbe un termine più esatto) come quella che essi hanno raggiunta. Ominidi superiori come quelli, non erano animali, dei semplici animali (nel significato della parola nella coppia di termini opposti animale-uomo). Ecco l’affermazione degli scienziati. E noi dobbiamo considerare la loro autorità in proposito irrefutabile. Lo psichismo di questi ominidi superava incontestabilmente la capacità di tutti gli animali che popolano intorno a noi la natura. Ciò vuol dire allora che essi erano già uomini, uomini primitivi? È evidente, non è vero? Questo è quanto la coppia di termini opposti, animale e uomo, ci fa concludere immediatamente. Non essendo animali, bisogna bene che siano uomini. È la conclusione ritenuta naturalmente come stabilita dai paleontologi. Gli ominidi di tipi svariati attraverso i quali si preparava l’uomo del quaternario superiore e di oggi, erano uomini primitivi
Eccoci al punto numero 2. Poiché sapere ciò che è l’uomo riguarda dapprima e innanzi tutto il filosofo, che (io penso ovviamente ad un filosofo degno di questo nome) definisce l’uomo come un animale dotato di un’anima intellettiva, spirituale e immortale: concetto estraneo al dominio epistemologico dello scienziato. Il filosofo sa, in effetti, che l’intelletto è spirituale e che deve dunque emanare da un’anima spirituale. Sa che tra l’anima del semplice animale e l’anima umana vi è una differenza assoluta, abissale, perché il senso, chiuso nella materialità, percepisce solo il particolare, mentre l’intelletto percepisce l’universale e riflette su se stesso (cosa che nell’uno e nell’altro caso implica immaterialità): di conseguenza l’intelletto si sviluppa certamente nel suo esercizio, come vediamo nel fanciullo, ma come potereesso è dato fin dal primo istante con l’anima intellettiva e spirituale, quando questa è infusa in un organismo abbastanza elevato perché una disposizione ultima della materia ve lo reclami. Pensare (come certi scienziati, intendi certi filosofi, sembrano fare, what a pity) che quel che il linguaggio corrente chiama intelligenza animale, e che è unicamente un senso interiore (chiamato estimativo dal filosofo), possa giungere progredendo a poco a poco a divenire l’intelletto, è tanto assurdo quanto pensare che un architetto possa raggiungere un giorno la luna costruendo torri sempre più alte, o che a forza di perfezionare il suo fiuto un cane da caccia ben addestrato possa giungere un giorno, essendo il suo padrone divenuto mercante di quadri, a distinguere un Rouault da un Vermeer o un Picasso autentico da un falso Picasso.
Stabilito tutto questo, cosa penserà il filosofo del nostro ominide ritenuto un uomo, un uomo primitivo? Ebbene, il filosofo si avvede subito che questo non è pensabile. Spero di esaminare la questione più particolarmente in un altro seminario. Mi basta ora dire che ci siamo posti di fronte ad un dilemma: o il nostro ominide superiore appartiene ad una specie (intendo una specie ontologica, quella a cui si interessa il filosofo) differente dalla specie ontologica alla quale appartiene l’uomo del quaternario superiore e attuale; oppure non appartiene ad una specie ontologica differente da quella dell’uomo del quaternario superiore e di oggi. Non c’è via di mezzo. O l’una o l’altra ipotesi contengono un non-senso.
In effetti, nella prima ipotesi (gli uomini primitivi appartenevano ad una specie ontologica differente da quella dell’uomo del quaternario e di oggi) bisogna ammettere che esistono più specie umane che si sono succedute, il che è un non-senso. Un animale la cui differenza specifica: avere un’anima intellettiva, spirituale e immortale, lo separa da tutti gli altri animali, costituisce una sola ed unica specie ontologica (e tassonomica) — la sola, peraltro, che noi possiamo discernere con certezza.
E nella seconda ipotesi (gli uomini primitivi non appartengono ad una specie ontologica differente da quella dell’uomo del quaternario superiore e di oggi), bisogna ammettere che la specie umana — l’unica specie umana che, nell’ipotesi in questione, ha cominciato ad esistere molto prima, fin dall’inizio del quaternario — non è sorta al termine di un’evoluzione nel corso della quale animali sempre più superiori sono finalmente divenuti quasi uomini, in altri termini, hanno preparato l’uomo fino ad una disposizione ultima della materia che reclamava l’anima intellettiva;al contrario, essa è sorta in un grado di sviluppoanimale relativamente ancora inferiore nella scala evolutiva degli ominidi, è nata da forme animali troppo poco elevate in questa scala perché il loro sviluppo cerebrale e psichico potesse permettere che si producesse in questi esseri una disposizione ultima della materia reclamante l’anima intellettiva. In breve, la preparazione animale necessaria per l’apparizione della specie umana è mancata. E una tale supposizione è, anch’essa, un puro non-senso filosofico — come sarebbe l’immaginare, per ciò che concerne non più l’evoluzione dei viventi, ma lo sviluppo embriologico nell’uomo, che un’anima intellettiva venisse infusa fin dal primo stadio di questo sviluppo, cioè fin dall’ovulo fecondato. Aggiungo che la supposizione di cui stiamo parlando, e che è un non-senso, è anche direttamente contraria ad ogni vera filosofia dell’evoluzione (per la quale è necessario effettivamente riconoscere l’importanza essenziale della disposizione ultima della materia che ha il suo ruolo in ogni mutazione sostanziale richiesta per il passaggio ad un grado superiore dell’evoluzione).
Il filosofo constata pure che i due corni del dilemma: l’ominide superiore considerato come un uomo primitivo appartiene oppure non appartiene ad una specie ontologica differente da quella dell’uomo del quaternario superiore e odierna, sono ugualmente impensabili. Ed egli è costretto a dichiarare, per conseguenza, che gli ominidi superiori considerati come uomini primitivi non possono essere stati realmente uomini.
Non erano degli animali, èl’asserzione della scienza. Non erano degli uomini, èl’asserzione della filosofia. Ecco una eccellente aporia.
Qui mi fermo un istante, perché sento ancora una volta la necessità di aprire una parentesi. La quale verterà su due parole che hanno una parte principale nelle teorie sull’origine dell’uomo. In primo luogo, l’espressione uomo primitivo. Questa espressione può comprendere due idee del tutto diverse. Può significare un uomo non completamente liberato dall’animalità (diciamo più esattamente dalla bestialità, perché non dobbiamo mai dimenticare che l’uomo stesso è un animale). In tal caso l’idea significata dall’espressione uomo primitivo non è che una pseudo-idea. Fin dall’istante in cui un essere è costituito nella specie umana, fin dall’istante in cui egli è un uomo, con la sua anima intellettiva, spirituale ed immortale, egli rimane immerso, certamente, nell’animalità umana (e questo non è dir poco), ma è completamente liberato dall’animalità delle bestie. L’espressione uomo primitivo ha un solo significato intelligibile: quando si intende con essa un uomo ancora nell’infanzia dell’umanità.
La seconda parola da considerare è: ominizzazione, di cui si compiaceva tanto il P. Teilhard, e di cui si servono anche i migliori paleontologi. Questa parola ha un significato perfettamente valido: dire che un animale si ominizza, vuole allora dire che esso si avvicina sempre più all’uomo, o che prende caratteri umanoidi sempre più avanzati. Ma essa ha un altro significato che può valere soltanto per la pigrizia mentale (come tante altre parole che in ogni epoca si infiltrano nel vocabolario degli scienziati, dei medici e dei filosofi): un significato che non chiamerei mitico (sarebbe troppo lusinghiero) ma soltanto fantastico — così fantastico da spiegare tutto dispensando dal pensare. Ominizzarsi significa in tal caso divenire sempre più un uomo pur restando — sempre meno — un animale (una bestia priva di ragione).
Se peraltro si cerca ugualmente di collocarvi dietro un’idea, ci si avvede che dietro la parola ominizzazione, impiegata in questo modo, si possono porre solo tre concettualizzazioni. Prima concettualizzazione: gli esseri in questione, che sono animali, divengono sempre più uomini in questo senso che sono dapprima 75 per 100 animali e 25 per 100 umani, poi 50 per 100 animali e 50 per 100 umani, quindi 25 per 100 animali e 75 per 100 umani. In breve, essi sono dei centauri, ossia di due specie diverse nello stesso tempo, non per una giustapposizione da un capo all’altro, ma nella loro costituzione intrinseca. Questo è un concetto, si, ma contraddittorio e buono appena per stupire una mente confusa.
Seconda concettualizzazione: gli esseri in questione sono già uomini, ma essi passano da una specie umana inferiore ad una specie umana superiore. Questo è un non-senso, l’abbiamo osservato or ora.
Oppure, infine, terza concettualizzazione, — non potrebbe darsi che gli esseri in questione abbiano già una vera intelligenza umana che comincia ad esercitarsi, ma non hanno ancora un’anima intellettiva, spirituale ed immortale, che verrà solo per noi? Ancora un’idea sfolgorante, ma difficile da digerire. Godere di un’intelligenza veramente umana, come quella di cui godranno dopo millenni di sviluppo uno scrittore esistenzialista o un discepolo di Michel Foucault, e non avere ancora un’anima umana, che peccato davvero.
Tutto ciò che ho detto non diminuisce di uno iota il valore delle parole ominizzazione e ominizzarsi, quali sono impiegate da scienziati autentici e da eminenti paleontologi. Ma c’è sempre stato al mondo qualche scienziato non autentico e c’è soprattutto la grande moltitudine delle persone che, senza essere né scienziati né filosofi, sono oggi informate delle teorie alla moda dai mass media, moltitudine senza difesa contro le idee confuse, ed esposta perciò a molti colpi bassi. È per questo che penso che la mia parentesi non sia stata del tutto inutile.
Eccola terminata. Torno alla nostra aporia: esseri di cui non si può dire che sono animali e di cui non si può dire che sono uomini. Che fare? Piantar tutto? Un filosofo non si scoraggia così presto. Vi dev’essere una via d’uscita.
Osservo a questo proposito due cose: in primo luogo, del resto cosa di più normale, l’animale di cui gli scienziati parlano e di cui noi parliamo è l’animale quale noi lo conosciamo, quale ovunque lo spettacolo della natura lo presenta ai nostri occhi. Bisogna tuttavia osservare che questo qui è l’animale delle età storiche, dal quaternario superiore fino ai nostri giorni; mentre l’animale di cui si tratta quando si parla dell’origine dell’uomo, l’animale dei fili in mutazione delle età preistoriche, era impegnato in un processo evolutivo che è durato moltissimi secoli e che oggi è compiuto; in quanto impegnato in questo processo, esso manifestava una plasticità che si è ben lontani dal ritrovare negli animali delle età storiche. In secondo luogo, osservo che al culmine dello sviluppo dei primati superiori, più precisamente degli ominidi, deve essere apparsa, in un dato momento, una serie più o meno effimera di animali che si avvicinavano molto da presso all’uomo, al termine della quale (l’ho già fatto notare) si è trovato un animale che era quasi un uomo, di modo che l’uomo sia potuto nascere da lui.
Allora mi viene l’idea che forse c’è una via di uscita — e la sola via d’uscita concepibile — al vicolo cieco in cui sembrava chiuderci la nostra aporia. Ed è che noi facciamo l’ipotesi, che spezza il dilemmaanimale o uomo che ci bloccava in una aporia, che tra «animale» e «uomo» si debba introdurre un terzo termine, e che vi siano stati, al culmine della serie più o meno effimera dei primati superiori di cui ho ora parlato — e durante un periodo relativamente breve, unico nella storia della vita, proprio perché era quello in cui l’aspirazione della materia alla sua attuazione suprema, attraverso l’anima intellettiva, stava per trovare finalmente il suo compimento —, degli animali il cui psichismo, pur restando di ordine soltanto sensitivo, oltrepassava il livello dello psichismo di tutti gli altri animali delle età preistoriche, come pure quello di tutti i nostri animali delle età storiche: chiamiamoli per ora animali sovrasviluppati o, se volete, dei preuomini. Da questo momento, noi non abbiamo più a che fare con una coppia di termini opposti animale e uomo, ma con una terna o trio di termini: animale, animale sovrasviluppato e uomo. Questo animale sovrasviluppato non apparteneva soltanto al regno animale, come vi appartiene l’animale dotato esso stesso di ragione. A differenza dell’uomo, informato da un’anima intellettiva, esso continuava ad appartenere all’immensa categoria dei viventi informati da un’anima sensitiva o soltanto animale. Ma esso faceva parte degli ultimi stadi che disponevano questi viventi a dare origine alla specie umana; ed a causa di una più alta mutazione, che preparava la mutazione suprema e definitiva, il suo psichismo, pur restando di ordine soltanto sensitivo, emergeva già — in che modo, ho in proposito una piccola chiave nella mia tasca, ma è troppo presto per servirmene — al di sopra delle capacità mentali di tutti gli animali. In altre parole, questo animale sovrasviluppato o questo preuomo, era in grado di produrre l’utensileria e di accedere alla «cultura» (o piuttosto precultura) in cui oggi tutti ritengono doversi riconoscere i segni caratteristici di uomini primitivi non ancora liberati completamente dalla bestialità.
L’ipotesi che così vi propongo è un’ipotesi filosofica, ma che potrebbe, credo, mostrarsi utile e feconda nelle mani dei paleontologi, benché sul piano proprio della scienza non possa apparire che verosimile e non sia suscettibile di essere verificata. Penso che possa essere verificata sul piano filosofico, intendo stabilita attraverso una convergenza di argomenti obbligante per l’intelletto. Per il momento mi contenterò di ricordare che la paleontologia, quando giunge a trattare dell’uomo e della sua apparizione sulla terra, affronta un problema che, mettendo in causa la natura umana, o ciò che l’uomo è, non appartiene solo alla scienza, ma anche e innanzi tutto alla filosofia: i più eminenti paleontologi non ne hanno forse coscienza quando, giunti a questo punto, invocano la testimonianza di questo o quel filosofo? Mi contenterò anche di rilevare che tra gli uomini primitivi di cui essi parlano e gli animali sovrasviluppati della mia ipotesi, la somiglianza è cosi grande che non devo temere niente per questi ultimi, non dico da parte delle abitudini mentali e dai presupposti filosofici dei paleontologi, dico dai criteri paleontologici di differenziazione. Ed è per questo che mi sento libero di pormi in questa ipotesi (come ancora non verificata e da verificare più tardi) per l’ultima parte di questo seminario, essendo ben chiaro che per applicarci a verificare l’ipotesi in questione, avremo il dovere di prendere in considerazione con la più grande cura i dati della scienza, cioè della psicologia animale e della paleontologia. È quanto vorrei fare nei prossimi seminari, se Dio mi dà il tempo e le forze necessarie per questo.
Finite le nostre osservazioni preliminari, passo al mio esposto, in cui, per ipotesi, considererò gli ominidi — siano essi molto elevati nella scala evolutiva, siano essi del più elevato gruppo ominide —, considererò tutti questi ominidi come animali sovrasviluppati, non come uomini. (Aggiungo che i più elevati tra questi animali sovrasviluppati probabilmente non hanno lasciato, e del resto nessuno ne sa niente, nessuna traccia fossile; poiché erano ancora senza intelletto, anche se già brancolavano nelle vicinanze dello spirito, essi erano indubbiamente meno bene equipaggiati degli altri in quella scienza innata che apportano gli istinti degli animali senza ragione, e meno atti a difendersi contro i loro nemici).
Voi ricordate che nella precedente sezione avevo preso come esempio, per illustrare la nostra discussione, il caso di un antropoide, diciamo l’australopiteco, che dava origine ad un animale di un grado specifico più elevato di quello dei genitori, ed un poco più vicino agli ominidi benché ancora molto lontano da essi.
Prenderò adesso un altro esempio, questa volta in un gruppo situato al grado più alto dell’evoluzione dei primati, in modo da considerare animali che sono stati antenati immediati dell’uomo e la cui anima (sensitiva) era per ipotesi al sommo dello stelo in cui apparirà l’uomo. Questi antenati immediati dell’uomo, li chiamerò (conformemente all’ipotesi fondamentale su cui mi sono ora spiegato) animali sovrasviluppati al limite superiore, o ominidi del grado più alto, ominidi del tutto dirozzati, della specie più elevata.
Essi si riproducevano propagando la loro specie e, sotto la mozione divina direttrice generale che attiva tutta la natura, davano origine a viventi dello stesso grado di essere, ominidi del più alto grado, come i loro genitori. Tutti questi animali sovrasviluppati al limite erano degli antenati immediati dell’uomo, ma soltanto in potenza. La loro specie era come un fiore sbocciato al sommo dello stelo evolutivo.
Il nucleo di questa specie, tuttavia, continuava ad essere chiuso nello stelo, e i viventi che lo componevano tendevano sempre a passare a un grado di essere superiore.
Supponiamo adesso che fra questi ominidi del più alto grado chiusi nello stelo evolutivo, una coppia, od una quantità quale si voglia grande di coppie (io non sono poligenista, ma ho già osservato che per il momento lascio aperta la questione, la tratterò in un altro seminario) stia o stiano per generare, effettivamente, dei viventi di un grado di essere superiore, cioè i primi esseri umani.
L’anima di questi sarà un’anima umana creata da Dio. Ciò vuol dire che Dio, con un atto assolutamente libero, ha scelto la coppia o le coppie ominidi di cui ho ora parlato, per infondere nei viventi da loro generati, nel corso della vita prenatale di questi viventi, un’anima intellettiva, spirituale ed immortale, che sarà stata reclamata da una disposizione ultima della materia, prodotta nel feto o nei feti ominidi, ad un determinato momento del suo o del loro sviluppo intrauterino, e che essa stessa era già in un certo qual modo umano (cercherò di precisare il concetto tra un istante).
Noi abbiamo dunque adesso, dal lato dell’anima intellettiva che è la forma sostanziale dell’essere umano, la creazione di questa anima da parte di un atto di Dio che implica una scelta divina assolutamente libera e gratuita. E abbiamo d’altra parte. dal lato della disposizione ultima da produrre nella materia, una mozione divina sovraelevatrice e sovra formatrice, che non è più una mozione generale nei riguardi del mondo della vita, ma, questa volta, una mozione eccezionale e assolutamente unica, dipendente dalla medesima scelta divina assolutamente libera e gratuita, la quale comprende insieme la mozione che fa reclamare l’uomo da parte di una disposizione ultima della materia, e l’atto da cui l’uomo è creato per il fatto che Dio ha creato l’anima che lo fa essere.
Ci conviene adesso fermarci (spero non troppo a lungo) su questa nozione difficile di disposizione ultima della materia.
La disposizione ultima si produce in un istante del tempo, un solo e medesimo istante cronologico in cui la forma fino a quel momento informante — l’anima sensitiva o animale del feto ominide nel caso presente (e ricordiamoci che la stessa cosa avviene nel caso dello sviluppo embrionale umano) — rientra nella potenza della materia, e invece la forma nuovamente informante è edotta alla potenza della materia oppure — nel caso presente (come nel caso dello sviluppo embrionale umano) — non edotta dalla potenza della materia ma creata da Dio ed infusa nel feto.
Tuttavia, vi sono nella disposizione ultima due istanti di natura da considerare. In un primo istante di natura, e anche in quanto disposizione ultima —nel caso presente, al termine dello sviluppo sensitivo del feto ominide che sta per diventare umano —, essa sopraggiunge in una sostanza (nel caso presente il feto in questione) ancora informato, per un attimo di tempo, dalla forma (nel caso presente, anima sensitiva o animale) che sta per rientrare nella potenza della materia.
Ed in un secondo istante di natura, la disposizione ultima esiste nella sostanza già informata dalla nuova forma (nel caso presente, essa esiste nel feto ominide già divenuto umano, già informato dall’anima spirituale creata da Dio).
Ne consegue che la disposizione ultima prodotta nella materia sotto la mozione eccezionale e assolutamente unica di Dio di cui ho parlato (e che, notiamolo di sfuggita, si esercita fin dal momento della fecondazione dell’ovulo sullo sviluppo embrionale del feto ominide in via di diventare uomo), questa disposizione ultima che sopraggiunge al termine dello sviluppo sensitivo del feto in questione è, nel primo istante di natura, già virtualmente umana, voglio dire già umana per quanto riguarda la qualità della vita sensitiva del feto, già portata al grado umano sotto quel rapporto, in altre parole, già fatta giungere,sotto quel rapporto, ad un grado superiore alle capacità della natura materiale e della vita immersa nella materia. Ecco la precisazione che volevo fare. (Nel secondo istante di natura, il feto ha ricevuto l’anima intellettiva e la disposizione ultima e formalmente umana: e tutto ciò avviene nello stesso istante cronologico).
La mia digressione sulla disposizione ultima è terminata, spero che non sia stata troppo arida. Ciò che in ogni caso importa è comprendere bene che se una coppia o alcune coppie ominidi ha od hanno dato origine ad uno o a più infanti umani, ciò è potuto avvenire solo in ragione di una doppia manifestazione della libertà assoluta della causa prima: dal lato della preparazione della materia e della disposizione ultima di questa, mozione eccezionale ed assolutamente unica, che porta una natura animale ad un grado di essere che trascende l’animalità e tutto il dinamismo di cui la natura è capace da se stessa, anche sotto la mozione sovraelevatrice e sovraformatrice generale nei confronti del mondo della vita; e dal lato della forma sostanziale nuovamente prodotta, creazione ed infusione di un’anima intellettiva, spirituale ed immortale.
Si comprende così come, dal lato della disposizione ultima della materia, l’apparizione dell’uomo sia stata insieme veramente termine dell’evoluzione della vita nel suo insieme e specialmente dell’evoluzione dei primati, ma ciò grazie all’intervento finale di una scelta assolutamente libera e gratuita operata da Dio creatore, e che trascende tutte le possibilità della natura materiale; e d’altra parte (dal lato della nuova forma sostanziale infusa) essa sia stata veramente opera di creazione assolutamente libera e gratuita, ma ciò grazie alla lunga storia presupposta degli organismi viventi, voluta da Dio fin dall’origine e con il fine della trasformazione di una specie animale nella specie umana.
La coppia o le coppie ominidi di cui ho ora parlato è stata o sono state, nel regno animale, i nostri antenati immediati in atto. Essi non sono il padre e la madre del genere umano, non vi è nessuna creatura che sia il padre e la madre da cui è uscito il genere umano, perché è da Dio che l’uomo ha ricevuto la sua anima o — nell’ipotesi del poligenismo che qui non discuto — i primi uominihanno ricevuto la loro anima, e creata da lui. Come dice san Luca risalendo la catena della genealogia di Gesù: «Caino che fu figlio di Enos, qui fuit Seth, qui fuit Adam, qui fuit Dei». Noi discendiamo da Seth, che fu figlio di Adamo, che fu figlio di Dio.
Concludiamo, per tornare al testo di san Tommaso con cui abbiamo cominciato, che l’anima sensitiva è in potenza rispetto all’anima intellettiva cosi come l’anima vegetativa è in potenza rispetto all’anima sensitiva, e come la materia sotto la forma dell’elemento è in potenza rispetto alla formula del misto, e come la materia prima è in potenza rispetto alla forma dell’elemento; e che, di conseguenza, vi è unatendenza o aspirazione ontologica (metafisica) della materia verso forme sempre più elevate, e in definitiva verso l’anima umana come verso la forma ultima.
Questa tendenza ontologica (metafisica) è anche — secondo il modo in cui essa si è estesa nel tempo nell’universo in movimento e sviluppo storico, che non era l’universo degli antichi ma che è il nostro universo — tendenza fisicamente efficace («fisicamente», voglio dire in quanto messa in opera dai poteri propri del mondo della natura materiale, oggetto della Fisica nel senso aristotelico, o della Filosofia della Natura), essa è tendenza fisicamente efficace nello slancio cosmico che, in tutto l’universo (astri e terra) fa passare la materia attraverso tutte le trasformazioni fisiche e chimiche, e nello slancio evolutivo che, una volta varcata la soglia della vita, fa passare dalle prime cellule viventi ai viventi più differenziati ancora molto primitivi, informati come quelle da un’anima vegetativa, poi da questi viventi vegetativi, i più primitivi e i più semplici, formati nel seno degli oceani che ricoprivano la corteccia terrestre, a viventi acquatici più terrestri, informati da un’anima sensitiva, che sbocceranno (come faranno per parte loro, una volta sorte le superfici continentali, i vegetali, sorti anch’essi dai viventi vegetativi più primitivi) in specie sempre più elevate nel corso dell’evoluzione. Il dinamismo della natura in questi due casi è stato sufficiente di per sé solo, sotto la mozione divina direttrice e assolutamente generale, nel primo caso (caso del cosmo), sopraelevatrice e sovra formatrice, e generale ancora, almeno riguardo al mondo dei viventi in evoluzione, nel secondo caso (caso dell’evoluzione della vita, e del superamento della soglia della vita).
La tendenza di cui parlo è stata in questi casi fisicamente efficace. Ma oltrepassato questo punto, quando si tratta del passaggio dal vivente animale al vivente umano, in questo caso la tendenza in questione non è stata fisicamente efficace; essa restava non soltanto tendenza ontologica (metafisica), ma continuava ad esistere sempre «fisicamente» nella materia, e tuttavia, questa volta, inefficace. Il dinamismo della natura, anche sotto la mozione divina sovraelevatrice e sovraformatrice della natura, generale riguardo al mondo dei viventi in evoluzione, non bastava più di per sé solo a renderla efficace.
È stata necessaria l’azione trascendente della Causa prima, e una scelta divina assolutamente libera e gratuita — che ha portato da una parte la materia vivente, sotto una mozione eccezionale e assolutamente unica, a una disposizione che oltrepassava le capacità della natura materiale e della vita immersa nella materia, e che creava d’altra parte, ex nihilo, un’anima intellettiva, spirituale ed immortale — per soddisfare dall’alto la tendenza in questione e permetterle di raggiungere nel seno stesso della realtà visibile e tangibile, «fisica» (nel significato aristotelico) del mondo della natura, la meta finale alla quale era stata preordinata dopo la creazione del mondo e che è essa stessa di ordine metafisico, ovvero al di là di tutta la natura materiale, essendo un’anima intellettiva, spirituale ed immortale, l’anima umana.
Jacques Maritain, Verso un’idea tomista dell’evoluzione, in “Approches sans entraves”. Scritti di filosofia cristiana, trad. it di Gaspare Mura, Città Nuova, Roma 1977, vol. I, pp. 134-149.